Capitolo 25 - Parte IV
Quando riaprii gli occhi ero in una stanza buia e la prima cosa che feci fu sfogare tutta la rabbia e l'impotenza piangendo. Mi rannicchiai per poi menare calci e pugni all'aria.
Il mio corpo continuava a muoversi da solo, quindi compresi che ero ancora prigioniera di quei ricordi.
Ginozkena si alzò e per prima cosa evocò dei fuochi magici per illuminare la stanza, il nostro sguardo cadde sulle bende che coprivano la parte superiore del busto.
Si asciugò le lacrime e con delicatezza allargò la fasciatura per analizzare l'entità delle ferite, le scoprì con un leggero dolore che si irradiò per tutto il petto e appena sollevò l'ultimo strato di garza si sconvolse nel vedere che erano ancora aperte e sanguinanti.
Abbassò il volto e con sofferenza le richiuse, imprigionando le labbra nella morsa dei denti.
Poi un rumore alla finestra ci fece sobbalzare. Mi voltai verso l'infisso e con la mano arrancai sopra il mobilio alla ricerca di qualcosa da afferrare per difendermi ma l'ospite che era accucciato al marmo in attesa che gli aprissi era una persona che conoscevamo fin troppo bene.
Con uno scatto, che probabilmente ci avrebbe fatto sanguinare più copiosamente, raggiunsi la finestra.
Ginozkena pensò di chiudergli la tenda in faccia ma cedette alla tentazione di vederlo ancora una volta, così lo fece entrare.
«Cosa è successo?! Stai bene? Qui nessuno mi lascia passare!» mi prese dalle spalle e mi scosse appena, era sconvolto.
«Non devi stare qui! - gli urlò contro - Sono stata io ad ordinare di non farti passare», gli rivelò cercando di staccarsi da lui.
«Sei stata tu? Cosa ti è preso?! Avevamo detto che lo avremmo affrontato insieme - tentò di avvicinarsi ancora - Tu avresti accettato la richiesta di Fyren e io sarei stato il tuo cavalie-».
«Ho detto vai via! - lo interruppe - Sono stanca di te! Fai sempre quello che vuoi tu, non capisci mai quando è il momento di mollare la presa. Tutto quello che ci siamo detto, scordatelo! Non ti voglio, non ti avvicinare mai più a me! Hai capito?» evitò di urlare per non attirare ulteriormente l'attenzione, poi gli demmo le spalle per non farci scrutare l'animo attraverso gli occhi che avevano cominciato a bagnarsi.
Ginozkena si morse il labbro inferiore e tentò di mantenersi calma reggendosi il capo.
È tutta colpa tua se sono finita così...» aggiunse strizzando gli occhi. Ginozkena mentì sperando che lui non riconoscesse il suo bluff e se ne andasse via ferito.
Sapeva che se lui l'avesse cinta non avrebbe avuto la forza necessaria per respingerlo.
Enex digrignò i denti, scattò verso di lei ma vedendola ferma nella sua posizione rimase in silenzio qualche minuto, era agitato e in allerta per ogni movimento che si sentiva provenire dal corridoio. Dei passi sembravano avvicinarsi, dichiarando la fine del loro incontro. Sospirò e rassegnato tornò alla finestra.
«Non ti libererai di me così facilmente... Non sono uno dei tuoi sacerdoti, non puoi darmi degli ordini ma soprattutto non puoi scappare da me.» esclamò prima di buttarsi fuori dalla finestra e sparire nel buio della notte.
Quando non sentii più la sua presenza crollammo a terra, stanche e affaticate, piangemmo con la consapevolezza di aver allontanato l'unica persona che ci aveva veramente amate.
Il tempo a quel punto cominciò a velocizzarsi, vedevo Ginozkena continuare la sua quotidianità cercando di nascondere la sua debolezza. Ma la guerra contro l'oscurità si faceva più cruenta, il dio sembrava essersi accanito contro di lei e la luce di Ginozkena non brillava più come un tempo per riuscire a proteggere tutti.
Ogni gesto che prima le riusciva spontaneo adesso le costava molta più fatica, non dormiva bene e stranamente, ogni giorno che passava, sembrava essere sempre più debole. Ma, per il bene di ciò che più amava, doveva resistere contrastando la debolezza con ancora più forza e determinazione, anche se lui non era più al suo fianco.
Finché un giorno tutto crollò, lei crollò.
Perse i sensi e quando fu soccorsa e spogliata dalle curatrici, tutti videro il peccato di Ginozkena che cresceva nel suo rigonfio ventre.
