Capitolo 27 - Parte IV

È tutto vero... Uriel... la bambina...
La sua voce era esitante, dentro di me percepivo le sue emozioni, era provata e sentivo crescere nel petto il dolore che le apparteneva.

Ma non sono cose che ti devono interessare. Questa volta dobbiamo ucciderla.
Riprese indurendo la voce.

Ginozkena ma lei... è tua sorella... come puoi farlo?!
Lo sentivo chiaramente che quella non era la strada giusta o la strada che lei avrebbe voluto davvero intraprendere. Lo percepivo dalle emozioni che non riusciva più a nascondermi. Era determinata sì, ma per qualche ragione si sentiva... in colpa.

Tu non capisci! Non c'è più nulla di umano in lei. è solo un involucro di carne, posseduto dallo spirito corrotto di colei che un tempo era mia sorella. L'unica cosa che possiamo fare è avere pietà e porre fine alla sua esistenza tormentata dal potere oscuro, proprio come fanno gli ialini neri.

Sei tu che non capisci!
Le risposi finalmente a tono, non mi sentivo più da meno di lei. Lei non era perfetta, lei non era infallibile, le sue parole non erano legge, non più perlomeno. E adesso era ora che ascoltasse anche quello che avevo da dire io.

Come puoi essere cieca fino a questo punto? Quello che abbiamo passato a Talormoran davvero non ti ha insegnato nulla? Le anime corrotte non troveranno mai la pace! Dobbiamo purificarla come abbiamo fatto con le nahikae.
Cercai di farle aprire gli occhi, anche se era vero che non c'erano più speranze per lei non poteva permetterle di morire in quello stato.Infondo era quello l'obiettivo di Illidea, il motivo per cui aveva lottato così strenuamente al fianco degli ialini neri.

Lo sapevo che non ne saresti stata capace se avessi saputo la verità. Per questo ti ho tenuto all'oscuro sull'identità di Uriel, ma non importa. Lascia a me il controllo. Finirò da sola ciò che ho lasciato in sospeso anni orsono.
Mentre lottavo per evitare di essere sopraffatta dal ghiaccio di Uriel, fui investita dal potere di Ginozkena che provava ad allontanarmi dal nostro corpo.

Fu come prendere a muso duro un treno in corsa. Il dolore aumentava, mi sentivo soffocare da un peso migliaia di volte più grande di me, di quello che potevo sopportare. Ma strinsi i denti , non gliel'avrei data vinta questa volta.

Non le avrei permesso di avere l'ennesimo rimpianto. Se solo si fosse fidata di me, se solo mi avesse lasciato fare di testa mia. Ce l'avrei fatta, ne ero sicura! Anche a costo di esaurire tutte le mie energie io... l'avrei salvata!

Combattei oltre ai miei limiti ma avevo la sensazione di svenire da un momento all'altro finché non sentii il potere di Uriel sopraffarmi. Il ghiaccio di colpo mi congelò fino al collo e solo la presenza di un nuovo potere mi salvò dall'esserne completamente sommersa. 

In quel momento anche Ginozkena si interruppe e tutti ci voltammo nella direzione in cui giaceva Nazca. Xandra l'aveva raggiunta, stringeva le mani della ragazza ed entrambe erano avvolte da una forte luce.

Oh no...
Sentii Ginozkena preoccupata mentre un ghigno divertito si delineò sul volto di Uriel

«C'è da dire che non ti mancava il cervello quando eri in vita, sorellina...» soddisfatta, si voltò verso di me e mi puntò la mano libera contro. Sul suo palmo cominciò a crescere velocemente una sfera di energia di potere.

«Adesso non ho più bisogno di te... dì addio a questo mondo».

Il fuoco lambiva la terra e ogni cosa che mi circondava ma nonostante tutto sentivo, tranquilla, la voce di Dix

«È inutile che la fai scappare. Dopo aver ucciso te, passerò a lei, e questa volta non le permetterò di reagire. Ti godrai lo spettacoli dall'alto dei cieli» non lo vedevo da nessuna parte, eppure era lì. Non avevo idea di come facesse a resistere a quel fuoco ma a quell'ora avrebbe dovuto contorcersi per le fiamme eterne. 

Sentii la sua risata e lo vidi attraversare il fuoco, avvolto da quell'aura viola che ben conoscevo.

«Sorpreso? La mia padrona ha condiviso con me il potere del nostro signore Fyren, nulla potrà più fermarmi. Neanche quella stupida mocciosa. La pagherà per quello che mi ha fatto!».
Era potente, c'era da ammetterlo. Non dovevo sottovalutarlo.

