Capitolo 28 - La strada davanti a noi
L'uomo cominciò a scuotere la testa contrariato, infilò quella di Uriel sotto braccio e cominciò ad accarezzarla con pietà.
«Da te proprio non me lo sai mai aspettato, Uriel. Ti avevo detto di attendere il mio ritorno... come ti sei permessa di tradirmi così?» disse rabbioso.
La testa della donna fu avvolta dalla sua aura e dagli occhi e dalla bocca cominciò a fuoriuscire una scura sostanza vischiosa.
«Fyren...» Xandra evocò il suo nome con gli occhi persi nella sua direzione, tremava appena, quasi impercettibilmente... non l'avevo mai vista così.
«Cosa credevi di fare rubandomi la preda? Te lo avevo detto quanto fosse importante per me... lei è mia, solo mia...» poi si voltò verso Xandra e la osservò con interesse, abbozzando un terrificante sorriso «La mia vendetta contro il cielo finalmente potrà compiersi e lui dovrà pentirsi, dovrà tornare, strisciare da me supplicando come un cane di smettere. Spero che tu ci stia guardando Alyon!» strillò al cielo quelle parole senza senso, poi allungò la mano verso la mia compagna e la sentii sollevarsi da terra.
Cercai di afferrarla per trattenerla al mio fianco ma fui colpita a mia volta da un dardo magico.
Non avevo più forze per resistere, nemmeno una briciola di potere per respingere il suo all'attacco. Fui scaraventata al suolo come un peso morto e vidi Xandra cercare di ribellarsi a quella invisibile morsa.
«Lasciala andare!» attirai la sua attenzione, o perlomeno, cercai. La mia voce era flebile, ma non potevo mollare! Poggiai le mani al suolo e con la forza che mi rimaneva sollevai il busto.
Non capivo perché il dio avesse tutto quell'interesse verso Xandra, ma in quella situazione ero l'unico supporto rimastole.
Fyren mi ignorò e camminò a passo lento verso l'oggetto del suo morboso interesse. Il suo sguardo sembrava perso, ma era concentrato a squadrare la sua preda: chissà quali torture stava pregustando nella sua testa... o forse stava semplicemente immaginando la maniera più divertente per ucciderla?
Lo guardavo impotente mentre posava le mani sul volto di Xandra e lo stringeva affondando le unghie nelle guance. La donna strinse i denti trattenendo le sue emozioni.
Chiamarlo ulteriormente non sarebbe servito, così allungai la mano verso di lui e sprigionai un fascio di luce che lo colpì in pieno, facendolo sobbalzare appena.
Il dio ritirò subito le mani e, emettendo un verso gutturale, si sistemò i capelli per poi ruotare il viso verso di me.
I suoi occhi spalancati manifestavano tutta la rabbia che ardeva dentro di lui, digrignò i denti mentre la faccia era contratta in una spaventosa smorfia.
Mi sentii mancare l'aria e mi pentii di essere riuscita ad attirare la sua attenzione.
«Sei una insulsa e fastidiosa mosca. Non credevo di dovermi occupare di te, prima» alzò appena la mano al cielo e la sua lancia, avvolta dal potere oscuro, corse al suo fianco. Era altissima ed emanava uno sconfinato potere.
Se mi avesse colpito con quella sarebbe stata la fine, e io non avevo più energia per difendermi.
Abbassò il braccio, puntandomi con le estremità delle dita e vidi la lancia partire per colpirmi. Era veloce, provai a scappare ma sapevo che non c'era modo di trovare rifugio dall'attacco della sua arma.
D'improvviso le urla di Xandra squarciarono il silenzio e un'enorme esplosione di potere mi spinse a terra. Prepotente aria calda correva su di me e per paura di bruciarmi affondai il volto coprendomi il capo con le braccia in attesa di capire cosa era successo.
Nel trambusto che mi circondava poi distinguere chiaramente i gemiti del dio e il forte fruscio della lancia che si conficcava inerme ad pochi centimetri da me.
Il vento si placò velocemente così mi alzai il prima possibile per non rimanere di spalle al nemico, ma appena mi girai verso di lui mi resi conto che quell'attacco violento era riuscito a bruciare metà del suo corpo.
La sua carne sembrava liquefarsi in una sostanza viscida che ribolliva mentre scendeva verso il suolo ma, nonostante tutto, lui si muoveva come se nulla fosse e con il braccio ancora integro si toccava il viso ringhiando.
«Faith!» Xandra in qualche maniera si era liberata e corse subito verso di me per aiutarmi.
