Capitolo 25 - Parte V
Dopo aver incoraggiato Faith a combattere, Enex si catapultò fuori volando verso una meta a me sconosciuta. Provai a fermarlo, dissuadendolo dal fare qualsiasi cosa senza averne discusso prima con me, ma sapevo che non ci sarebbe stato nulla che lo avrebbe frenato.
Impotenti e perplessi io e Garnet tornammo a vegliare su Faith. Era incosciente sul divano, il suo corpo continuava a muoversi convulsamente e il suo addome si deformava sotto i movimenti della gigantesca nefelia.
In letteratura non avevo mai letto nulla del genere. Di solito le nefelie erano esseri minuscoli, praticamente impossibili da distinguere a occhio nudo. Anche dopo aver consumato la loro vittima, questi passavano da un ospite all'altro rimanendo pressoché invisibili.
Sapevamo così poco della malattia dei popoli magici, la paura di quegli esseri ci aveva fatto dimenticare quanto fosse importante studiarla e riuscire a trovare una cura. Se lo avessimo fatto in quel momento la situazione non sarebbe così disperata.
Intrecciai le dita e cominciai a pregare. Pregai la benevolenza della dea celeste, invocai l'intercessione di Illidea affinché il suo tanto adorato potere dell'amore potesse davvero regalarci un miracolo.
«Un miracolo... - sussurrai preoccupata - Garnet hai una mappa di Nijest in cui si vedono i territori limitrofi?» gli domandai e subito mi portò una vecchia pergamena, che non persi attimo a consultare.
«Il tempio di Theis.» sussurrai incredula. Come era potuto succedere che lui ci avesse pensato e io no?
«Non capisco.» mi chiese perplesso Garnet, cercando sulla cartina ciò che i miei occhi avevano trovato con facilità, ma quel tempio non era segnalato.
«Ci serviva l'intercessione divina e lui è andato a mendicarne una.» gli spiegai e l'ipotesi divenne certezza quando una magia di distorsione dello spazio apparve nell'atrio.
Enex fece capolino nella stanza qualche istante dopo, crollando al suolo. Mi fiondai in suo soccorso, ma lui mi prese le mani e mi passò il suo mantello arrotolato.
«P-presto - aveva difficoltà a parlare e a reggersi in piedi - falle bere questo.» mi pregò, poi lo vidi perdere i sensi.
Srotolai il mantello e tra il tessuto trovai un contenitore di vetro al cui interno c'era un liquido azzurro. Lui aveva davvero ottenuto il suo miracolo? Ma a che prezzo? Mi soffermai qualche istante a guardarlo, ma non avevo tempo di preoccuparmi per lui.
«Prenditi cura di lui» ordinai rivolgendomi verso Garnet, poi mi apprestai a raggiungere la ragazza, le sollevai il busto mettendola in posizione seduta e la chiamai.
Cercando di superare la barriera dell'incoscienza che ci divideva, invocai diverse volte il suo nome. Sarebbe stato difficile farle bere quella sostanza da svenuta ma non c'era modo di riportarla tra i vivi.
Stappai la fiala, ma le mani mi tremavano. Le aprii la bocca e, tenendole il volto sollevato, feci scivolare il liquido direttamente nella sua bocca.
Per un attimo il pensiero di conservarne una parte per analizzarlo mi balenò in testa ma, per il bene di tutti, era necessario che lei guarisse senza alcun intoppo. Tutti noi avevamo una missione più importante da svolgere, che andava ben oltre le nostre stesse vite, così mi assicurai che nessuna goccia ne andasse perduta.
La cura fece effetto subito. Una luce dorata si sprigionò dal suo corpo, il dolore che l'attanagliava anche da incosciente si acquietò e il suo ventre tornò piatto.
La guardai ancora sconvolta e per la felicità cominciai a piangere. Era salva, grazie ad Enex anche quella volta era riuscita a cavarsela contro ogni aspettativa.
Scaricai la tensione piegata su di lei, avevo temuto davvero la fine quella volta.
Mi asciugai il volto e mettendola a cavalcioni sulla schiena, la trasportai su per le scale intenta a portarla in stanza per riposare. Finché il suo spirito non si fosse rigenerato dalla nefelia, avrebbe dormito e non sapevo quanto ci avrebbe voluto. L'adagiai sul letto e la coprii con le coperte.
Qualche istante dopo sentii qualcuno bussare alla porta e Garnet entrò per aggiornarmi.
«Ho sistemato il vostro compagno nella stanza accanto, sembra si stia già riprendendo» incrociò le braccia scocciato. Dalla faccia contrariata che aveva, doveva averlo cacciato malamente dalla stanza, e la cosa mi rincuorò. Voleva dire che stava bene.
