Capitolo 4 - Parte III

Senza perdere tempo, corremmo nella direzione del suono.

«Cosa è successo?» chiesi preoccupata, Dix si trovava oltre il cerchio magico.

«Predoni» ci rispose sguainando la sua spada.

«Nulla che non possiamo tenere a bada» esclamò Enex osservando soddisfatto l'orizzonte, un gruppo di creature correvano ululando verso di noi agitando delle grosse lame ricurve in groppa a vallachi.

«Ah! Ma allora potevo rimanermene a dormire» sentii la voce di Skill sbadigliare dietro di me, anche lui era accorso al richiamo del corno in compagnia di Macota.

«Che dite? Se ne faccio un bel falò attiriamo troppo l'attenzione?» chiese Enex indeciso sul da farsi.

«Non è il caso di evidenziare ulteriormente la nostra posizione» risposi smorzandogli l'entusiasmo.

«Koletas potencon tero, donumian viajn povjn» mentre i predoni si avvicinavano sentii Macota richiamare il suo ferbiner, era affascinante come gli hent si collegassero alla natura che li circondava. 

«Tiama udi huma rozide» urlò poggiando le mani nella sabbia che, come se fosse stata spinta dai suoi arti, cominciò a formare lunghe onde che, con inaudita violenza, si andarono ad infrangere sulle bestie cavalcate dai predoni.

Tutti i vallachi stramazzarono a terra e, frastornati e spaventati, scapparono disarcionando i loro padroni. I banditi furono costretti a continuare il loro assalto a piedi.

A quel punto erano abbastanza vicini per cominciare il contrattacco.

Dix impugnò con forza la spada con due mani e li caricò. La sua lama si incrociò con quella di un predone che fu travolto e spintonato dalla sua corsa.

Un paio di uomini dietro di lui persero l'equilibrio e caddero rovinosamente a terra. Nel frattempo anche Enex e Skill sguainarono le loro spade buttandosi nella mischia.  

«Proprio tenaci questi banditi» esclamò Macota incoccando la freccia nel suo arco.

«Già, dovrebbero aver capito che non hanno possibilità contro di noi eppure combattono estenuamene a costo della loro vita» le risposi osservandola scoccare la freccia. Il dardo sfrecciò alle spalle di Enex, colpendo un predone alla testa. 

Il combattimento ormai stava volgendo al termine. Con una disarmante disparità, il gruppo di aggressori fu decimato dai nostri colpi.

«Che sciocchi, perdere la vita in questa maniera patetica» sentii Dix esclamare pietoso mentre poneva fine alla vita dell'ultimo bandito.

Il combattimento era definitivamente concluso e potei tirare finalmente un sospiro di sollievo.
Non c'era modo per noi di fare prigionieri e non era il caso di lasciare testimoni che potessero raccontare in giro di essersi scontrati con noi.

«E adesso che facciamo? Non penso sia il caso di lasciarli così come sono» chiese Enex girando a faccia in su un cadavere, con minuziosa cura ispezionava uno ad uno i resti, sembrava come alla ricerca di qualcosa.

«No, hai ragione» esclamai osservandomi intorno, la sabbia che calpestavamo ormai era diventata un manto scuro che avvolgeva crudele le spoglie esanimi dei predoni.

«Non penso che la nuova personalità della Venerabile possa essere pronta a tutto questo. Li interreremo, è la scelta migliore» in tale maniera avremmo potuto dare anche un'appropriata sepoltura alle spoglie.

Mentre Enex e Skill cominciarono a scavare una grossa buca io, in compagnia di Macota, rivolsi una preghiera alla dea per purificare le loro anime.

«Xandra!» sentii chiamarmi con impetuoso lamento «Penso che tu abbia sbagliato preghiera!» aggiunse Skill con voce mista a sorpresa e spavento. 

Cercai di avvicinarmi a lui per comprendere cosa lo spaventasse ma riuscii a fare solo un passo verso e subito percepii qualcosa afferrarmi per la caviglia.

Abbassai lo sguardo e, con mio stupore, vidi gli occhi del bandito morto che stavo benedicendo fissarmi con sguardo spento.

«Nono sono stata io» esclamai tentando di liberarmi il piede.

Macota venne subito in mio aiuto impugnando una freccia e conficcando la punta acuminata nel braccio del cadavere.

Heechste ringihia oan har tou kaha

Una profonda voce maschile riecheggiò nell'aria e tutti i corpi furono investiti da una luce oscura.

Quella luce, quel potere oscuro diede nuova energia ai corpi che, uno ad uno, cominciarono ad alzarsi rinvigoriti.

Dinanzi a quel gruppo di non morti la mia mente non poté che tornare indietro a quegli anni bui quando, demoni e non morti, appestavano la terra di Ariadonne e terrorizzavano indisturbati la popolazione.

Abomini del genere non potevano che provenire dal potere di un adepto di Fyren ma non riuscivo a raccapezzarmi!