Si assicurò che non avessi ferite profonde e per un attimo prese un respiro di sollievo «Ci è mancato davvero poco...».
«Cosa dobbiamo fare adesso?» le domandai guardando un'aura violastra fuoriuscire dal corpo lacero del dio «Se Nazca non è la figlia di Ginozkena è la fine. Non esiste l'essere sacrificale del rituale, il nostro viaggio è stato inutile. Il rituale non esiste, è stata tutta una menzogna!» le riversai addosso tutte le mie paure ma lei non riuscì a rispondermi.
La stanza era diventata come una camera a gas, il potere del dio ci stava circondando come una esalazione mortale.
Crollammo a terra mentre tutto intorno a noi sbiadiva e l'oscurità ci circondò.
Dei fasci partirono feroci dal miasma che ci aveva messo al muro e Xandra mi strinse in protezione, coprendo i miei occhi da quello che stava per accadere. Sentii che aveva eretto una barriera a nostra difesa, doveva essere di fuoco perché ne sentivo tutto il calore.
Cercai di dimenarmi, non volevo che combattesse solo lei ma la nostra protezione si dissolse facendo rumore. In quel momento chiamai a me l'unica persona che mi aveva mai fatto sentire al sicuro, come se avesse potuto fare qualcosa.
Un urlo disperato partì dal mio più profondo intimo, un urlò che non trovò sfogo nel vuoto ma che si espanse risuonando.
Enex... Aiuto!
Un istante dopo tutto intorno a noi si illuminò e il colpo che stava per ucciderci ci aveva risparmiato.
«Enex...?» le mie orecchie non potevano credere alla traballante voce di Xandra, era come un sussurro, ma talmente potente da risollevare tutte le nostre speranze.
Spostai le braccia della donna, liberando finalmente la visuale e vidi la figura di un uomo con i capelli rossi spezzare l'oscurità.
Il suo potere e la sua aura avevano scacciato il buio e rimandato al mittente l'attacco mortale di Fyren.
L'uomo rimase immobile, frapponendosi tra noi e la divinità. Ci dava le spalle in un familiare senso di protezione, i suoi arti erano neri come se fossero carbonizzati e alle sue estremità c'erano animaleschi artigli.
«Potete colpire questo corpo quanto volete» asserì il dio con le labbra allargate da un distorto sorriso «Non potete uccidermi, nessuno può farlo. Io esisterò sempre, io sono l'equilibrio per l'ago della vostra bilancia» cominciò a ridere colto dall'ironia della cosa «Potete solo soccombere, stupidi mortali».
Allungò la mano verso la sua lancia, richiamandola al suo fianco e questa si stacco dal suolo in cui era conficcata e gli volò a fianco.
«Non cambia che tu porti con te quel figlio ingrato, vi seppellirò tutti», scagliò la lancia contro l'uomo dai capelli rossi che non esitò a sguainare la sua spada rispondendo al suo attacco.
Il colpò destabilizzò la terra, che tremò, il pavimento si danneggiò sotto i piedi del nostro difensore ma non c'era timore sul suo volto.
«Allora divertiamoci un po', paparino...» un ghigno arrogante si allargò sulle sue labbra e le sue iridi rubino lo sfidavano con sfrontatezza.
Con un colpo secco fece volare la lancia lontano da se e, facendo fuoriuscire due membranose ali carbonizzate, si sollevò in aria.
Il suo avversario, sebbene riversasse in uno stato fisico disastroso, fluttuò in aria sollevato dal suo potere e, accompagnato dalla sua lancia, si lanciò in uno scontro aereo.
«Cosa è successo a Enex?» chiesi esterrefatta a Xandra. Era irriconoscibile: se non fosse stato per i tratti del viso, che ancora erano riconducibili allo ialino che avevo conosciuto, non avrei mai detto che quella creatura, più simile ad un drago, fosse proprio lui.
«Non c'è tempo da perdere!» mi prese per le braccia e mi riscosse dal torpore che mi aveva invaso «É arrivato il tuo momento» aggiunse poggiando con forza uno dei suoi coltellini sui miei palmi.
«Cosa?» le chiesi confusa, guardando l'arma tra le mie dita.
«Non è ancora finita! Enex avrà anche qualche possibilità di distruggere il corpo di Fyren, ma lui tornerà con uno nuovo di zecca e continuerà a versare sangue su Ariadonne finché non avrà sterminato la vita in questo mondo, o si sarà consumato. Dobbiamo procedere con il rituale, subito».