«Ti ringrazio, ovviamente ti pagheremo per l'ulteriore disturbo.»
Lui scollò le spalle, come se non gliene importasse.
«Cosa le è successo?» chiese guardando Faith.
«Come ti stavo spiegando prima, il tempio di Theis è un tempio abbandonato della dea celeste. Non è necessario che vi sia il culto per poter invocare la divinità, ma non so come abbia fatto lui senza rituanti. Con la sua testardaggine deve essere riuscito a chiamarla su questo mondo e chiederle un miracolo. La dea gli ha concesso la cura per la malattia dei popoli magici in cambio di una cosa per lui preziosa.» sospirai preoccupata.
«Quindi lei è salva?» chiese conferma.
«Sì, la pozione ha annientato la nefelia, è guarita. Deve solo riposare, adesso.»
Mentre parlavamo le luci della stanza cominciarono a lampeggiare fino a tornare ad illuminare a giorno l'ambiente.
«A quanto pare è tornata la corrente.» commentò alzando lo sguardo pensieroso, sciolse la tensione delle braccia e si congedò per andare ad occuparsi del ripristino della struttura.
Io mossi le mani, estinguendo l'incantesimo che aveva evocato le fiamme sacre che avevano illuminato l'oscurità fino a quel momento.
Faith d'improvviso spalancò gli occhi e la prima parola che pronunciò fu il suo nome, Enex. Era visibilmente turbata, si alzò ignorandomi e camminando a passo svelto si precipitò fuori dalla camera.
«Faith, aspetta!», provai a fermarla e mi fu facile arrestare la sua disperata corsa. Non aveva più forze, si reggeva a mala pena in piedi ma nonostante tutto mi combatté, in qualche maniera riuscì ad evadere la mia presa e, reggendosi al muro, si lanciò verso la porta a fianco. Sospirai decidendo di seguirla in caso le fosse servita assistenza. Doveva pensare a riposare.
«Perché lo hai fatto!? - la sentii urlare vicino all'uscio - Ero a tanto così a distruggerlo, perché ti sei intromesso? Non avevo bisogno del tuo aiuto!» quelle parole mi sorpresero, lei sembrava già essere a conoscenza di tutto ma, con buona probabilità, doveva essere riemersa la coscienza di Ginozkena.
Mi avvicinai e la vidi ferma immobile al centro della stanza, era buia e sostava nella zona illuminata dalla proiezione della luce del corridoio.
Sentivo la presenza di Enex, faceva degli sbuffi lamentosi mentre il suo respiro si intensificò. Non capivo perché non rispondesse, così, preoccupata, accesi la luce e finalmente riuscii a distinguerlo: si era messo seduto sul letto, si toccava la testa un po' confuso. Dopo qualche attimo di fastidioso dolore, alzò il capo verso di noi e ci freddò con lo sguardo.
«Non so chi si crede di essere ma... perché non usa la sua linguaccia per pulire i pavimenti? - inveì contro la ragazza - Xandra perché hai portato questa invasata nella mia stanza?» era arrabbiato e ci fece segno di andare via. Voleva riposare in tranquillità.
Ginozkena si paralizzò per qualche attimo, la sentii sussurrare una serie di negazioni, poi corse via piangendo.
Non la fermai, arrivati a quel punto era chiaro che avesse bisogno di sfogarsi un po' da sola e che un qualsiasi mio intervento non sarebbe stato opportuno. Rimasi lì per tenere sotto controllo Enex.
«Perdonami, non so cosa mi è passato per la testa.» stetti al gioco senza fargli alcuna domanda, lo aiutai a rimettersi sdraiato e lo osservai chiudere gli occhi alla ricerca di uno stato di quiete.
Era strano, più strano del solito ma era chiaro che doveva avere a che fare col prezzo che era stato costretto ad accettare per salvare Faith.
Lo accarezzai e sussurrando un incantesimo rasserenai il suo spirito, trasmettendogli una sensazione di benessere artificiale. Quella era l'unica cosa che potevo fare per tentare in qualche maniera di saldare il conto che avevo con lui, che tutto il mondo aveva nei suoi confronti. Chissà se mai la storia avrebbe ricordato il suo sacrificio o tutti noi saremmo caduti nell'oblio, dimenticati dalla stessa pace che avremmo contribuito a creare.
Una lacrima sfuggì sulla guancia, mi resi conto improvvisamente di essere profondamente dispiaciuta per Enex. Triste e piena di sensi di colpa: lo avevo costretto a rinunciare a lei per sopperire alle mie debolezze. Se solo fossi stata forte almeno la metà della mia maestra, Enex e Faith non avrebbero mai sofferto tutte quelle pene.