Quando mi risvegliai speravo che tutto fosse finito, per quanto tempo avrei dovuto vagare in quel mare di dolore? Prigioniera del flusso di quegli avvenimenti, i miei occhi erano costretti a guardare la vita che non mi apparteneva scorrere verso una fine già segnata.
Anche se una parte di me la stava vivendo in prima persona, l'altra parte, quella che osservava come uno spettatore, l'essenza di Faith, odiava tutto quello.
Ogni immagine che mi si presentava davanti, ogni sorriso, ogni lacrima, non faceva altro accrescere il suo desiderio di fuga.
Quei ricordi non erano altro che la dimostrazione che nel cuore di Enex non poteva esserci posto per lei. Come poteva? I due si erano amati fino a distruggersi e quello che era sopravvissuto portava le cicatrici e colpe di entrambi.
Come ci si libera di un peso che ti aveva schiacciato per così tanto tempo?
Quando mi sentii meglio provai a muovermi e mi resi conto che delle catene mi ritenevano ma, ancora peggio, percepii ancora i pensieri di Ginozkena, era spaventata dal fatto che adesso tutti conoscevano il suo segreto.
Piangemmo mentre il nostro pensiero era focalizzato sula stessa persona anche se per motivi differenti, Enex. Lei temeva che se avessero scoperto l'identità del padre del bambino che portava in grembo lo avrebbero ucciso... o peggio.
Aveva paura anche se era fermamente convinta che sarebbe stato difficile risalire a lui, lo aveva allontanato di proposito per quella ragione. Ma sentiva di dover fare comunque qualcosa, doveva continuare a tenerli al sicuro e sapeva che ormai quel luogo le era ostile.
Doveva scappare così cominciò a concentrare la magia sui polsi per distruggere le manette ma la porta della stanza si aprì prima che potesse liberarsi. Si fermò, pronta a rispondere a qualsiasi accusa le avrebbero additato, ma la figura che entrò era quella che meno si aspettava.
Era Enex, si era fiondato ansimante nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Appena ci vide sgranò gli occhi e si fermò, sconvolto, poggiandosi allo stipite per reggersi.
«Allora... è vero», aguzzò la vista sulla pancia.
Mi sentii terribilmente a disagio e in difetto, provai a coprirmi il ventre ma le catene che mi imprigionavano erano troppo corte. Mi voltai come se non guardarlo avesse potuto occultarmi alla sua vista e pregavo che fosse tutto un sogno, che lui non fosse davvero lì.
Conoscevo quello sguardo, era arrabbiato e la temperatura che aumentava nella stanza la diceva lunga, ma non c'era tempo da perdere: forzò le catene, mi sollevò dal letto senza proferire altro e ci portò lontano da quel luogo che ormai non le apparteneva più.
La visione cambiò di nuovo, ancora non ero tornata sul divano e cominciavo a pensare che forse non l'avrei più fatto. Forse ero morta, consumata dalla malattia dei popoli magici e la mia anima era rimasta prigioniera nel limbo di cui mi parlava Svea.
Ero condannata a rivivere quei ricordi per sempre? Perché mai? Perché le divinità di questo mondo mi punivano in quella maniera? Davvero mi meritavo tutto quello? Solo per essermi illusa di essere ricambiata? Pensavo di essermi guadagnata qualcosa dopo tutto quello che avevo fatto e invece...
L'aria che mi circondava era fresca, inspirai facendola entrare nei miei polmoni e, insieme ad essa, fui invasa da una tranquillità disarmante che cacciò ogni mio pensiero negativo. Mi sentii rilassata e intrecciai le braccia sotto al seno.
Sorrisi leggera poi il mio corpo si mosse da solo, presi la scopa di legno che avevo tra le braccia e tornai a pulire lentamente il portico di una casa. Di fronte a me giacevano quiete le sponde di un lago e poco, più avanti, dominava il silenzio animato di un paesaggio montano.
La mia pancia era così importante da riuscire a mala pena a reggermi eretta ma l'accarezzavo felice mentre una mano familiare si posò sulla spalla.
«Buongiorno», la voce di Enex mi emozionò e subito mi voltai a guardarlo. Sbadigliò con i capelli arruffati, il viso rilassato e gli occhi così limpidi, sembrava felice.
«Non so quante volte devo dirtelo, non dovresti sforzarti così» si avvicinò malizioso, mi prese la scopa dalle mani e avvicinò i nostri visi.