«Xandra... ma-ma come?! Nazca non è... lei e poi io... non so cosa devo fare. Non ho decifrato il rituale, non ne sono capace».
«Sono io» mi interruppe «È me che devi sacrificare» mi rispose guardandomi con la sua dolce espressione di quando cercava di rassicurarmi.
Io rimasi pietrificata.
«No» riuscii a sussurrare fissandola mentre la vista mi si offuscava. Le lacrime cominciavano a sgorgare silenziose, scivolando sulle guance.
«Ho parlato con Ginozkena è tutto a posto, è l'unica possibilità che abbiamo. Non ti preoccupare per me, sono pronta» mi forzò le mani, costringendomi a stringere l'impugnatura della lama.
«Non posso Xandra... Non posso!» le mani mi tremavano e anche se lei mi guardava con il suo sguardo intransigente io quella volta non potevo proprio ubbidire alla sua richiesta.
Come potevo farlo?
Lei sciolse lo sguardo severo e mi sorrise nuovamente con dolcezza.
«Immagino che ti stia chiedendo davvero troppo adesso, vero?» mi prese nuovamente le mani tra le sue e le sollevò come se fossero dei pesi morti.
Avevo a mala pena la forza per stringere l'impugnatura del coltellino, se non fosse stato per la sua presa salda mi sarebbero caduti.
Sentivo i miei arti così pesanti... talmente tanto che non riuscii a fermare il movimento che le sue mani mi costrinsero a fare.
Mi strattonò e un istante dopo qualcosa di caldo scivolò tre le mie dita, attraversando quelle di Xandra.
La donna fece un verso che cercò di trattenere il più possibile, smorzandolo con le labbra. Accasciò la testa sulla mia spalla sinistra e con una delle mani si aggrappò a me, lasciandomi una impronta calda proprio tra le scapole.
«Vi voglio bene» sentii il soffio della sua voce poi, con la mano che stringeva ancora le mie fece un ultimo sforzo e mi costrinse ad entrare ancora più dentro di lei, come se avessi dovuto raggiungere un qualche punto specifico all'interno del suo corpo.
«Tanani eriti yubo na singi wa uko maar gevade urmy, esal joub» le mie labbra cominciarono a muoversi da sole e quelle parole che non conoscevo uscirono con un solo soffio di aria.
Avrei voluto urlare, ma il torpore finì di anestetizzarmi e guardai inerme il corpo di Xandra cominciare a sgretolarsi, a cominciare dalla zona che avevo colpito. Proprio come successe a me quando evocai la dea madre.
Dalle crepe della sua pelle fuoriusciva una forte luce rossa e solo io potevo sapere il dolore che si sentiva in quel momento. Stava diventando un corpo spirituale, pura essenza magica. La trasformazione fu breve e quando terminò sentii un'enorme potere invadermi attraverso il pugnale, finche non vidi la sagoma di Xandra come risucchiata dall'arma stessa.
Percepivo il mio sangue scorrere più veloce, eccitato da quel sovraccarico di energia, il cuore era diventato una percussione nel petto e sentivo l'intero corpo bruciare.
Lasciai cadere il coltello a terra e con le mani tremanti osservai il mio corpo riempirsi di venature che si illuminavano ad intermittenza, mi sembrava quasi di esplodere, la vista mi calò nuovamente finché tutto si anestetizzò e un altro bagliore si dipanò, ma questa volta dal mio petto e il rumore di un fischio permeò l'aria.
Sei stata brava, lasciamo il resto a lui.
La voce di Ginozkena si sostituì al rumore e il silenzio assoluto mi avvolse. Ormai avevo imparato a riconoscere quel luogo: eravamo di nuovo nello spazio in cui lei dormiva, dove solitamente mi rinchiudeva quando si prendeva di forza il controllo del corpo.
Cosa hai fatto questa volta!? Cosa le hai detto per costringerla farlo!?
L'aggredii, lo sapevo che c'era il suo zampino dietro la decisione di Xandra. Fino alla fine era riuscita a fare a modo suo. La grande sacerdotessa aveva portato a termine il suo compito.
Lei scosse la testa, facendo ondulare la sua chioma di capelli neri, e con espressione triste ruotò il volto verso sinistra, notai che aveva delle lacrime che scendevano silenziose sul volto.
È tutto finito, Faith.
Chiuse gli occhi ed entrambe fummo illuminate dalla luce più bianca che avessi mai visto.