Vidi Ginozkena sfrecciare davanti a Garnet mentre attraversava la hall, poi uscì sul porticato, la notte era gelida e noi vestivamo solo un completo da notte leggero, ma il freddo non la fece desistere.
Si accasciò a terra, sull'erba umida del giardino, e guardò il cielo povero di stelle, e urlò loro le sue parole più sconvolte.
Alzò le braccia e allungò le dita come per volerne prendere almeno una ma le fu difficile muovere la mano. Le nostre estremità erano già diventare violacee e il dolore fisico tornò a farci compagnia.
Strinse gli occhi con un profondo senso di impotenza che sfogò in un pianto isterico che pian piano divenne il mio, mentre la sua coscienza tornava in quel luogo buio dove nessuno avrebbe ascoltato i suoi strazianti lamenti.
Coprii la bocca per impormi calma e nel frattempo la chiamavo: Ginozkena!
Ero confusa, mille domande mi frullavano nella testa e il mio cuore, già provato da quelle visioni oniriche, non avrebbe retto quel colpo.
Perché quella volta si era lasciata morire nonostante avrebbe potuto farsi curare? Perché Enex aveva negato fino all'ultimo che Nazca fosse la figlia di Ginozkena quando in realtà lui stesso ne era il padre?
Avevo bisogno di certezze, pretendevo dei chiarimenti, meritavo delle risposte ma, nonostante cercassi in tutti i modi di avere un contatto con lei, avevo come ritorno solo silenzio.
Ero arrabbiata, furibonda come non mai. Adesso che Enex non ricordava più nulla, lei era la mia unica speranza per capire bene come erano andate le cose in quei giorni e il comportamento tenuto da Enex. Ma lei continuava ad ignorarmi.
Dopo aver provato a parlare, inutilmente, con lei, sollevai il busto e mi osservai intorno per cercare di riprendere tra le mani la mia vita.
Mossi le dita per riscaldarle e le portai alla bocca per lasciare che il calore del mio fiato scacciasse il gelo che ci era penetrato nell'anima.
Mi guardai intorno confusa, le strade erano deserte ma trasmettevano un'atmosfera lugubre, come se fosse arrivata l'apocalisse. L'asfalto era ricoperto di rifiuti, alcuni cassonetti erano stati rovesciati, altri incendiati; degli edifici erano stati danneggiati e in sottofondo si sentivano le sirene degli automezzi delle forze dell'ordine e allarmi di sicurezza che suonavano in coro.
Cosa diamine era successo?
«Sei qui...» sentii la voce di Xandra alle mie spalle, mi voltai senza forze, a quanto pareva, a parte gli occhi, il resto del corpo aveva difficoltà a rispondermi.
«Cosa è successo ad Enex?» le chiesi sperando che almeno lei avesse una risposta da darmi.
«Lui... - sentii il fruscio dell'erba poi la vidi affiancarsi a me, guardò dritto davanti a sé e sospirò - Enex ha pregato la dea madre per un miracolo e lei, secondo le leggi che dominano anche il mondo celeste, gli ha consegnato la cura per la malattia dei popoli magici in cambio di un sacrificio. Qualcosa a lui prezioso...» mi spiegò ma non capivo, probabilmente non volevo. Era così semplice, banale eppure così difficile.
«I suoi ricordi... - prese di nuovo parola - Ha barattato i suoi ricordi per la tua vita.»
Il silenzio scese di nuovo, funesto. Alzai la testa al cielo per vedere le stelle mentre le mie lacrime coprivano quelle di Ginozkena che si erano depositate sul mio viso.
«Fa che il suo gesto non venga vanificato... chiunque tu sia in questo momento» posò la mano sulla mia spalla poi in punta di piedi si allontanò, proprio come era entrata, nel nostro dolore.
Aspettai di sentire i suoi passi oltre la porta d'ingresso poi mi lasciai travolgere a mia volta dallo sconforto. Lei lo aveva capito, l'unica persona che l'avesse mai conosciuta per davvero l'aveva appena dimenticata per sempre.
Mi toccai le labbra ricordando il suo ultimo bacio, fu dopo quello che venni intrappolata dalle visioni. Probabilmente Enex sapeva che al suo ritorno le cose avrebbero potuto essere diverse così si era concesso un bacio di addio, senza sapere che aveva riversato in me il contenuto del suo cuore, affidandomi il fardello dei loro ricordi.
Strinsi tra le mani ciuffi di erba e cominciai a strapparli con foga, urlavo a quel dannato cielo che continuava a riversare dolore su dolore su di me proprio come aveva fatto in passato con Ginozkena.
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