Capitolo 24 - Parte III
La coscienza di Ginozkena, dopo un lungo periodo di tregua, era tornata.
La sentivo risuonare sempre più forte nella testa e quell' ormai familiare sensazione di vuoto prese a farsi spazio prepotente in me. Sapevo cosa stava per accadermi e quella volta avrei lottato per rimanere cosciente.
Le avrei impedito di fare di me ciò che più le aggradava. Mi toccai le tempie, disturbata da quella sensazione, e la combattei.
«Faith!» avevo la testa che girava ma sentii la voce di Xandra chiamarmi, aveva compreso che qualcosa non andava ma non riuscivo a risponderle.
Sentii le forze venirmi meno, mi strinsi nelle braccia per sostenermi e crollai al suolo di ginocchia. Dovevo resistere, dovevo riuscirci.
Faith, smettila di ostacolarmi!
Mi aggredì verbalmente, mentre con più forza cercava di scacciare la mia presenza. Cavolo se era potente... la terrazza smise di girare ma cominciavo a sentirmi stordita e le sue parole si facevano distanti.
«No! - urlai cercando di rimanere lì, in quell'attimo - Ho capito che non sei tipa a cui piace collaborare ma...»
Biascicavo le parole, quasi non mi sentivo più le dita ma continuai a combatterla, continuai a fare perno sulla mia forza di volontà.
Quella non mi era mai mancata neanche quando ero a casa.
«Adesso il tuo corpo è mio. Hai capito! - Urlai in un impeto di rabbia - Dovrai chiedere il permesso se vorrai usarlo».
Abbassai nuovamente la voce e digrignai i denti guardando in cagnesco il pavimento. Ero stanca di essere lo strumento di qualcuno, stanca di essere sballottolata a destra e a manca come se fossi un oggetto incapace di qualsiasi cosa.
«Questa volta non te lo permetterò!» Sussurrai strizzando gli occhi.
Più resistevo e più la sensazione di vuoto incombente si accompagnava ad un dolore via via più intenso. Si espandeva a macchia d'olio in tutto il corpo, era difficile riuscire a trattenere anche la voce che tremava, mentre gemevo per il dolore.
Non fare la ragazzina! Lasciami il controllo del corpo, l'anyath oscuro si è finalmente rivelato.
Sgranai gli occhi ma, allo stesso tempo, sollevai il busto a fatica per guardarmi intorno: non c'era nulla se non una leggera musica di sottofondo.
Non sembrava provenire dai festeggiamenti in strada, era molto più vicina e l'aria era inspiegabilmente appesantita, quasi asfissiante, e la sensazione peggiorò nel momento in cui la melodia sembrò raggiungere il suo apice ritmico.
La cosa che mi colpì subito era che la canzone, avevo studiato musica a scuola e avevo un buon orecchio. La conoscevo, ne ero sicura, anche se avevo difficoltà a riconoscerne il titolo.
Non c'è più tempo!
La voce di Ginozkena si fece più forte e io dovetti distogliere nuovamente l'attenzione a ciò che mi circondava per impedirle di impossessarsi di me.
«Basta, stai zitta! Mi hai scocciato adesso.» Evocai la spada feci perno per tirarmi sù.
Un'altra sensazione stava crescendo quasi sostituendosi al dolore che mi stava provocando Ginozkena, era come un allarme, un'impellente necessità di fare attenzione a ciò che stava per succedere mi permise di schiacciare una volta per tutte i tentativi della donna di sottomettermi.
Mi sollevai su due gambe, sottraendomi alle domande e alla presa di Xandra che era rimasta tutto il tempo al mio fianco.
«Anche io posso combattere!» affermai impugnando la spada e la posizionai davanti al mio volto in posizione di contrattacco.
Xandra smise di parlare, finalmente anche lei sentì il pericolo farsi più vicino, sgranò gli occhi e cerco di mettersi in difesa, ma la musica si animò, le porte delle scale si spalancarono di colpo e un massiccio spostamento d'aria ci investì riuscendo a sbalzarci in direzioni opposte.
«Xandra!» la chiamavo a squarcia gola mentre qualcosa mi colpiva ripetutamente. La mia carne era lacerata come da mille coltelli che mi aggredivano.
Mi alzai tentando di riaprire gli occhi e capire chi mi stesse attaccando e mi resi conto di essere nel bel mezzo di un vortice, ma non era semplice aria quella che mi circondava.
Mi sentivo avvolta da una sostanza quasi palpabile, elettrica, scura e qualcosa al suo interno continuava a ferirmi, come se al suo interno vi fossero delle lame invisibili.