Quel figlio di puttana era davvero forte, ed era più pazzo dell'ultima volta in cui l'avevo affrontato.
Davvero non c'era fondo al potere dell'oscurità.
La mia unione con Ivanhoe mi permetteva di tenergli testa, ma lui viaggiava in questo mondo in una versione ridotta di sé e con la "scatola danneggiata". Se avessi dovuto affrontarlo al meglio delle sue forze, probabilmente mi avrebbe atterrato in pochissime mosse.
Studiai il suo modo di attaccarmi: la lancia era un'estensione del suo essere, come se fosse un quinto arto. I suoi attacchi erano sempre al massimo delle sue potenzialità, non si risparmiava mai e continuava a consumare energia su energia senza affaticarsi o perlomeno così sembrava.
Era difficile da comprendere con esattezza poiché sul suo volto era costantemente dipinto un'espressione di follia.
Che io lo colpissi, ferendolo, o che riuscissi a staccargli un braccio era come se la cosa non lo toccasse. Sembrava in uno stato di estasi da battaglia mistica, mi lasciava campo libero per poi approfittare della ridotta distanza tra di noi per inferirmi attacchi mortali che avevo difficoltà a schivare.
Era dannatamente imprevedibile e sentivo come se tutto il potere di Ivanhoe non sarebbe bastato per esaurire la sua sete di combattimento. Voleva abbattermi e avrebbe usato ogni goccia del suo infinito potere per farmi soccombere.
Quel combattimento non si sarebbe mai concluso a mio favore e quella consapevolezza in un'occasione diversa mi avrebbe abbattuto. Ma il potere di Ivanhoe non scorreva solamente nel mio corpo, la mia testa era piena di voglia di combattere che quasi lo trovai piacevole.
Avrei mai retto un combattimento senza fine? Che sfida esaltante! Ero un dio in quel momento, e gli avrei dimostrato che i figli superano sempre i propri genitori. Feci un prepotente ghigno e tornai a combattere con più vigore ma qualcosa disturbò la nostra gara.
«Eccolo, è lui!» Fyren interruppe ogni forma di ostilità e si soffermò a guardare sotto di noi «Finalmente è qui, Alyon!» rise compiaciuto chiamando quel nome in maniera di sfida. Mi sentii umiliato, quasi geloso che la sua attenzione non era più tutta su di me.
Rivolsi anche io il mio sguardo nella direzione che aveva indicato Fyren e notai subito che era attirato da Faith. Non so cosa le due donne avessero fatto, ma qualcosa di strano stava accadendo.
La ragazza aveva gli occhi completamente bianchi e un intenso cono di potere sacro si alzava da lei, tanto da generare delle correnti di aria così forti che mi destabilizzarono, impedendomi di volare agilmente.
Imprecai e cercai di osservare la scena, proteggendomi il volto con gli avambracci. Dal corpo di Faith sembrava alzarsi lentamente la figura illuminata di un uomo.
Fyren cominciò a ridere preso dalla pazzia, tutto contento mentre il cielo scuro cominciava a macchiarsi con luce purissima.
Nemmeno lui riuscì a reggere la corrente e insieme fummo scaraventati via.
L'ultima cosa che ricordo era la luce che finalmente scacciava l'oscurità poi, in quel bagliore accecante, una donna dai lunghi capelli neri apparve sopra di me. Aveva degli abiti leggeri e camminava a piedi nudi portando con sé una sfera che avevo difficoltà a distinguere.
Il contratto è sciolto.
Udii la sua familiare voce riecheggiare in quel bagliore, poi allargò appena le mani facendo scivolare la sfera proprio vicino al mio viso. Si frantumò e le schegge investirono il mio viso penetrando la mia pelle come dei parassiti.
Sentivo quei corpi estranei farsi spazio freneticamente nel mio essere, scavare dentro di me provocandomi dolore ovunque poi il vagito di un neonato riempì le mie orecchie, copriva il pesante respiro di Ginozkena che finalmente poteva prendere aria dopo le ultime spinte.
Il momento più bello della mia vita, quello in cui stringevo tra le braccia quel fagotto insanguinato ritornò a posto nella mia testa.
Quel giorno ero distratto nell'ammirare quei suoi piccoli stanchi occhi rossi che nonostante fossero appena venuti al mondo, osservavano bramosi quel nuovo mondo che la circondava.
Quando alzai lo sguardo per condividere con Ginzokena quella inaspettata felicità lei non c'era più e uno spiffero freddo entrava nella stanza dalla porta di ingresso.
