13.
Berlino, Agosto 1932
Ormai passavano ogni notte insieme, là nella suite 674. Di sotto, negli ambienti comuni dell'hotel, a volte si salutavano appena, come due vecchi e freddi conoscenti, a volte s'accompagnavano l'un l'altro a far colazione, e Leo provava a spiegargli invano qualcosa di politica, mentre leggeva con attenzione ogni singolo giornale di Berlino — dal Morgenpost al Völkischer Beobachter, senza disdegnare il Vorwärts dell'SPD — per poi proseguire ognuno sulla propria strada per il resto della giornata, fino a ritrovarsi per un'innocente coincidenza sempre al solito cafè.
Ma quando salivano nel corridoio all'ultimo piano e raggiungevano quell'angolo tutto loro, il mondo si capovolgeva e Leo gli tirava i capelli, gli strappava la cravatta e cercava la pelle sotto giacca, camicia e panciotto.
Erano serate stupende, in cui Charlie sfogava tutta la sua morbosa curiosità. Cercava il suo profumo con la bocca, quel profumo che indossava di tanto in tanto, quando Charlie lo sapeva felice. Esplorava tutto il suo corpo alla ricerca di quelle note, e quando ne trovava anche solo un flebile assaggio, avvicinandosi all'orecchio, gli sussurrava in un soffio sofferto: «Prendimi ancora.»
E Leo come nessun altro mai lo ascoltava.
«Non ne avrò mai abbastanza» commentava Charlie alla fine, e sorrideva prima di rigirarsi tra le lenzuola, e quando Leo s'alzava e metteva ordine nei suoi pensieri gli diceva ancora: «Portami dove sei felice.»
«Sciocco d'un inglese» rispondeva lui, e gli sorrideva compatendolo, «Dove sono felice è qui.»
Dopo poco, dopo un'occhiata fuggente alla piazza oltre il freddo vetro, gli sorrideva e lo compativa ancora.
E infine, dolcemente, lo toccava.
***
Ogni mattina, non appena Charlie si convinceva con sofferenza ad alzarsi e andare a radersi, Leo scivolava fuori dalla 674 così come vi si era insinuato la prima volta: in punta di piedi.
Ma più il tempo passava, più avvicinava i calcagni al suolo e abbassava la guardia, e non si preoccupava fintanto che in corridoio incrociava solo qualche turista straniero di passaggio.
Prendeva sempre l'ascensore per primo, e non c'era verso che Charlie riuscisse a precederlo, chissà come, e quando lo ritrovava seduto a un divanetto appartato nel cafè, le gambe accavallate poco oltre il tavolo e la schiena rivolta alle vetrine, aveva già sparse sul tavolo almeno una decina di testate.
«Buongiorno» gli bisbigliava prima di sedersi.
Ogni tanto, quando era fortunato, Charles riusciva a battere in velocità il cameriere col caffellatte quotidiano.
«Ho già ordinato il tuo tè» gli disse Leonhard quel giorno, senza distogliere gli occhi dalle colonne d'inchiostro.
«Davvero? Non dovevi.»
«E perché mai?»
Quella sì che era una sorpresa.
Una piacevole sorpresa.
«Hai ordinato da mangiare?»
«Ancora no, aspettavo te.»
"Ecco, allora è ancora Leo."
«Tanto prendo sempre il solito.»
«Tre uova e una quantità vergognosa di burro e marmellata?»
«Sei odioso. Cosa dice la carta stampata?»
Il cameriere arrivò prima che Leo potesse rispondere. Quell'ipocrita d'un tedesco ordinò confettura e margarina per sé, come se facesse davvero la differenza.
«Nulla di eclatante» gli rivelò dopo che furono serviti, «Indovina chi ha ottenuto la maggioranza in Parlamento?»
Charlie si grattò una narice e si portò due dita tra naso e labbro.
«Esattamente.»
«Il che è...»
«Bene. Spero.»
Il primo uovo saltò nel piatto quasi da solo.
«Altro d'interessante?»
Leo allungò uno sguardo alla colonna estera.