«Non mi dire che questa puzza che sentivo proviene da te» lo provocai, quando riuscivo ad avvicinarlo sentivo l'odore di qualcosa a me familiare, l'odore della ferita più grossa che l'orgoglio di uno ialino potesse patire. 

Lui distorse il volto in una smorfia di insofferenza e capii di aver indovinato. Scoppiai a ridere di gusto, qualcuno mi aveva levato il gusto di strappargli le ali.

«Tsk, perlomeno io una ancora la ho» disse dischiudendo l'ala destra, l'odore si fece più nauseabondo tanto che dovetti coprirmi per un attimo il naso. Non ero più abituato.

«Mi dispiace per te», lo guardai con aria di superiorità e aprii con orgoglio le mie «Non so proprio di cosa stai parlando. Ma stai tranquillo, presto sarai simmetrico!» lo minacciai ma lui era troppo sconvolto dalle mie ritrovate ali.

In tutta la storia degli ialini nessuno aveva mai riottenuto ciò che la recisione aveva levato. Nessuno a parte me.

Digrignò i denti, sembrava per perdere la testa, il suo sguardo era quello di un pazzo pronto all'azione ma a discapito della situazione incrociò nuovamente le braccia e rise.

«Sai cosa succede quando la luce è più intensa?» Mi domandò calmo, formando altre emanazioni dietro di lui. Erano forse un centinaio e sapevo che a breve le avrebbe riversate tutte su di me. Era davvero strano tutto quell'autocontrollo. Qualsiasi ialino avrebbe sbroccato davanti a quella provocazione ma probabilmente aveva ancora un asso nella manica che non aveva ancora sfoderato. Era convinto di vincere, dovevo fare molta attenzione.

«Cosa? Che ti accechi?» gli risposi stringendo la spada di mio padre con entrambe le mani. Mi serviva tutta la forza che avevo per contrattaccare. Le lame oscure si staccarono dalla loro nicchia di creazione e, proprio come le volte precedenti, cominciarono ad inseguirmi. Corsi spostandomi tra le fiamme per farmi da scudo con loro ma qualcuna riuscì a resistere.

Quella volta erano davvero troppe, avrei dovuto smettere di giocare con lui e decidermi ad ammazzarlo una volta per tutte.

«No, le ombre diventano ancora più forti» esclamò e improvvisamente mi bloccai, come se qualcosa avesse arrestato di colpo i miei movimenti. Mi sentii comprimere su tutto il corpo mentre le risate del mio avversario si fecero più insistenti.

«Sei nella mi trappola adesso».

Trappola? Ombre? Mi guardai intorno per analizzare la situazione e con la giusta chiave di lettura mi fu semplice capire cose fosse successo. Non appena avevo messo un piede fuori dalla zona più calda, e luminosa, la mia ombra si era proiettata sul terreno ma non era normale, sembrava tremolante e spessa, come se qualcosa o qualcuno la stesse trattenendo.

Dovevo fare qualcosa, se la luce delle fiamme aveva creato un campo di battaglia favorevole per la sua tecnica allora mi sarebbe bastato richiamarle a me e il gioco era fatto. 

Ma un dolore alla schiena fermò ogni pensiero e vidi la lama di una spada fuoriuscire dal mio petto. Risplendeva della luce oscura del potere del dio e capii subito che ero fottuto.

«Il regno dei morti ti aspetta... Enex» vidi il filo dell'arma ruotare nel torace e il dolore si intensificò oscurando completamente la mia lucidità. Cominciai a tossire leggermente, ma abbastanza forte da provocarmi ancora più fitte, mi sentivo mancare il fiato e dalla mia bocca scivolò un rivolo caldo.

Alzai gli occhi, cercavo il dannato che mi aveva colpito alle spalle ma mi ritrovai davanti quelle maledette spade immateriali, ancora una volta, che si addensavano minacciose di colpirmi.

Cercai di combattere contro il controllo dell'ombra, contro il potere che mi invadeva dalla ferita per annientarmi per reagire anche a quell'attacco ma non riuscii a vincerla.

Le spade mi trapassarono, ognuna una parte diversa del corpo.

Mi sentii mancare ma non ebbi quella fortuna, nulla mi poté salvare dal provare tutto il dolore della pelle che si lacerava, centimetro per centimetro, della carne violata dalle lame. Mi sentii impazzire. 