Doveva essere una semplice coincidenza, come poteva lei averci trovato in quel breve lasso di tempo? 

«Oh no che sciocchi...» sentii Enex esclamare mentre scrutava l'orizzonte pensieroso poi, senza nemmeno darci una spiegazione, si allontanò dal campo di battaglia correndo come un forsennato.

Probabilmente anche lui era arrivato alla mia stessa conclusione.


Vilevan mortigu de fijannen
Quella voce riecheggiò ancora una volta e i cadaveri rianimati, come dei burattini, recuperarono le armi e camminarono a passi lenti verso di noi con l'unico obiettivo di ucciderci. 

Quasi all'unisono, brandimmo nuovamente le armi e senza esitare ci scagliammo contro il gruppo nemico.

La loro forza era notevolmente aumentata e abbatterli non fu facile ma, tutte volte che riuscivamo a farli cadere, loro si rialzavano incolumi.

A quel ritmo ben presto avremmo esaurito le forze e ci avrebbero sopraffatto. Era il momento di fare qualcosa di più incisivo.

Secondo i manuali solo due cose potevano distruggere facilmente i non morti, il loro creatore e un potere divino.

Avevo la vista offuscata, tutto intorno a me sembrava essere avvolto da una scura coltre ma potevo sentire chiaramente un singhiozzo risuonare nella stanza vuota.

Qualcuno, vicino a me, stringeva la mia mano e piangeva silenziose lacrime.

Mi sentivo confusa e debilitata ma mi sforzai nel tentativo di focalizzare la figura riversa sul mio letto, era la mamma.

Il suo aspetto non era uno dei migliori, il suo volto era turbato da lunghe notti insonne, i suoi occhi provati dal dolore e le sue guance scavate da interminabili pianti.

Tutta la sua sofferenza invase il mio cuore, non riuscivo a vederla in quello stato.

Cercai di salutarla per attirare la sua attenzione ma non riuscii ad emettere nemmeno un suono.

 A quel punto tentai di rispondere alle sue premure ma non riuscii a muovere un muscolo, nemmeno per poterle stringere la mano. 

Ero come prigioniera del mio corpo.

«Permesso» qualcuno bussò alla porta distraendo entrambe dai nostri pensieri. 

«Avanti» rispose la mamma mentre si asciugava svelta il viso nel tentativo di rendersi presentabile.

A quelle parole la persona che aveva bussato entrò nella stanza accendendo l'illuminazione elettrica.

 La luce delle lampade rischiarò la penombra svelando l'arredamento essenziale della stanza.

Ero sdraiata su un letto d'ospedale, diverse fasciature ricoprivano ampie zone del mio corpo, una flebo mi alimentava e dei sensori monitoravano tutte le mie funzioni vitali.

«Tu sei un'amica di Faith?» sentii la mamma rivolgersi all'ospite.

«Si, sono venuta spesso a casa» riconobbi subito la sua voce, era Katy!

Ero davvero contenta di poterla rivedere.

«Perdonami, in questo periodo ho molta confusione in testa» le rispose spossata.

«Non si preoccupi, anzi, se ha bisogno di allontanarsi un po' faccia pure. Si prenda tutto il tempo che le serve» la mamma si voltò titubante verso di me, sembrava indecisa se accettare la proposta di Katy o rimanere ancora al mio capezzale.

«Rimango io a farle compagnia» aggiunse sorridendo Katy. Lei sapeva bene cosa voleva dire prendersi cura di una persona allettata.

«Ti ringrazio» cedette e, dopo aver recuperato un paio di buste dall'armadietto, se ne andò. Non prima di avermi salutato baciandomi la fronte. 

Katy, rimasta da sola, tentò di avvicinarsi al letto ma sembrava intimorita dalla mia visione.

Così cominciò a camminare nervosa su e giù per la stanza, giocherellando un po' con una ciocca dei suoi biondi capelli spettinati, i suoi occhi chiari, senza nemmeno un velo di trucco, fuggivano da me fissando un punto sempre diverso della stanza.

Era strano vederla così poco curata, indossava persino dei comodi abiti sportivi, quelli che mi ha sempre rimproverato di indossare quotidianamente.

Potevo solo immaginare quale ricordo le rievocasse quella situazione ma ero davvero felice che lei avesse affrontato la sua paura degli ospedali per stare con me.

Ero davvero fortunata ad avere una amica come lei.

«Ciao Faith! Come va?» finalmente prese forza e si avvicinò al letto. Con la sua solita sicurezza la vidi scrutare la cartella clinica poggiata sulla testiera del letto.

«Nulla di nuovo a quanto pare» concluse dopo un'attenta lettura del suo contenuto. 

«Sai, oggi a scuola il professore di italiano si è confuso e ti ha chiamato per l'interrogazione» mi raccontò sorridendo lievemente mentre i suoi occhi venivano sorpresi dalle lacrime.

«Io» singhiozzò cercando di smorzare il pianto prima di non poterlo più fermare.

