Capitolo 6 - Parte IV
Correvo da un tempo infinito in sella al vallaco, stringendo tra le braccia Faith.
Diverse frecce ci raggiunsero ma non potendo concentrarmi anche sull'evocare incantesimi, schivai le prime ma una mi colpì il braccio.
«Faith, mi senti?» esclamai cercando di attirare la sua attenzione, anche se incosciente ero sicuro che una parte del suo inconscio era in ascolto di tutto quello che le succedeva intorno.
Al mio richiamo la ragazza strizzò gli occhi e arricciò il viso.
«Innalza una barriera» le chiesi virando per evitare delle rocce incantante, le nahikae erno passate alle maniere forti, ero disposte davvero a tutto pur di catturarla.
«Fath! La barriera!» la rimbeccai, speravo che anche in quello stato riuscisse ad usare i suoi poteri.
Una pioggia di blocchi di pietra si infransero sulla sottile, ma resistente, protezione che Faith era riusciva ad evocare intorno a noi.
«Brava, piccola!» sussurrai riprendendo a cavalcare più velocemente che il vallaco stanco poteva andare.
Nonostante i miei sforzi le nahikae erano sempre più vicine, su un terreno del genere, erano capaci di sfruttare la loro natura magica elementale e, senza alcun destriero, riuscivano a correre quasi quanto un vallaco.
Compresi che ben presto mi avrebbero raggiunto così decisi di improvvisare uno spettacolino per spaventarle. Era l'unica soluzione.
Mi fermai, scesi dal vallaco a cui comandai di rimanere in attesa e mi voltai ad osservare le sagome delle nahikae avvicinarsi.
Strinsi Faith al mio petto, tremava spaventata tra le mie braccia, qualcosa stava turbando la sua mente.
«Eccolo li, compagne!» sentii la le loro voci, erano ormai vicine.
Incominciai a respirare profondamente, cercando di introdurre più aria possibile nel mio petto, cercavo di allontanare ogni suono per isolarmi. Dovevo sprigionare una parte di quel potere senza perderne il controllo e, per evitare ciò, dovevo essere concentrato.
«Consegnaci subito la sacerdotessa, ialino!» ero circondato, sei nahikae mi puntavano la loro arma intimandomi la resa.
«Andatevene subito!» le invitai gentilmente facendo attraversare le mie gambe dalle fiamme, dovevo fare attenzione a non spostarle sulla parte superiore del mio corpo altrimenti avrei ustionato Faith.
«Lasciate subito questo luogo» la mia voce stava cambiando tonalità, e non era una buona cosa «Altrimenti patirete una sorte peggiore della morte» aggiunsi sbattendo un piede in avanti.
Le fiamme che mi avvolgevano l'arto scesero, cominciarono a far prendere fuoco il sottobosco umido, mi circondarono e, comandate dalla mia volontà, proseguirono verso le nahikae.
Le donne, inizialmente spavalde, mi guardarono dall'alto verso il basso e tentarono di attraversare il cerchio di fuoco ma, quando notarono che il perimetro rimaneva integro anche a contatto con l'acqua, indietreggiarono spaventate.
Volevo intimarle ancora una volta ma, quando aprii la bocca per parlare, ruggii.
L'eco di quel verso si espanse nell'aria, tutta la fauna del posto scappò via terrorizzato mentre i volti delle nahikae sbiancarono.
Incredule e sbigottite, indietreggiarono lentamente e, appena furono a debita distanza, si voltarono e fuggirono in preda al panico.
Proprio come speravo, loro avevano riconosciuto la natura del mio potere e decisero in totale autonomia di lasciare il campo di battaglia.
Appena in tempo, per mia fortuna, un secondo di più e sarebbe successo l'irreparabile.
Chiusi gli occhi e richiamai a me quelle crudeli fiamme, rinchiudendole di nuovo in quella porta immaginaria che albergava dentro di me.
Una porta che non si chiudeva mai del tutto e, se non avessi fatto attenzione, un giorno di quelli si sarebbe spalancata,contro la mia volontà, facendo fuoriuscire tutto ciò che conteneva.
Ormai al sicuro, risalii sul vallaco e ripresi la mia corsa verso Ataria. Nonostante la fuga delle nahikae, Faith ancora faticava a destarsi dall'incantesimo ed ero preoccupatissimo.
Riaprii gli occhi lentamente, mi sentivo le palpebre pesantissime, ogni muscolo del corpo intorpidito e la mente offuscata, non ricordavo cosa mi fosse capitato e sentivo un certo turbamento animarsi dentro di me.
Non era la prima volta che mi svegliavo in quello stato d'animo ed era sempre un brutto segno.
«Si sta svegliando, è l'ora!» sentii qualcuno sussurrare vicino a me, aveva la voce tremante, che faceva trapelare la sua ansia.