Era quella la fine che aveva avuto Skill? Era quello il dolore che aveva provato? Forse mi meritavo di morire anche io così. 

Non ero mai riuscito a proteggere nessuno, tutte le persone a me care erano morte e continuavano a farlo intorno a me .Ormai era la fine del viaggio, la fine del nostro gruppo e forse era destino che io non riuscissi a vedere la sconfitta di Uriel.

Sentii la lama metallica fuoriuscire dal petto e per un attimo ebbi sollievo, solo qualche istante perché poi quelle immateriali scoppiarono sprigionando il potere al loro interno. I colpi squarciarono ulteriormente il mio corpo, provocando dei crateri dove prima c'erano conficcate le lame.

La loro potenza mi sbalzò in aria diverse volte finché non caddi al suolo, inerme ma ancora cosciente, aggrappato al filo reciso della mia vita, solo per mera forza di volontà.

La facilità con cui riuscii ad evitare il combattimenti con Uriel fu sospetta, ma non avevo tempo per pensare alle ragioni. Feci uno scatto verso l'altare e lottando contro il tempo sollevai il volto della nostra compagna e con voce tremolante chiamai il suo nome.

«Nazca! Nazca!» la scossi per capire il suo stato, era incosciente e i suoi occhi spenti. Abbassai lo sguardo alla sua ferita e subito poggiai la mano libera sul suo ventre.

«Ci sono io! Stai tranquilla, non permetterò che tu muoia!» socchiusi gli occhi e sussurrai le parole dell'incantesimo di cura. Rimarginai la ferita ma solo in quel momento mi accorsi che in lei c'era qualcosa di strano. 

Il suo corpo era deperito, malnutrito e disidratato, ma non era quello che mi sconvolse. Quelle erano pur sempre condizioni normali, seppur terribili, dovute alla lunga prigionia in mano a quelle belve, ma la cosa anormale era che lei sembrava... vuota.

Si destò dopo la mia cura così allontanai subito la mano dalla sua pancia per interrompere il flusso di energia ma lei me la strinse con entrambe e la tirò nuovamente a sè. 

Sentii ancora l'energia muoversi tra di noi ma questa volta era lei che la prendeva da me contro la mia volontà, i suoi occhi diventarono bianchi e sussurrò qualcosa per la prima volta.

«Sei tu quella che non deve avere più paura» udii quella voce, flebile eppure molto chiara e a me familiare.

Percepivo la mia energia migrare dentro di lei eppure non mi sentivo debole, il mio battito aumentava mentre qualcosa dentro di me mutava.

«È tutto a posto» continuò rassicurandomi, i suoi occhi presero il colore dell'oro «Adesso sei libera».

Presto sarai libera...
Le parole della mia voce interiore tornarono alla mente e confusa mi allontanai fissando Nazca. 

Lei... lei era cambiata. Le sue orecchie non erano più curve, sporgevano a punta fuori dalla sua chioma dorata. I tratti del suo viso e del suo corpo si erano accentuati, come se avesse avuto una crescita improvvisa alla matura età e mi guardava seduta sul marmo dell'altare con sguardo materno.

«Non abbiamo molto tempo e lo so che adesso sei confusa» scese svelta, posò le mani sul mio volto spostando i capelli dietro le orecchie.

Istintivamente me le toccai per coprirle e subito percepii l'assenza della punta. Le mie orecchie erano uguali, erano entrambe curve e nel riflesso dei suoi occhi commossi potei vedere i mie completamente rossi.

«Adesso non ho più bisogno di te... dì addio a questo mondo».
La minaccia di Uriel riecheggiò nell'aria attirando la mia attenzione. Ero stata così assorbita da quel momento che avevo dimenticato di vegliare su Faith.

Voltai il capo e mi accorsi che era in pericolo.

«Va', vai a salvarla. Sprigiona il fuoco che ti ha donato tuo padre e respingi le tenebre».

«Il... fuoco?» allungai le mani verso l'esterno e queste cominciarono a bruciare. Ma non era un fuoco magico qualsiasi... era la fiamma eterna.

Com' era possibile? Proprio io? Fin dall'inizio? Eppure così improbabile non era: i vuoti; la memoria nitida a tratti, come se fosse stata asincrona; quella voce; il mio corpo e poi ancora l'immunità al danno del fuoco di Ivanhoe... Io... Sì... Ero io...