«Lo sai - Ginozkena lo cinse e con la scusa recuperò la scopa - Non riesco a stare ferma. Tutto questo riposo mi annoia».
Lui ci interruppe imponendo alle nostre labbra un bacio appassionato, Ginozkena si sciolse e in sua balia lasciò cadere la scopa al suolo.
«Così non vale...» riuscì a sussurrare con un filo di voce mentre la presenza di Enex ci spinse verso il dondolo, costringendoci a sederci.
«Dovresti fare cose che si addicono di più alla tua condizione. Tipo scegliere il nome del bambino», esclamò severo guardandoci dall'alto verso il basso.
«Bambina» lo rimbeccò subito lei toccandosi la pancia.
«Come fai ad esserne così sicura! E se quando nasce sarà un maschio? Vuoi farti prendere alla sprovvista?» ritornò sul discorso sedendosi al suo fianco.
«Ne sono sicura... - sospirai esausta del discorso - È una bambina» affermai osservando la mano con cui l'accarezzavo.
«Non è vero piccola mia? Sei una fiera femminuccia e ti chiamerai Nazca», continuai rivolgendomi direttamente a lei e in risposta la superficie della pancia si mosse, calciata dalla bambina.
«E a me non pensi più?» attirato dal movimento della bambina Enex si piegò sulla pancia, ci adagiò sopra il capo e rimase in ascolto di un qualsiasi altro calcio.
«Come potrei? - gli risposi subito indignata - Sei nei miei pensieri ogni momento della mia esistenza» chiusi gli occhi godendomi il calore di quel momento.
Se mi avessero chiesto cosa fosse la felicità avrei descritto quell'attimo: era quel luogo che rasserenava l'animo, quella persona che ti faceva sentire amata, quella speranza che ti spingeva a credere nel futuro.
Anche quel ricordo svanì, lasciando posto ad una serie di immagini che scorrevano veloci.
Le urla di Ginozkena in travaglio, il pianto della bambina che annunciava la sua venuta al mondo e poi di nuovo in fuga nel buio più profondo della foresta. Il faccia a faccia con Uriel e infine la ferita mortale. Quella che squarciò definitivamente il suo petto ma che non cancellò il sorriso dal volto di Ginozkena che sfruttò l'espediente per intrappolarla nel lago alle pendici di quel luogo che custodiva i suoi ricordi più felici e a cui affidò le sue ultime speranze.
C'era tanto sangue ma non c'era tempo da perdere. Ancora una volta in viaggio, per un'ultima volta. Vidi Ginozkena sigillare l'ambra di quella culla nel giardino della creazione, la vidi crollare davanti al tempio del dio albero e poi finalmente poté abbandonarsi tra le braccia dell'amore della sua vita mentre l'oblio ci chiamava a sé.
Fu quello il momento che decretò la tregua nella guerra tra Ariadonne e l'oscurità portando una effimera pace che permise a tutti di tornare alle loro vite, lo stesso che segnò per sempre quella di Enex e lo costrinse a cominciare un percorso di solitudine, braccato come un'animale fino a quando non pagò il suo debito col mondo con la recisione.
Quando sentii l'urlo disperato di Faith ignorai tutte le loro raccomandazioni e mi precipitai giù da lei, Xandra mi seguì a ruota per impedirmi ogni azione ma la spinsi e mi butti al suo capezzale, spostando ogni ostacolo davanti a me.
«Faith!» la chiamai, il suo sguardo era sofferente e assente, sembrava dover mollare da un momento all'altro.
«Combatti, Faith!» mi uscì come un imperativo ma era più che altro una preghiera, alla mia dea personale. Se solo avessi potuto avrei fatto volentieri a cambio, avrei preso i pesi che era costretta a portare sulle sue spalle e l'avrei liberata da tutta quella sofferenza.
Era quello che avevo sempre desiderato fare ma, invece, più le sue responsabilità crescevano più lei mi aveva sempre allontanato, per proteggermi, lei, per proteggere me quando in realtà dovevo essere io a prendermene cura.
Fare a cambio... Ma certo.
Mi scocciava ammetterlo ma c'era una sola cosa che potevo fare per lei e arrivato a quel punto non potevo più esitare. Quella volta non avrei accettato di stare lontano mentre pativa tutto quel dolore.
Le presi il volto e lo spostai nella mia direzione per assicurarmi che mi stesse dando attenzione.
«Ti salverò! Tu non mollare».
Non poteva farlo, non in quel momento che sapevo cosa fare per salvarla. Ridussi ancora di più le distanze tra noi e le diedi un bacio di incoraggiamento e di addio.