«Io mi sono proposta volontaria per non farti mettere un cattivo voto, mi devi una birra per questo» aggiunse colpendomi lievemente il braccio come faceva quotidianamente per incoraggiarmi.

L'angosciante silenzio a cui ero costretta spezzò il suo entusiasmo e, col volto basso, si accomodò sulla sdraio di mia madre in contemplazione del pavimento.

Era stranamente pensierosa.

Avrei tanto voluto parlarle per tirarla su di morale, dirle che tutto sarebbe andato bene e che presto sarei tornata al suo fianco...

Il telefono di Katy improvvisamente suonò, lei osservò il nome del contatto sullo schermo e senza esitare rifiutò la telefonata, qualche secondo dopo il telefono squillò ancora e lei, più velocemente della prima volta, respinse la chiamata.

Ma il suo interlocutore non sembrava accettare un no come risposta e richiamò per la terza volta.

Evidentemente scocciata, spense il cellulare per evitare di essere rintracciata e, sospirando, poggiò il telefono in una tasca remota della sua borsa.

«Perdonami Faith» riprese il discorso lei, la sua voce trapelava inquietudine.

«Perdonami!» ripeté cominciando a piangere in preda ai sensi di colpa «Dovevo esserci io lì sotto».

Quella sua affermazione mi spiazzò. Desideravo porle un milione di domande ma non potevo fare altro che aspettare e sperare che continuasse a sfogarsi.


«Katy! Sapevo di trovarti qui! Ti ho cercata dappertutto!» Il suo pianto fu interrotto da una voce maschile. 

Non mi fu possibile vederlo poiché l'uomo era nascosto dalla figura sconvolta di Katy ma quella voce... quella voce mi era così familiare.

«Duncan?» invocò Katy voltandosi per interagire con lui. A quel nome il mio cuore palpitò, mi sembrava un eternità dall'ultima volta che ho potuto essere cinta da un suo abbraccio.

Le due persone più importanti della mia vita erano finalmente riunite vicino a me, non mi ero mai accorta da quanto amore fossi circondata, io, non vedevo l'ora di tornare!

«Perché sei scappata via così?» da quando era entrato Duncan non mi aveva rivolto neanche uno sguardo.

«Potevamo parlarne con calma» continuò accarezzando il volto silenzioso di Katy.

Stava succedendo qualcosa di strano, Katy sembrava così combattuta e Duncan la guardava con quei suoi occhi di sfida. Conoscevo bene quello sguardo.

«Io non ce la faccio, non più perlomeno» gli rispose Katy indicando con un cenno della mano il mio letto ma lui non distolse nemmeno per un secondo lo sguardo dai suoi occhi. 

«Ma come! Dovresti essere contenta» le disse prendendole la mano.

«Hai sentito quello che hanno detto i medici, vero?» con un gesto gentile le raccolse un ciocca di capelli e gliela sistemò dietro le orecchie.

«Lei non si sveglierà» aggiunse rivolgendo un impietoso sguardo verso di me.

«Non saprà mai quello che è successo, perché lasciarci proprio adesso?» Katy alzò la mano destra come per volerlo schiaffeggiare ma lui gliela bloccò subito e, prendendole il volto con fermezza, la baciò.

«Ti prego» esclamò lei cercando di sfuggirgli, ma le sue mani e le sue labbra erano una libidinosa trappola.

«Non qui» aggiunse ma, per quanto lei potesse combattere, ormai lui l'aveva presa all'amo, era completamente in suo potere. 

Duncan continuò a baciarla senza darle respiro, senza darle adito di dire una parola di più e quando le sue attenzioni l'ammansirono, scese sul collo per lasciarle un segno sulla pelle.

Mentre si eccitava a marchiarla mi fissava imperturbabile, i suoi occhi sembravano prendersi gioco di me o perlomeno di quello che rimaneva.

In quel momento tutto dentro di me si scombussolò e si fermò in un istante, il cuore, il respiro. 

La voce di Duncan riemerse dai miei più bei ricordi, un Duncan che mi ripeteva frasi d'amore...

"Sei unica"

"Nel mio cuore ci sei soltanto tu"

"Ti adoro"

"Nulla può separarci"

"Ti amo"

Nonostante non potessi muovermi incominciai a tremare, il sangue mi ribolliva nelle vene per la rabbia e il mio battito cardiaco si alterò talmente tanto da allarmare il macchinario a cui ero attaccata.

Rabbia, delusione, gelosia, tradimento, non era mai successo di provare emozioni negative così forti, men che meno tutte insieme.

Mi sentivo impazzire ed ero costretta in quel corpo immobile, io, desideravo potermi muovere, parlare, volevo soltanto ammazzarli con le mie stesse mani, io...

Chiusi gli occhi per smettere di vedere ma l'immagine delle loro due figure era impressa sulle mie retine, volevo piangere, disperarmi ma non mi era concesso nemmeno quello.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top