Capitolo 26 - Parte II
Alzai la testa sbigottito, non potevo aver sentito bene: forse era solo il mio desiderio di mortale che mi dava le allucinazioni. La guardai, esitando dal dire qualsiasi cosa che potesse spezzare quel miraggio.
«I preparativi per la partenza sono ultimati. I sacerdoti neri che hai guidato qui erano l'ultimo tassello del piano del nostro signore. Presto saremo alle pendici dell'isola dell'equilibrio, alla presenza del suo difensore.» si avvicinò nuovamente verso di me, allungandomi una mano e incitandomi a rialzarmi.
Tornai in piedi e in silenzio l'ascoltai.
«Non so che intenzioni abbia Fyren, senza il potere del fuoco eterno, non c'è modo di superare il potere di guarigione della linfa del drago dell'acqua; lui sembra molto sicuro ma io... io ho bisogno di te. Ho bisogno di sapere che posso fidarmi di te...»
La mia signora mi stava confidando i loro grandi piani, nonostante i dubbi che l'avevano attanagliata durante la mia assenza, aveva una tale fiducia in me da affidarmi quelle informazioni.
«Non dovete avere nessun dubbio a riguardo. La mia fede non è verso Fyren; la mia unica divinità siete voi.» mi genuflessi come davanti ad una icona sacra. Presi la sua mano destra e le feci il baciamano.
«Alzati, mio adorato. Non nascondere ancora il tuo volto. Non ho più alcun sospetto su di te, voglio ricompensarti per la tua fedeltà. Voglio farti un dono» lei prese il mio volto e lo accarezzò
«Condividerò con te il potere che mi è stato concesso dal nostro signore delle oscurità.»
«Cosa?»
Non potevo credere alle mie orecchie.
«Alzati» mi ordinò, e quando fui nuovamente in piedi, sentii il suo tocco spingermi verso il letto. Mi costrinse a sdraiarmi e con movenze trascinate cominciò a strofinare il petto sul mio finché non si sedette a gambe divaricate sul mio bacino.
«Domani, mio caro, è il grande giorno» annunciò muovendo le dita sul mio basso ventre, intenta ad avvicinarsi alle mie zone più sensibili «Domani si compirà la volontà di Fyren, sorgerà l'alba del nuovo impero oscuro e tu siederai al mio fianco. Se vorrai...»
Non riuscii a rispondere, mi sentii confuso dalle sue parole, o forse era semplicemente il desiderio che quelle mani avevano provocato in me che mi aveva annebbiato la testa. In quel momento, volevo solo una cosa.
«Il tuo compito domani sarà quello più importante, dovrai proteggere l'essere umano. Nessuno le si dovrà avvicinare, nemmeno Fyren stesso.» il suo sguardo era perso sulla mia figura, il suo corpo protendeva verso di me tanto che una spallina del vestito le scese sul braccio, mostrandomi una parte del suo seno destro che calamitò la mia attenzione.
Lei sorrise, mi prese una mano e se la posò sul rossore scoperto, invitandomi ancora una volta a non indugiare.
«Quando potremo accedere all'isola, trasporterai di nascosto l'essere umano all'altare. Lì ti raggiungerò e mentre effettuerò il rituale, dovrai proteggermi» mi lasciò andare poi la sentii scivolare su di me.
Con i polpastrelli cominciò a scalare i miei pettorali, scoprendoli dagli abiti che indossavo. Il suo peccaminoso tocco mi scosse come nessuna donna aveva mai fatto. Tutti i miei sensi erano rapiti da lei, dai suoi movimenti.
Dopo aver superato le spalle, avvicinò nuovamente i nostri volti, i suoi capelli si mischiarono ai miei creando una nuova sfumatura. Mi sorrise premurosa, mi accarezzò il volto e sfiorò con possesso le mie labbra.
«Loro sanno che siamo diretti lì e cercheranno di fermarci. Sarà il momento giusto per attuare la nostra vendetta...» si fermò per qualche istante, riservandomi uno sguardo complice. Addolcito da quelle parole che mai avrei pensato di udire-
«I tuoi nemici, sono i miei nemici. E non permetterò che ti umilino di nuovo. Ti donerò il potere per schiacciarli una volta per tutte.»