Qualunque sarebbe stato l'epilogo ci sarebbe stata la possibilità di non vederci più e non volevo rimpianti. L'adagiai sui cuscini del divano che mi sorrideva ad occhi socchiusi, poi corsi fuori dalla locanda e presi quota, volando più veloce che le mie ali mi permettessero.
Dietro di me sentivo la voce di Xandra che mi chiedeva spiegazioni ma il tempo era agli sgoccioli. Avrebbe compreso la mia scelta.
Mi guardai intorno alla ricerca di punti di riferimento per orientarmi, ricordavo che nelle vicinanze ci fosse un piccolo tempio abbandonato ma dovetti volare per diverso tempo prima di riuscire ad intravederlo.
Quanto tempo era passato? Faith stava riuscendo a tenere duro oppure era troppo tardi?
Volai sfondando la porta e l'odore della polvere impregnò le narici. Attraversai la navata correndo e raggiunsi l'altare infondo alla stanza, era posizionato davanti ad una statua di un gruppo di uomini e donne che reggevano una grossa bilancia.
Lo sfiorai accarezzando il marmo e mi presi giusto qualche istante per riprendere fiato. A disagio intrecciai le dita e con titubanza provai ad invocare una preghiera.
Dea madre ti prego, abbiamo bisogno del tuo aiuto.
Rimasi in silenzio per qualche attimo ma a quanto pare la mia richiesta non era abbastanza per far apparire la stronza. La rabbia cominciò a montare, digrignai i denti e mi guardai intorno alla ricerca di qualcosa da colpire.
«Insomma, non ho tempo per le cerimonie! Lo so che ci stai vedendo, appari!» diedi un calcio alla panca vicino a me che si distrusse, poi mi voltai e ne scaraventai un paio contro al muro spaccando il vetro delle finestre.
«Da quando sei sorda, maledetta! - fissai l'effige della sua figura sfidandola - Se non tornerò in tempo, giuro che passerò il resto della mia vita a bruciare i tuoi templi, uccidere i tuoi ministri e deflorare le tue sacerdotesse»
Lasciai che il silenzio sigillasse quella mia promessa e rimasi in attesa di un segno ma il tempo passava e tutto rimaneva in quiete. Valutai quel silenzio come una risposta così decisi di radere al suolo tutto, come prova che avrei mantenuto il mio giuramento.
Chiusi gli occhi e lasciai il potere fluire fuori di me e un'onda di fuoco si scaturì da me, trascinando con sé tutto ciò che non era ancorato al pavimento.
«Hai capito?» rimarcai osservando le suppellettili di legno bruciare.
Anche a costo di diventare un mostro, avrei mantenuto la parola data, fino alla fine dei miei giorni.
La tua mancanza di rispetto verso le divinità ha raggiunto livelli inauditi.
Una voce di donna si manifestò nel tempio e insieme a lei anche una luce dorata. Mi abbagliò costringendomi a coprirmi il volto con l'avambraccio.
«Proprio tu parli di rispetto? Nonostante tutto quello che hai fatto a Ginozkena? Come posso avere devozione o stima per una divinità come te?»
La luce andò piano a piano a svanire e la figura femminile della dea celeste si disegnò nel tenue bagliore della manifestazione.
Ero disgustato, non avrei mai voluto abbassarmi a tanto ma solo lei poteva aiutare Faith.
Sei venuto a disturbarmi solo per esprimere il tuo disprezzo, ialino?
Come poteva dire una cosa del genere? Fare finta che lì fuori non stesse succedendo nulla quando lei agiva per conto suo.
«Hai detto che lei è la tua figlia prediletta! Maledizione! Perché non fai nulla? Ginozkena sta per morire!» Lei a quel nome sussultò poi guardò in alto con espressione addolorata, strinse le mani in gesto di cordoglio e chiuse gli occhi.
Non posso... per la legge dell'equilibrio a cui anche noi divinità sottostiamo non ci è permesso di intervenire. Mi dispiace Enex.
«Non mi importa della legge divina! - le urlai contro - Dammi la possibilità di salvarla! In questo momento lei è afflitta dalla malattia dei popoli magici. Trasferiscila a me!»
Lei abbassò il volto per guardarmi.
Ma così facendo... saresti tu a morire.
Da quando le importava della mia incolumità? Stupide divinità, quanto tempo mi stava facendo perdere!
«Non mi interessa! Se lei sarà salva, va bene qualsiasi cosa».