Quando riuscii a mettere a fuoco riconobbi la sagoma di Enex, tutto indaffarato a leggere un manuale. I suoi occhi scorrevano veloci tra le righe, il suo sguardo sembrava concentrato a memorizzare qualcosa contenuta nel libro che stringeva tra le mani.
Quella sua visione mi rasserenò, qualsiasi cosa fosse successa ero al sicuro con lui.
«Dove sono gli altri?» domandai alzando il busto ma lui, scrutandomi con la coda dell'occhio, mi fermò e mi spinse con la forza, costringendomi in posizione supina.
Nell'indietreggiare sbattei la testa contro il marmo su cui ero sdraiata, non mi ero accorta di essere riversa su una specie di altare.
«E' meglio che riposi un'altro po'» mi spiegò con un sorriso gentile.
Sospirai e feci dei respiri profondi, piano a piano, sentii quella sensazione di pericolo scivolare via.
«Malluma enkarceria viktimon» quelle parole mi fecero tremare, come se avessi compreso il tipo di incantesimo che Enex mi stesse lanciando.
«Ma cosa fai?» gli domandai vedendo il marmo animarsi e formare delle dure catene che avvolsero i miei arti.
«Sta tranquilla» disse alzando la testa dal libro «Ben presto sarà tutto finito» aggiunse lanciando il manuale dietro di sé.
Si avvicinò a me e, con la punta delle dite, cominciò a tastare lo sterno e a percorrerlo per tutta la sua lunghezza, tastando con forza.
Il mio cuore cominciò a pompare sangue e adrenalina in tutto il mio corpo, cominciai ad agitarmi e a scuotermi nel tentativo di liberarmi, o quanto meno di sottrarmi alla sua attenta analisi.
Qualsiasi cosa avesse in mente, non doveva essere un gioco.
«Smettila!» urlai nonostante i miei sforzi le catene che con cui mi aveva costretta erano irremovibili.
«Lasciami andare, subito!» aggiunsi cercando di fuggire alle sue mani che scendevano sul mio addome.
«Parli un po' troppo» esclamò scocciato premendo l'altra mano sulla mia bocca per serrarla.
Dopo aver giocato distrattamente con l'ombelico il suo sguardo cambiò, sembrava deciso, pronto per finire quello che aveva iniziato.
Allontanò la mano dal mio viso ma la mia bocca continuava ad essere bloccata, come se una forza invisibile mi impedisse di muoverla.
«Mi dispiace, mia piccola venerabile» si scusò accarezzandomi dolcemente la pancia, la sua espressione era felice e compiaciuta.
«La mia signora freme dal desiderio di ritornare a solcare questa terra» aggiunse riposizionando la mano sinistra sul punto da lui scelto, sulla punta inferiore dello sterno.
Un tuffo al cuore mi paralizzò, per un attimo sentii il mio petto smettere di battere. Non poteva essere vero, lui non poteva essere in combutta con Uriel.
«Anasiki nei myn zangu geden Fyren, bonvenu myn kado» il mio addome fu marchiato da scure scritte che si muovevano circolari, sembravano iscrizioni antiche, glifi di una oscura lingua.
Guardai Enex supplicandolo di smettere, non potevo più parlare ma tentai di farlo tornare in sé ma, appena vidi che con la mano destra brandiva con foga un coltello, mi si raggelò il sangue, il mio respiro divenne più affannoso e profondo.
I suoi occhi non sembravano oscurati da un qualsiasi tipo di controllo anzi, erano limpidi e vivaci, il suo volto era illuminato dal piacere che stava assaporando nel vedermi inerte e in balia delle sue trame.
Impotente, cominciai a piangere e a sbattere la testa contro il marmo, non poteva essere vero!
Non lui, perché proprio lui?
Enex sollevò la lama su di me e, senza esitare, penetrò il mio addome.
«Brûke kiel ilon foar via keazan» dopo aver pronunciato quelle parole forzò la lama e, con diabolica lentezza, allungò il taglio fino alla zona inferiore dell'addome, strappando tutto quelloche incontrava sul passaggio.
Tremavo, ero in preda a fortissime convulsioni di dolore, il mio stomaco ormai era completamente rivolto dai conati, la mia testa non riusciva più a sopportare tanta sofferenza neanche quando la lama si fermò.
Quando il mio corpo si arrese, abbandonandosi quasi rilassato sul marmo, qualcosa all'intero della lacerazione del mio addome cominciò a muoversi.
Mi sentivo svenire eppure ero ancora cosciente, osservavo con terrore la ferita muoversi freneticamente, come se qualcosa dovesse uscire da un momento all'altro.
Le dita di una mano scivolarono fuori aprendo uno spiraglio più grande, poi fece capolino una seconda mano, erano ricoperte del mio sangue e divaricavano il mio addome.
Tentai di urlare mentre la mia pancia cominciò a gonfiarsi fino a che una donna bionda, ricoperta delle mie viscere, uscì leccandosi le labbra.