Un solo istante, durato troppo, e lei era sgattaiolata fuori senza dire nulla.
Il mio sorriso mutò subito in preoccupazione e di istinto feci un passo svelto verso la porta: sapevo dove era diretta e dovevo aiutarla! Ma il pianto di Nazca mi fermò.
La guardai di nuovo, ma questa volta con un senso di rabbia che mi montava dentro: Ginozkena non poteva affrontare Uriel da sola, non senza i poteri divini e men che meno dopo il turbolento parto che aveva avuto ma non potevo allontanarmi dalla piccola.
Ginozkena sapeva che nonostante io preferissi lei a quell'essere debole ed estraneo che tenevo teneramente tra le braccia, avrei comunque messo da parte le mie convinzioni per proteggerla. Aveva lottato tanto per riuscire a portarla al mondo, aveva espresso diverse volta la sua volontà di farla esistere a sua discapito e non riuscivo a non sottostare nuovamente ai suoi desideri.
Mi avvicinai alla porta riscaldando la bimba con il mio calore, e osservai l'orizzonte. Percepii la presenza di Ginozkena allontanarsi da quel luogo e quella di Uriel farsi più vicina. Abbassai il volto e facendo appello a tutta la fiducia che avevo in lei, mi chiusi la porta alle spalle.
Ripetevo tra me e me che lei sarebbe tornata, tornava sempre e neanche in quell'occasione mi avrebbe deluso.
Qualche ora più tardi, la porta principale si aprì e lei fece capolino in casa con gli abiti sporchi di sangue e uno squarcio nel petto.
Portamela
Fu l'unica cosa che mi disse mentre crollava in ginocchio sul pavimento dell'ingresso. Con gli occhi lucidi e i denti stretti sulle labbra si aggrappò a Nazca che dormiva.
La strinse forte a sé e fissò per diverso tempo il suo piccolo volto, voleva accarezzarla ma la mano sporca di sangue le tremava così tanto che la ritirò, probabilmente per paura. Avvicinò i loro volti che per un attimo si sfiorarono poi vidi i suoi occhi accennare a chiudersi così mi porsi subito al suo fianco per sorreggerla. La pregai di farsi curare ma mi spiegò che non c'era tempo, che non era riuscita a sconfiggere del tutto Uriel e che c'era una cosa che dovevamo fare prima che spirasse.
Fu quel giorno che incontrai Xandra, o perlomeno che mi fu presentata. Insieme entrammo nel giardino della creazione e dopo aver trasferito qualcosa dal corpo dell'hent a quello della bambina, la vidi sigillare nell'ambra la donna dai capelli biondi senza neanche spiegarmi cosa avesse in mente. Mi diede la bambina in braccio e mi chiese di aspettarla nuovamente nella casa sul lago, ma lei non vi fece più ritorno.
Era chiaro che qualsiasi cosa avesse dovuto fare, si era spenta nel tentativo di portarla al termine.
La rabbia che si accese, quando la speranza di vederla viva si spense, mi avrebbe trascinato all'iconmourner se non fosse per il sorriso di quella bambina dai capelli corvini che si specchiava dentro di me.
Era un uragano di vitalità e curiosità, io stesso avevo difficoltà a starle dietro. Aveva un potere così grande che, proprio come la madre, riusciva a tenere a bada Ivanhoe prigioniero dentro di me. Era bellissima e crebbe così velocemente che presto nelle sue forme potei vedere quelle di Ginozkena, o forse ero io che non riuscivo a soppesare i giorni che passavano in sua compagnia finché qualcosa cambiò, uno dei suoi occhi divenne dorato e dopo avermi sconfitto in combattimento cancellò i miei ricordi, eliminando dal mio passato la sua esistenza.
Quello fu il giorno in cui Nazca cominciò a solcare Ariadonne nei panni di Xandra, nascosta in bella mostra, si faceva beffe degli dei e del fato che l'attendeva.
Quando la luce arretrò mi ritrovai all'apice di una strana esplosione. Non c'era odore di bruciato, ma tutto intorno a me aveva subito consistenti danni. L'aria era leggera, gli uccelli cinguettavano e il sole mi riscaldava il viso.
Non so cosa Ginozkena avesse fatto, ma era davvero tutto finito. Non c'era più traccia di Fyren, e tutto il potere che aveva riversato su quella terra era stato purificato.
Qualche metro più avanti giaceva Nazca, potevo udire la sua voce gemere e la vidi tentare di rialzarsi con sforzo.
Ero così sollevata, almeno lei era salva.