Ogni mia estremità quasi pizzicava, un formicolio mai sentito aveva preso possesso di me, non riuscivo a vedere nulla se non lei.
Superai le sue braccia, posai la mano sulla sua nuca e finalmente unii le nostre labbra in un caldo e passionale bacio.
Lo volevo, bramavo il potere di vendicare la mia mutilazione, uccidere Enex o chiunque si sarebbe preso gioco di me, ma ancora di più volevo lei. Volevo averla sotto di me, nuda e libidinosa.
Più le nostre lingue giocavano a rincorrersi più sentivo dentro di me qualcosa muoversi freneticamente, il centro del mio petto sembrava bruciare più del solito e la lucidità piano a piano sembrò abbandonarmi.
Fummo legati per qualche istante, poi fu Uriel a interrompere quell'unione effimera, sollevando il busto.
Mi fissò il petto con un sorriso stampato sul volto, afferrò la spallina che ancora reggeva il vestito e se la fece scivolare sui fianchi.
Tutto il suo abito capitolò, svelando ai miei cupidi occhi l'interezza delle sue meravigliose forme. I suoi seni mi chiamavano, le curve dei suoi fianchi mi indicavano la via e il suo ventre sembrava quasi illuminarsi, tanto era il candore che lo caratterizzava.
Respirava sensualmente, muovendo con ritmo lento il suo bacino sul mio. Anche se occultato dall'abito, sentivo la sua zona intima libera da ogni tessuto strofinare sulla mia cinta.
«Lo senti, vero Dix? Il tuo potere freme, la tua magia sta mutando» domandò giocherellando nuovamente con le dita, appena sopra il ventre.
«Io lo vedo, il tuo nucleo si sta aprendo a me» sorrise soddisfatta, poi si piegò nuovamente su di me e mi baciò proprio il punto in cui sentivo provenire quello strano calore. Una scossa mi attraversò, come se avesse toccato qualcosa seppellita dentro di me, di cui non avevo conoscenza.
Sollevò lo sguardo per osservare le mie reazioni, ero sua preda, il mio corpo rispondeva solo e solamente a lei.
«Uniamoci Dix. Apriti a me e godi della tua signora. Quando finiremo, nessuno potrà ostacolare i tuoi desideri» roteò un dito e ciò che rimaneva dei miei indumenti si mosse, cadendo con un leggero tonfo sul pavimento.
«Oh! Allora non è solo tutta apparenza» mi guardò schiudendo desiderosa le labbra, poi sollevò il bacino per allineare i nostri corpi alla perfezione e, un istante dopo, scese con un movimento veloce.
Probabilmente troppo repentino, emise un improvviso mugolio e la sentii scuotersi in difficoltà. Le allungai le mani per offrirle il mio sostegno e lei si appoggiò intrecciando le nostre dita.
Alzò nuovamente il volto, le sue labbra erano allungate in un ghigno e i suoi occhi continuavano a guardare me, finalmente.
«Pensi che siano cose di cui mi curo? Povera fanciulla dai sentimenti feriti! Adesso che farai? Vai a frignare dalla mamma? Comportati da adulta e fa ciò per cui sei stata chiamata, senza troppi piagnistei». Le risposi duramente, digrignai i denti, la testa mi doleva, le accuse di Faith avevano superato il limite della sopportazione, rinfacciarmi la morte di Skill, come se lei non fosse stata un'estranea per noi fino all'anno scorso.
Come se fosse stata lei a vivere in simbiosi con quell'uomo, tanto da considerarlo forse l'unico vero amico della propria vita.
Cosa ne poteva sapere lei, del mio dolore? Dell'ennesima perdita che avevo subito nella mia lunga vita. Senza mai poter dire davvero addio a chi avevo amato.
Ma la rabbia si mescolò senza predominare, al senso di smarrimento e al dolore che mi invasero.
Alcune delle cose che mi stava dicendo non avevano senso, eppure sapevo che non mentiva. Anzi, erano tutte cose che avrei benissimo potuto fare, ma non mi piaceva essere accusato ingiustamente.
Cercavo di scavare dentro di me, rivivevo gli ultimi avvenimenti per capire se effettivamente stava dando i numeri, o se c'era un fondo di verità in quelle accuse, ma una sensazione di estraneità permeava quelle immagini.