Ne sono sicura...è una bambina... Non è vero piccola mia? Sarai una fiera femminuccia, Nazca.
Un ricordo balenò nella mia testa, uno ancestrale della calda voce della persona che mi portava nel grembo, che chiamava il mio nome in attesa della mia nascita. Ginozkena...

Strinsi i denti, ruotai il corpo nella direzione di Uriel e urlando le puntai i palmi contro. Il fuoco solleticò tutto il mio corpo: dalla punta dei piedi risalì sul mio busto, la mia mente era eccitata da quel potere e continuavo a concentrarne ancora di più nelle mani provocando due getti di fuoco che investirono la donna, presa di sorpresa.

Uriel, si voltò per coprirsi con le mani ma il mio attacco si riversò crudele su di lei. Cominciò ad urlare in preda al dolore mentre il suo corpo e il suo spirito venivano consumati dalle fiamme.

Il mio attacco destabilizzò completamente Uriel e Faith fu libera dalle grinfie del suo ghiaccio. Approfittai del momento per avvicinarmi a lei e aiutarla. Sembrava incosciente e appena la toccai mi ritrovai catapultata in uno spazio non fisico. 

 Nel buio di quello spazio una luce si sprigionava, non era abbastanza forte per illuminarlo ma da essa si plasmò una figura umanoide. Una donna, dai lunghi capelli corvini, ritta di fronte a me, con indosso i panni da sacerdotessa.

«Come... sei diventata grande» la voce sommessa della donna era flebile, fece un passo verso di me ma non lo completò. Si chiuse nelle spalle e poggiò le mani sul ventre in un gesto materno «Speravo che un giorno avrei potuto parlarti di persona, sono davvero contenta che ci è stata concessa questa occasione».

«Ginozkena... tu...» tesi la mano verso di lei e avanzai di qualche passo. La sua presenza sembrava evanescente, come se dovesse sparire da un momento all'altro e io desideravo poterle parlare, non volevo vederla scomparire ancora una volta.

«Perdonami per averti dato in eredità un così grande fardello. Ho sbagliato e i miei errori sono ricaduti su di te» si inginocchiò tremante e un lieve rumore di catene fece eco in quell'antro senza pareti. Si strinse nuovamente nelle spalle e la sentii singhiozzare.

«Io non volevo, non volevo che tu avessi una vita come la mia, costringerti a tutte quelle rinunce oppure ad una non esistenza dentro ad un bozzolo senza tempo. Non dopo aver già condannato il tuo destino, così ebbi quell'idea... chiamai la mia allieva Xandra e le chiesi di sostituirsi a te. Trasferii la sua coscienza e i suoi ricordi dentro di te e quello che rimase del suo corpo lo sigillai nel giardino della creazione in attesa di recuperarla quando tutto si sarebbe dovuto compiere. Così tu hai potuto vivere, anche se una vita di bugie, una vita a metà e segnata dall'esistenza di Xandra nella tua testa». Sembrava dannarsi, stringendo al petto la mano a pugno.

«Adesso basta... madre... » mi avvicinai a lei riuscendo chiamarla con quel nome.

Lei alzò lo sguardo e mi rivolse uno carico di stupore. Mi inginocchiai al suo fianco e l'abbracciai per consolarla.

«Voi avete lottato per così tanto tempo da sola, smettetela di biasimarvi. Io... sono stata felice, ho vissuto la mia vita sentendomi utile, valorizzata e adesso so che sono stata anche così profondamente amata... » a quelle mie parole i suoi singhiozzi si fecero più intensi e la sentii abbandonarsi a me nonostante la sua presenza fosse di pura luce.

«Non dovete più preoccuparvi, adesso a Uriel ci pensiamo noi. Le ho inflitto un colpo che l'ha gravemente danneggiata, di questo passo non servirà neanche più il rituale». Ginozkena scosse la testa, e allontanandomi appena alzò il busto guardandomi. Mi accarezzò il volto e scacciò per un attimo le lacrime.

«No, piccola mia. Quel rituale non è per Uriel, quell'incantesimo permetterà a lui di portare pace all'oscurità, ed era necessario essere qui, all'isola dell'equilibrio perché è il posto più vicino al mondo celeste, il ponte tra il nostro mondo e quello degli dei. Solo qui abbiamo l'unica possibilità di liberarlo il tempo necessario per farlo agire».

Se da una parte alcune domande avevano trovato la loro risposta, dall'altra una nuova marea aveva invaso la mia testa. Liberarlo? Portare pace all'oscurità? Cosa voleva fare? Uccidere il dio dell'oscurità?

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