Volevo correre ad aiutarla ma la presenza di Enex attirò la mia attenzione. Le sue ali piumate fecero capolino davanti a me e il mio cuore ricominciò a sobbalzare. Era vivo ed era tornato in sé!
«Faith!» sentii la sua voce invocare il mio nome con enfasi e con lacrime di gioia allungai le braccia verso di lui per cingerlo in un abbraccio al volo. Ma lui mi superò e con voce spezzata continuò a chiamare il mio nome.
«Enex...»
Il sangue mi si raggelò, lo chiamai a mia volta, cercando in qualche maniera di rassicurarlo ma non mi voltai. Non volevo vedere.
«Enex, sono qui...» cercai di attirare la sua attenzione anche se con un filo di voce ma in quel momento lui scoppiò a piangere e io non potei più fare finta di non sapere.
Evitare di voltarmi non bastava più per scappare alla verità.
Mi girai di scatto e la figura di Enex, inginocchiata al suolo abbracciato al feticcio che chiamavo corpo, squarciò il velo della mia illusione.
«Non farmi questo, ti prego. Non tu, non di nuovo», lo sollevava come a dondolarlo e ne accarezzava i capelli nascondendo il volto tra le pieghe della casacca.
Enex, sono qui! Guardami!
Cercai di attirare la sua attenzione verso di me, ma la mia voce sembrava non raggiungerlo.
«Dovevamo vivere insieme, qualsiasi vita avessimo scelto, sarebbe stata finalmente la nostra. Ero così felice... Torna da me, ti prego, Faith!».
Enex!
Lo chiamai più forte che potevo e per un attimo interruppe le lacrime alzando lo sguardo da quel finto corpo che lentamente aveva cominciato a riprendere il colore della terra utilizzata per crearlo.
Lo so che puoi sentirmi! Enex sono qui!
Le spoglie che cingeva cominciarono a sgretolarsi e lui fu attirato dai pezzi che sempre più velocemente cominciava a perdere.
Faith, è ora di andare.
sentii nuovamente la voce di Ginozkena e istintivamente sentii l'esigenza di colpirla ma il mio pugno le passò attraverso.
Non mi portare via ti prego! Non è giusto! Io non voglio tornare a casa! Avevo deciso di rimanere qui, fammi tornare!
Non riuscivo a tenere a freno le lacrime anche se fremevo di rabbia.
Faith, non dipende da me... non c'è mai stata nessuna scelta.
Sembrava davvero dispiaciuta, non so se per me o perché anche lei stava nuovamente lasciando quel mondo.
Ma Xandra... lei ha detto che mi avrebbe riportata indietro, quindi...
Lo ricordavo bene, aveva detto che mi avrebbe riportata indietro lei visto che era mio desiderio, quindi se non avessi voluto non sarebbe stato necessario.
No Faith, Xandra non lo sapeva, ma quest'ultimo incantesimo ci ha consumate, il nostro ritorno qui era finalizzato a riportare l'equilibrio, e nel momento in cui lo abbiamo fatto si è concluso.
Fummo avvolte entrambe da una flebile luce e sentii sollevarmi come se qualcuno mi stesse strappando via. Presa dal panico, mi voltai per cercare di aggrapparmi ad Enex, ma lui era così occupato a piangere sulla polvere che non si accorgeva che io mi stavo allontanando per sempre da lui.
ENEX!
Lo chiamai ancora più forte, la mia voce squarciò il cielo e finalmente gli occhi di Enex si posero su di me. Finalmente mi vedeva. Scoppiai a piangere mentre lui si alzò e allungando le mani al cielo nella mia direzione mi sorrise:
Ci incontreremo di nuovo... te lo prometto.
Non potei sentire la sua voce, ero sempre più lontana ma potei udire l'eco di quella promessa bugiarda riecheggiare dentro di me.
Non piangere.
Ginzokena avvicinò le nostre due essenze, anche se non poteva toccarmi come possono fare due persone vere, sentii il suo calore avvolgermi come se mi stesse abbracciando.
I ricordi di Ginozkena erano tornati e insieme a loro anche quelli di Nazca. Non comprendevo cosa fosse successo: credevo di aver rinunciato a quella parte della mia vita per salvare Faith eppure adesso tutto era di nuovo al suo posto.
Finalmente la mia mente era priva di ombre.
Ma avrei preferito ancora l'oblio, se mi avesse permesso di non rivivere di nuovo la sua perdita.