«Tra nemmeno una settimana inizia una qualche mostra in Italia, ci sono... dei nostri registi in corsa per non so cosa si vinca.»
«C'è l'elenco completo dei film in gara?»
«Ti interessa? Attento, così sporchi la tovaglia.»
«Niente, volevo sapere se ci fossero anche artisti inglesi.»
«Sì... penso di sì, sembra qualcosa d'importante. Immagino il signor Mussolini ne sarà entusiasta.»
Charlie chiuse un occhio e addentò il pane. «Tira una buona aria, in Italia. Dovremmo andarci.»
Leo piegò il giornale e lo fissò con attenzione. «Sì, dovremmo. Non appena la smetterai di far sparire tutta la tua paga nell'armadio.»
«La carne è debole.»
«Ieri non sembrava.»
Per poco non gli andò il tuorlo di traverso.
Leo soffiò sulla tazza fumante, ignorando i suoi colpi di tosse. «Tutto bene?» gli chiese rimettendosi a leggere.
«Fa' silenzio.»
Effettivamente Leo smise di parlare, sorseggiò un poco, tirò un morso al pane tostato, e passò a un altro giornale, ancora nel più religioso silenzio, tanto che smise di bere e mangiare.
Charlie allungò il collo oltre il suo piatto e sopra quella barricata di carta. Leo si stava innervosendo, lo capiva dalle smorfie che nascondeva dietro il foglio.
Allungò una mano verso il giornale.
«Leo...»
«Va tutto bene. Hai finalmente trovato un impiego stabile?»
La mano cadde sui fogli già letti, ancora umidi di inchiostro fresco, e si ritrasse verso un altro uovo non appena il caffè riprese a scorrere.
«No, nulla che duri più di due settimane. Ne ho abbastanza di uffici notarili.»
«Mhm, un gran peccato.»
«Mi dici qual è il problema? Sembri distratto.»
«Nulla, ho detto» e tentò di bere un sorso.
«Va bene.»
Stavano entrambi mentendo spudoratamente, e ogni parola accresceva il fastidio dell'altro. Charlie avrebbe potuto contare i secondi che mancavano all'esplosione.
«Dovresti leggere qua, ecco» si sbottonò infine Leo, «Questi pezzenti schiamazzano per le strade senza un minimo di programma, senza vedere più in là di cosa riempirà loro la pancia alla sera.»
«Che intendi?» gli chiese Charles addentando un'altra fetta di pane.
Leo poggiò il caffellatte e ripiegò il giornale, per un attimo pensò di mettersi a fumare. «Il popolino non è che una manica di abbietti e sbandati, incapaci di darsi un ordine e di agire come una sola fratellanza. Guarda fuori dalla finestra: s'agitano in piazza, provocano disordine e caos sottraendo tempo alla politica e alla polizia. Ci si deve occupare di loro giorno dopo giorno, mentre rosicchiano questa società sperando di ricavarne qualcosa in più. Nient'altro che un tumore che appesantisce e rallenta il sistema. Anzi, direi che rischia di ucciderlo.»
«Leo, sono pur sempre uomini.»
Leo sorseggiò un poco il caffellatte, poi cedette alla tabacchiera. «Non dico che dovrebbero scomparire.»
«E cosa, allora?»
«Dico solo che se lo meritano, qualcuno che curi lo spirito marcio di questa nazione. Che faccia rispettare loro l'ordine, invece che stare a bivaccare e chiedere l'elemosina davanti agli uffici di collocamento.» La sigaretta volava già dalle lunghe dita alle labbra affilate. «Tutto qui.»
«Bah, non so come potrebbe finire bene.»
«Guarda l'Italia» insistette Leo, e s'accese la sigaretta.
«Guarda la Russia» ribatté Charles, e Leo annuì cupo.
Non parlò più finché non bruciò tutto il tabacco, proprio quando per Charles s'era fatta l'ora di andare.
«Ne riparliamo dopo, con calma, no?» domandò l'inglese.
«Certo.»
Ma quella sera non toccarono più l'argomento.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top