Continuavo ad osservare la sua tremante figura, intimorita dalle mie parole, il volto abbassato per nascondere lo sguardo che non riusciva a reggere il mio, i suoi capelli castani, mossi in maniera spettinata, che le scendevano oltre il bacino in maniera molto innaturale.
Non li aveva mai avuti così lunghi, eppure Shura mi aveva detto che li aveva tagliati parecchio.
Ero lì perché dovevo seguire il consiglio di Xandra, parlarle, fare qualcosa per trattenerla lì, ma come sempre, le cose prendevano strade inaspettate.
Era chiaro che in quel momento mi odiasse, anche se non ne ricordavo il motivo.
«Fattene una ragione! Non mi interessano i tuoi sentimenti. Avete bisogno di me per arrivare all'isola dell'equilibrio, dovrai ingoiare il boccone amaro. Non ti liberi così facilmente di me».
Le sarei stato al fianco per proteggerla, anche se non sopportava più la mia presenza. Lo avevo promesso.
«E poi, perché diamine ne stiamo parlando qui fuori?! Non sono certo cose di cui discutere nel corridoio, men che meno nello stato in cui ti trovi!» la presi per un braccio e la tirai verso la stanza ma, lei con un colpo di spalle sfuggì alla mia presa e con i suoi occhi color corteccia mi rispose con un intenso sguardo di sfida.
«É sempre questo il problema, vero? Non sono mai adatta, non sono abbastanza intelligente, non sono abbastanza brava o potente e il mio comportamento non è consono per essere una sacerdotessa» si levò il cappotto facendolo cadere a terra, poi afferrò le spalline dello striminzito completo bianco che indossava e le allargò facendolo scivolare sulla sua pelle.
«Non ti importa nient'alto che di quello che vedono gli altri.»
Il suo corpo si rivelò a me come quello di un quadro, leggermente coperto dalla cascata di fili del colore della terra brulla. Spoglio, eppure non inerme. Privo di malizia, ma non innocente. Una dea pronta per essere venerata.
La sua immagine mi turbò, cosa le era saltato per la testa?
Con la forza la costrinsi ad entrare nella stanza. Si dimenava, ma non potevo permettere che rimanesse nuda nel corridoio.
«Che problema c'è, Enex? Non possiedo niente di diverso da una qualsiasi altra donna, che problema c'è se qualcuno mi vede così?».
Mi stava davvero chiedendo che problema ci fosse? C'erano un'infinità di motivazioni! Quella ragazzina aveva la capacità speciale di riuscire a farmi salire il sangue al cervello.
Chiusi la porta a chiave, ero fuori di me e non volevo alcuna interruzione.
«Forse a te non importa, ma a me sì! E anche tanto. Nessuno ti deve vedere.»
Non potevo sopportarlo, non avevo mai potuto.
Gli occhi degli uomini, che non poteva fare a meno di catturare al passaggio; le mani di qualcun altro, che la sfioravano per lenire la sua sofferenza al posto mio; le labbra di quell'usurpatore, che circuivano le sue in un peccaminoso bacio di brama.
Non sopportavo più doverla vedere da lontano, non potevo più fare finta che qualcosa non mi scoppiasse nel petto e continuare ad ignorarlo mentre si faceva spazio dentro di me e, questa volta, non era il potere di Ivanhoe, ne ero certo.
«Sei mia, mi appartieni, nessuno ti deve toccare! Nessuno!» la guardai, le mie parole la sconvolsero, ma non fu l'unica a cui fecero quell'effetto. Da quando avevo alzato la voce? Avevo il fiatone, sentivo la mascella prigioniera di una smorfia contratta e le ali distese ritte per sottometterla.
Presi un lungo respiro e subito le ritrassi, poi mi voltai cercando di sostenere il suo sguardo. Ormai quelle parole erano uscite, non potevo negare che rappresentavano qualcosa che desideravo e in qualche maniera, mi avevano risparmiato la "fatica" di iniziare il discorso.
Sospirai e, posando due dita sulla tempia, cercai di impormi calma.
Perché era così difficile discutere con Faith? Perché non riuscivo a trattenermi quando si trattava di lei?
Mi spogliai nel corridoio consapevole che non c'era nessuno nell'hotel a parte noi mentre lui ne era ignaro.