Quella era l'unica evenienza che non avevo calcolato, ma non potevo fare altro che imprecare mentre il corpo tra le mie mani tornava ad essere cenere e terra tombale. Senza neanche avere la consolazione di seppellire un corpo, proprio come la prima volta.
ENEX!
Sentii un grido disperato chiamare il mio nome, era la voce di Faith ma non proveniva dai suoi resti. Alzai lo sguardo poco avanti a me e potei vedere la sua figura evanescente cercare di avvicinarsi a me, solo per qualche breve istante. Poi sparì, insieme all'eco della sua voce.
La sua anima abbandonava di nuovo Ariadonne e io non potevo fare altro che assistere impotente. Alzai le mani nella direzione in cui percepii la sua anima scomparire, cercai di afferrarla sperando di riuscire in qualche modo anche solo di sfiorare la sua essenza, anche se non era più visibile ai miei occhi e trattenendo quelle vergognose lacrime commisi l'ennesimo errore della mia vita.
«Ci incontreremo di nuovo... te lo prometto».
Non sapevo come, né quando, ma non avrei più lasciato che qualcosa o qualcuno ci separasse.
Lei non era morta, lei esisteva, anche se in qualche luogo a me sconosciuto, in qualche tempo a me lontano e questa volta non ci sarebbe stato nulla che mi avrebbe fermato.
Non importava quante lune sarebbero dovute nascere, o quanti soli avrei dovuto vedersi spegnere all'orizzonte.
L'avrei ritrovata, a qualsiasi costo.
«Buongiorno, signora Malone».
La porta del reparto a lunga degenza dove avevamo fatto ricoverare Faith si aprì e il sorriso gentile dell'infermiera Smith rasserenò appena il mio animo. Anche se davvero per poco... non ero più la signora Malone e quelle parole, seppure così cordiali me lo avevano ricordato crudelmente.
Il terremoto di tre mesi fa aveva distrutto tutta la mia vita. Oltre alla casa con cui vivevo con la mia famiglia, aveva portato via con sé Faith, il mio lavoro e il mio matrimonio.
Ero completamente persa, con il conto in banca che veniva prosciugato dalle spese mediche ma, nonostante tutto, mi aggrappavo alla fioca speranza che Faith riaprisse gli occhi, un giorno di questi...
«Ci sono cambiamenti?» le chiesi mentre percorrevamo a passo lento quei corridoi così bianchi che mi sembrava di attraversare il passaggio verso un altro mondo, il luogo in cui Faith ancora viveva, a metà tra me e chissà quale sogno. Mi sentivo sempre soffocare, i termosifoni erano impostati ad una temperatura così alta che mancava sempre l'aria, e la sensazione andava peggiorando quando mi avvicinavo alla porta della sua stanza.
«La notte è passata tranquilla, abbiamo già cambiato la flebo, può andare da sua figlia»,
conoscevo la strada, ricordavo a memoria ogni mattonella, ogni imperfezione di quelle mura che preservavano ciò che era rimasto di Faith. Non c'era stato giorno che non avevo passato nella sua stanza, anche se Ray mi ripeteva che non mi faceva bene. Come potevo lasciarla da sola? Come potevo anche solo pensare di abbandonarla? E poi, quando non ero qui mi sentivo impazzire e pensavo solo al momento in cui avrei di nuovo varcato la soglia di quella porta.
Sistemai la giacca sull'appendiabiti e aprii appena le finestre, la brezza autunnale entrò portando via l'aria viziata della notte, presi un lungo respiro e mi girai verso il letto. L'esile figura di Faith giaceva su quel materasso, immobile e placida da così tanto tempo che il suo corpo cominciava a piagarsi.
Abbozzai un sorriso come se lei avesse potuto vedermi e mi schiarii la voce per scacciare ogni brutto pensiero dalla mia testa.
«Buongiorno, tesoro - dissi con voce allegra - Che dici, oggi ti metto un po' di smalto ai piedi?» le chiesi avvicinandomi al suo capezzale, poi le accarezzai il dorso della mano destra per farle sentire la mia presenza. Presi la spazzola e uno smalto rosa confetto dal beauty-case e mi apprestai a prendermi cura di lei. Non poteva andare da nessuna parte ma non per questo doveva essere in disordine.
La osservai e il pensiero che stavo per trasferirla in una struttura pubblica riempì nuovamente la mia testa e i miei occhi. Ero rimasta senza un soldo ma la cosa che più mi preoccupava era di non poter più passare quei momenti insieme a lei.