La vista cominciava ad offuscarmi, il mio corpo era ormai freddo ma, prima di chiudere gli occhi, potei osservare quell'essere tendere avidamente le mani verso il volto di Enex e osservarmi con occhi di sfida.
Riaprii gli occhi turbata, il cuore sembrava volesse uscirmi dal petto, il mio respiro era acuto e profondo ma cercai di regolarizzarlo per impormi un po' di calma. Ero sdraiata su un letto a baldacchino fatto di un legno scuro e logoro, non riuscivo a vedere oltre la figura di Enex.
Era seduto su una sedia di fianco al letto, era piegato in due, con la mano destra si massaggiava nervosamente le sopracciglie e con l'altra, giocherellava con una piccola sfera di fuoco passandosela tra le nocche.
Di tanto in tanto la faceva volare, l'afferrava e la stringeva col pugno.
Ero indecisa sul da farsi, come al solito non riuscivo a distinguere la realtà da un sogno o da una visione. Nulla mi assicurava che mi fossi davvero svegliata.
Sbuffai, terribilmente scocciata da quei continui salti nel mondo onirico.
«Faith?» udii Enex con un filo di voce invocare il mio nome. «Faith, ti sei svegliata?» quel nome... solo il vero Enex usava chiamarmi col mio vero nome.
Aprii gli occhi e lui si avvicinò a me inginocchiandosi sul materasso. Aveva la tunica bruciacchiata, e gli si intravedeva una fondina per coltelli attaccata alla gamba sinistra del pantalone.
Quell'oggetto mi colpì, era impossibile non notarla dopo quello che avevo visto nel sogno. Osservai attentamente l'impugnatura che fuorusciva e spaventata lo allontanai con tutta la forza che possedevo.
Quel coltello aveva sul manico la stessa decorazione di quello usato nel sogno per aprirmi il ventre e far fuoriuscire Uriel.
In preda al panico mi guardai in torno alla ricerca di una via d'uscita mentre, con la coda dell'occhio, fissavo la lama attaccata alla sua gamba.
Se non la perdevo di vista lui non mi avrebbe potuto attaccare di sorpresa.
Enex mi guardò perplesso e cercò nella direzione del mio sguardo il motivo per cui ero così spaventata.
«Non so cosa tu abbia visto» cominciò con voce impostata indietreggiando di qualche centimetro.
Quel suo gesto mi diede un po' d'aria ma ancora avevo difficoltà a fidarmi, non riuscivo a levarmi dalla testa l'idea che quell'incubo potesse essere una visione del futuro.
«Ma nulla di ciò che è successo è reale» aggiunse muovendo lentamente la mano sinistra verso la gamba. Tremai, la sua frase non aiutò anzi, mi agitò di più, cosa poteva saperne lui?
«Non fare gesti avventati» lo ammonii cercando qualcosa con cui difendermi.
In quella stanza dai colori acquei non c'era nulla da poter usare come arma.
«Stai calma, voglio solo aiutarti» dicendo questo, con movimenti lenti, staccò la fondina e la lanciò nella mia direzione.
Apprezzai il suo gesto di disarmarsi, svelta recuperai quell'arma e la strinsi forte a me, raggomitolandomi su me stessa.
Vedendo il coltello da così vicino i ricordi di quel sogno si fecero più vividi nella mia testa, l'esistenza di quell'oggetto con l'elsa raffigurante la testa di un drago era la chiara evidenza che quello che avevo visto poteva avere un fondo di realtà.
«E' tutto finito adesso» Enex per rassicurarmi si avvicinò di nuovo, risalendo sul letto e, con una dolcezza che non mi aspettavo, mi cinse in un caldo abbraccio.
Il suo calore attraversò i nostri indumenti penetrandomi nell'animo. Non mi ero mai sentita così prima di quel momento, la mia psiche si placò e dentro di me fui invasa da una immensa serenità.
Chiusi gli occhi e, piangendo, mi lasciai accarezzare da lui. Nelle sue mani mi sentivo stranamente al sicuro e, al sol pensiero di un suo tradimento, dentro di me si dilaniava una oscura disperazione.
Era quello a turbarmi di più di quel sogno, non il dolore o le immagini scioccanti del mio corpo aperto in due, erano quegli occhi che mi guardavano solo come un'agnello sacrificale, che godevano nell'aver conquistato la mia fiducia e averla fatta a brandelli.
Quando finalmente riuscii a scaricare tutta la tensione feci un lungo respiro, inalando l'odore del petto di Enex che, come una colonna portante, mi aveva sorretto imperturbabile in quel momento di fragilità.
Ciao a tutti! Spero che questa parte vi abbia turbato quanto ha turbato me scriverla XD non so se è colpa del mio stato psicofisico ma mi sono impressionata da sola.
A voi è capitato di scrivere una parte che vi ha fatto senso? Raccontatemi
PS spero di pubblicare quanto presto la prossima parte con le spiegazioni del caso. =P
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