Lo feci per vedere che reazione avrebbe scatenato e quasi mi mancò il fiato, quando ebbi più di quanto sperato. Avevo destabilizzato la maschera di indifferenza che Enex si forzava ad indossare ed era giunto il momento di distruggerla, una volta per tutte.
«Vuoi dirmi che ricordi il viaggio, ricordi Garnet ma non a chi appartiene questo corpo?» gli domandai mettendomi in evidenza. Non poteva essere davvero così! Ancora non riuscivo a capire se fosse uno dei suoi soliti scherzi e, soprattutto, se esserne contenta.
«Tu sei Faith», esclamò con tono seccato. Se io esistevo ancora nei suoi ricordi, come si giustificava la mia presenza qui?
«No! Cioè sì, ma non sono sempre stata Faith! Guardami e prova a ricordare.» lui si voltò, ma lo costrinsi a guardarmi. Giocherellai con i capelli poi con i palmi mi tocca il il ventre. Se quello che avevo visto in sogno era vero, quel gesto non poteva non scatenare in lui qualcosa.
«Ginozkena, la ma-».
«Adesso basta, mi hai scocciato con questa Ginozkena! Quante volte devo ripeterlo, che non conosco nessuna donna con quel nome?» si portò nuovamente le mani alla testa strizzando gli occhi, poi si voltò ancora, come se non volesse guardarmi.
Faith... smettila... Non vedi che lo stai solo confondendo? C'è davvero la possibilità che lui non possieda più esclusivamente i ricordi che riguardano la mia persona. Non sappiamo come agisce l'incantesimo della dea. Rischiamo che a forza di spingerlo a ricordare, la sua mente si spezzi.
La voce di Ginozkena mi scosse, facendomi rendere conto che quelle domande non stavano facendo altro che provocare dolore fisico a Enex.
Era ricurvo su sé stesso, ansante, con le ali che gli tremavano. Sospirai lasciando andare tutti i miei intenti e mi avvicinai a lui, per rimediare a quello che avevo fatto.
Lo cinsi tra le braccia e poggiai il volto sulla sua schiena.
«Hai ragione, scusa. Ho sbagliato.»
Non sapevo se quel contatto stesse rasserenando il suo animo, ma io non sentivo più freddo, mentre il mio cuore scendeva in una rassegnata considerazione.
Alla fine, tutti i miei dubbi avevano trovato la loro terribile conferma. Per Enex, Ginozkena era più importante di Faith.
«Ti devo ringraziare, ero in pericolo e tu mi hai aiutato. Ti prego dimentica ciò che ti ho detto, non ha più importanza. Non si può cambiare quello che è successo. Andiamo avanti, salviamo Ariadonne, insieme.»
Si raddrizzò, sembrava stare meglio ma non mi allontanò, permettendomi di abbracciarlo ancora mentre i suoi pensieri correvano lontani.
«Tu... sai cosa è successo?» mi domandò.
«Per potermi salvare dalla malattia dei popoli magici, sei andato al tempio della dea madre», cercai di spiegargli, ma le lacrime riempirono nuovamente i miei occhi e la voce mi tremò.
Lo amavo così tanto, come non avevo mai fatto in tutta la mia vita, ma il suo cuore apparteneva ad un'altra che adesso neanche ricordava. Era così ingiusto.
Cercai di nascondere i singhiozzi, ma lui se ne accorse; mettendo da parte il suo dolore, ricambiò il mio gesto, avvolgendomi con le braccia. Quel suo calore era così bello ma, allo stesso tempo faceva così male.
«Hai chiesto alla dea un modo per liberarti del parassita che mi indeboliva, e lei te lo ha dato.» continuai con la voce roca. Lui mi osservava in silenzio, aspettando con pazienza il resto della storia.
«Xandra mi ha detto che la dea chiede un compenso per i miracoli. E tu... sì, insomma, tu hai perso qualcosa di prezioso per colpa mia.»
Sentii le sue spalle tendersi appena prima di finire il mio racconto, poi si paralizzò e i suoi occhi divennero sfuggenti. Sembrava imbarazzato, ma le sue braccia mi strinsero più forte, come per aiutarmi a reggere quel fardello, infine sentii le sue labbra sfiorarmi il capo.