D'accordo, ma se ti dicessi che se volessi potrei procurarti una cura?
Una cura? Era anche più di quello che avrei potuto immaginare.
Posso esaudire qualsiasi tuo desiderio, ma dovrò chiederti il corrispettivo.
Aggiunse dopo una breve pausa, poi tornò in silenzio in attesa della mia scelta.
«Va bene, allora desidero che tu mi dia la cura per la malattia dei popoli magici».
Non c'era molto su cui discutere, io avevo ancora un compito da svolgere prima di morire: uccidere Dix.
Quando le mie parole finirono di echeggiare nel tempio sentii un rumore secco provenire dalle sue spalle, la statua di pietra situata sotto la sua effige si era incrinata, un braccio della bilancia raffigurata si era squilibrato, su uno dei due patti era apparso un contenitore di vetro con del liquido colorato al suo interno.
Il tuo desiderio sarà esaudito ma il compenso per salvare la sua vita sarà la cosa più preziosa che possiedi.
Mi spiegò porgendo una mano verso di me in attesa che io le consegnassi il pagamento.
«Ehm... - mi controllai le tasche facendone fuoriuscire la fodera - Io, non ho nulla di prezioso qui con me se non la mia spada» slacciai la fondina dalla cinta e gliela consegnai, avrei pagato qualsiasi prezzo per salvarla ma in quel momento avevo solo gli abiti che indossavo.
Tu sei sicuro che la cosa più preziosa che possiedi sia un bene materiale?
Mi chiese rifiutando la mia arma. La risistemai un po' offeso, non era certo fatta d'oro ma aveva sicuramente un valore affettivo.
I ricordi di lei, Enex. I ricordi che hai di lei. Rinuncia a quelli e avrai la cura che brami.
La sua richiesta mi gelò.
La mia testa si svuotò, avrei voluta mandarla a quel paese ma la mia bocca era intorpidita al pensiero di quella evenienza ma, a pensarci bene non aveva tutti i torti, i suoi ricordi erano ciò che avevo di più prezioso, ancora più del mio retaggio o dei soldi delle casse di Talormoran.
In passato mi era capitato di sentire voci di quella pratica, ma pensavo che fossero solo leggende: un tempo genti di ogni dove raggiungevano i luoghi sacri chiedendo miracoli alle loro divinità e riuscivano ad ottenerli solo se erano capaci di rinunciare a qualcosa di prezioso in egual misura alla richiesta sottoposta. Ma non avrei mai potuto immaginare che il pagamento potesse consistere anche in qualcosa di immateriale.
Strinsi le mani a pugno, non avevo molto tempo per accettare, che scelte avevo? Quella era già l'ultima spiaggia, non potevo permettermi di avere remore!
Ma i miei ricordi... quelli erano l'unica cosa che era riuscita a farmi andare avanti in quegli anni. Mi ero sempre aggrappato a loro per poter resistere all'iconmourner e sempre loro mi facevano sentire più umano. Come avrei fatto senza?
Ma come avevo detto, non avevo tempo per ripensamenti.
«Accetto» non era difficile, o io o lei; o i miei ricordi o la sua vita. E non potevo venire meno alle parole che le avevo detto quel giorno:
Morirei per te.
Grazie, Enex, grazie! - Delle lacrime scesero dal suo volto - Senza di te la mia bambina sarebbe perduta.
Un altro rumore provenì dalla statua con la bilancia. Entrambi i bracci si mossero, ritornando perfettamente orizzontali, in equilibrio.
Senza aspettare il suo permesso, la superai correndo a recuperare la fiala.
Quel composto deve essere ingerito, annienterà la nefelia.
Mi spiegò mentre avvolgevo il contenitore di vetro nel mantello, poi tornai svelto verso la porta ma lei mi fermò. Mosse le mani davanti a me e la logorata porta tornò come nuova e un bagliore ne illuminò gli infissi.
Attraversa quella porta e sarai di nuovo da lei, ma quando il tuo piede sfiorerà terra il compenso verrà riscosso.
E così i miei ricordi più belli sarebbero svaniti... per sempre. Allungai la mano sulla maniglia della porta, la strinsi tra le dita, poi provai a tirarla verso di me. Ma ebbi difficoltà, come se fosse fatta del materiale più pesante della terra.
«Sai, non pensavo che aprire una porta sarebbe mai stato così difficile» presi un respiro e raccogliendo tutto il coraggio che possedevo, la spalancai senza più voltarmi dietro.
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