Sarei caduta nuovamente in depressione se non fosse stato per quei gentili signori che si erano interessati al nostro caso. Un'associazione di beneficenza aveva accolto i miei appelli su internet e si erano proposti di pagare tutte le spese mediche di Faith. Ne fui terribilmente sollevata ma a volte ancora mi domandavo se avessi realmente fatto bene ad affidarmi a loro...
Le mie preoccupazioni però furono scacciate dal rumore dell'encefalogramma, i dottori mi avevano spiegato che per via delle anomalie che avevano riscontrato nelle analisi di Faith era necessario tenerla costantemente sotto controllo. Ma era da parecchio tempo che quella macchina attaccata al cervello di Faith non rilevava attività insolite.
Rimasi col fiato sospeso finché non la vidi muovere le dita. Un nodo si strinse nel mio stomaco ma continuai a fissarla pregando che quella fosse la volta buona poi lei spalancò gli occhi, come se si fosse svegliata da un incubo. I miei si offuscarono quasi di riflesso, ma non mi fu necessario vedere per abbandonare quello che stringevo tra le mani e precipitarmi in lacrime al suo capezzale.
Lei alzò di scatto il busto ma io la fermai stringendola al mio petto. Urlava disperata e piangeva dimenandosi tra le mie braccia. Lottava con una forza che non poteva assolutamente avere dopo tutti quei mesi di immobilità.
«No! No! Enex, no!»
Ero confusa, felice ma triste allo stesso tempo. Non capivo perché o come, ma mi bastava che lei fosse di nuovo sveglia.
La dondolai mentre le lacrime non smettevano di rigare le mie guance, la chiamavo dolcemente, con un filo di voce e pian piano riuscii a farla abbandonare a me e a quelle lacrime che nessuna delle due riusciva a fermare. Nel frattempo la stanza si riempiva di medici e infermieri, attirati dalla confusione e mi guardavano esterrefatti alla ricerca di una spiegazione.
Era il miracolo per cui avevo pregato tutte le notti, da quel momento le cose potevano solo migliorare.
«Hai fatto una promessa difficile, lo sai?» Sentii i passi della donna dai capelli biondi venire verso di me, superarmi e recuperare entrambe le armi ad asta che ormai giacevano a terra. Il bastone che avevo regalato a Xandra e quello decorato dalla pietra magica di Ginozkena.
Il combattimento era finito, Fyren era stato sconfitto anche se non avevo capito cosa era successo.
«Immagino che tu sia la vera Xandra» affermai pulendo con il tessuto delle maniche le lacrime che avevo permesso di uscire.
«In carne ed ossa, questa volta» piegò appena il busto in avanti in un piccolo inchino «Mi dispiace non poter essere stata d'aiuto durante il combattimento. Sono stata separata troppo tempo dal mio corpo e ho avuto difficoltà a ricongiungermi completamente» mi spiegò.
Era così distaccata, quei capelli come il sole, quegli occhi così luminosi... sapevo che era Xandra eppure non riuscivo a convincermene fino alla fine.
«Cosa è successo qui? Fyren è morto?», tutto intorno a noi era in macerie, anche la parte esterna del tempio cadeva a pezzi eppure, aleggiava una pace mai vista prima.
Lei mi guardò come se fossi un folle e accennando un sorriso scosse la testa.
«I tuoi occhi non possono vedere, ma oggi è successo qualcosa di straordinario, un errore millenario è appena stato corretto. Finalmente le tenebre di Ariadonne sono libere», chiuse gli occhi e sollevò il volto al cielo rimanendo in silenzio.
La guardai annuendo, non avevo compreso appieno il significato delle sue parole, ma la guerra era finalmente finita e qualcuno mi aveva insegnato che quella era la cosa più importante... anche se a me, ormai, non era rimasto più nulla.
«Tornerai a casa?» mi domandò rivolgendomi nuovamente il suo sguardo, sembrava squadrarmi e studiarmi.
«Non sono fatti che ti riguardano» le risposi alterato, volevo solo andare via prima di dare di matto.
«Capisco, quindi sei deciso a mantenere la tua promessa...».
La guardai severo, stringendo una mano a pugno nel tentativo di sfogare su di me quella rabbia. Mi allontanai da lei dandole le spalle e aprii le ali per volare via da quel luogo.
«Mi troverai alla congrega se avrai bisogno di aiuto...» sentii la sua voce poi mi librai in volo verso la mia nuova e sconosciuta meta.
Il primo passo del viaggio che mi avrebbe ricondotto da lei.
FINE
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