Ancora qualcosa che non capivo, ancora qualcosa che non ricordavo, ma ormai era chiaro che ero io ad avere qualche problema.
Avevo provato con tutto me stesso a forzare i ricordi, andai a ritroso sui miei passi. Ricordavo la dea, l'uomo che la baciava, Illidea che mi mandava qui, e ancora Talormoran, Diaspro, Dix, la congrega: era tutto lì. Ma allora, perché non comprendevo cosa mi volesse dire?
Più tornavo indietro e più la mia testa doleva, cercavo di ricollegare il momento in cui avevo incontrato per la prima volta Faith, ma dei lancinanti flash mi confondevano, e compresi che lì c'era la chiave che mi serviva per capire.
Presi lunghi respiri e cominciai ad attingere al potere di Ivanhoe, la sua forza magica avrebbe spezzato qualsiasi lucchetto fosse stato imposto sui miei ricordi, il potere del dio mi attraversava le membra, mentre il mio corpo cominciò a riscaldarsi, finché la sua voce attirò la mia attenzione e il suo pianto mi fermò dal proseguire nel mio intento.
L'abbracciai per consolarla. Anche se non sapevo il motivo per cui era triste, ero contento che finalmente potevo essere io a consolarla e non essere il motivo della sua sofferenza. Ma ben presto mi resi conto che mi sbagliavo. Quelle lacrime erano ancora per me.
«Xandra mi ha detto che la dea chiede un compenso per i miracoli. E tu... sì, insomma, tu hai perso qualcosa di prezioso per colpa mia»
Anche io avevo sentito quelle voci, eppure nella mia testa non c'era il ricordo di cosa mi avesse chiesto.
Sapevo di averle consegnato qualcosa, ricordavo benissimo il piatto della bilancia della statua che si riequilibrava, ma io non possedevo nulla da darle... o forse sì?
Non ricordavo e forse quello faceva parte del patto con la dea.
La cosa più preziosa che possiedi, per la sua vita.
Le parole della divinità riecheggiarono nella mia mente e pensieroso, posai le labbra sui suoi capelli e l'annusai per qualche istante.
Non mi importava a cosa avessi rinunciato, anche se era così importante da aver destato l'interesse dell'equilibrio.
Avevo sacrificato così tante cose nella mia vita, e tutto per l'interesse comune, per il bene superiore, e a me non era mai tornato nulla indietro, se non la sofferenza di una vita in solitudine agonia.
Questa volta invece era per me stesso, ancora prima della nobile causa di questo viaggio, perché io non potevo sopportare l'idea di perderla.
«Non è colpa tua... è stata una mia libera scelta, ma se l'ho fatto probabilmente ho valutato che ne valesse la pena».
A quelle mie parole lei alzò il capo, puntandomi i suoi occhi rossi sconvolti dal pianto, le sue iridi castane si rischiararono di un pensiero e io non seppi più resistere a quella visione.
Afferrai il suo volto completamente bagnato, le asciugai le guance e sovrapponendo le nostre labbra assaggiai dapprima l'amaro di quelle lacrime, scavai con la lingua spingendola a dischiudere la sua premurosa bocca, fino a raggiungere il suo seducente sapore.
La sentii irrigidirsi un po', non era ancora abituata a come si baciavano i grandi ma si lasciò guidare da me e sembrò piacerle. Il suo corpo si rilassò e le sue mani cominciarono a cercare il contatto con la mia pelle.
«Mi... manca l'aria...» scostò appena le labbra prendendo un lungo respiro. Io non mi fermai, continuai a baciarla, scivolando sul suo collo. Il suo petto vibrava seguendo il battito del suo cuore.
«Non devi andare in apnea» le spiegai prendendola di peso e sollevandola.
Lei si aggrappò a me un po' timorosa, emettendo un piccolo gemito di sorpresa. Sentii le sue dita affondare nelle mie braccia, tesa. I denti stretti sulle labbra a distorcerne la loro forma naturale in una espressione di desiderio e lo sguardo perso nell'indecisione.
«Non mi allontanare, ti mostrerò quel confine d'ombra tra sacro e profano».
Lei mi guardò diventando rossa, ma annuì in religioso silenzio. Si lasciò stendere sul letto e stringendo le sue tremule mani, la guidai sulla strada del piacere.
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