Mi coprii subito il volto per non essere colpita sugli occhi e tentai di scacciare quell'aria a manate, o quanto meno, riuscire a fenderlo per uscire da quell'area pericolosa.
Ma era come se fosse lì per aggredire me e ogni passo che riuscivo a fare, mi seguiva.
Cercai con lo sguardo l'aiuto di Xandra ma lei era riversa a terra, svenuta. Probabilmente lo spostamento d'aria l'aveva scaraventata alla ringhiera e aveva battuto la testa. Non sapevo che fare, chiusi gli occhi e cercai di resistere più che potevo.
Adesso è abbastanza? Non abbiamo abbastanza tempo per farti imparare la lezione.
Mi rimproverò Ginozkena, infierendo su di me
Scusami... avevi ragione ma... tu non mi dai nemmeno la possibilità di combattere.
Cominciai a sentirmi affaticata, stavo perdendo parecchio sangue e con un forte peso che mi schiacciava il petto avevo difficoltà a respirare. Lei rimase in silenzio poi la sentii fare un lieve sospiro.
Spiegami come posso fare, seguirò le tue istruzioni.
Le levai l'imbarazzo di doversi in qualche maniera scusare per il suo atteggiamento arrogante. Non si poteva dire che lei e Enex non si somigliassero, erano davvero due anime gemelle.
Questa cosa che ci circonda si chiama miasma ed è l'emanazione di un anyath incompleto, una creatura nata o che sta per diventare incorporea, dovresti sapere che ce ne sono di vari tipi, tra cui fanno parte anche gli aranarth.
Non dovrei neanche sprecarle tutte queste parole visto che sono cose che avresti dovuto studiare. Non c'è più tempo. Devi purificare questa emanazione per annullarla, poi devi trovare al più presto la sua fonte e ucciderla.
«Okay!» Esclamai portandomi le mani alle tempie, ignorai quel suo tuo supponente e cercai di concentrarmi.
Non sapevo come purificare un'emanazione ma Enex, al lago di Uriel, mi aveva detto che la mia sola presenza era capace di farlo ma a quanto pare non stava funzionando quindi l'unica soluzione era provare ad inglobare tutto quel potere oscuro.
A rigor di logica, avrei dovuto avere un successo assicurato.
No! Aspetta!
La voce di Ginozkena cercò di fermarmi ma era troppo tardi, mi chiusi in meditazione e appena pensai di assorbire il miasma, quello entrò violentemente in me senza fare alcun tipo di resistenza.
Sentii le viscere in fermento, come se avessi avuto qualcosa al mio interno che si muoveva freneticamente.
Strinsi le mani a pugno sul petto, strizzando gli occhi. Cercava di sopraffarmi, avevo la vista offuscata e delle immagini cercarono di prendere il sopravvento sui pensieri, il tradimento di Duncan e Katy, la morte di Macota e Skill.
Stavo rivivendo tutti quei momenti, ma non gli avrei permesso di farmi cadere.
Sussurrai qualcosa, delle sillabe uscirono inconsciamente dalle le mie labbra e un bagliore si scaturì dal centro del mio essere distruggendo l'emanazione e scacciando via quelle immagini.
Un breve ma intenso momento di silenzio acquietò la mia mente finché la voce di Ginozkena irruppe nuovamente nei miei pensieri.
Corri, segui la musica. Troverai l'anyath che ti aspetta.
Sembrava sapere più di quello che mi aveva detto riguardo a quell'anyath, ma non avevo tempo per chiederle spiegazioni.
Seguii le sue indicazioni senza controbattere. La musica sembrava un componimento per pianoforte e, a meno che non fosse riprodotta dalla magia, da qualche aggeggio simile ad una radio o da un altoparlante, l'unico pianoforte che avevo visto era nella sala comune. Mi fiondai giù dalle scale ma una nuova voce femminile mi fermò.
Salvalo.
Sorpresa mi voltai per un attimo, una figura dai capelli biondi mi apparve come un flash alle spalle, e ancora una volta quella supplica rimbombò in me. Salvalo.
Cercai ancora una volta la proprietaria di quella voce ma sentii il corpo muoversi per un attimo da solo verso il fondo delle scale.
Non perdere altro tempo, non ce n'è rimasto molto.
Preoccupata e con un'ansia crescente mi lanciai dagli ultimi gradini e arrivai nella hall. Il muro che divideva l'ingresso dalla sala comune era stato spazzato via, molti dei mobili occupavano l'ingresso, altri avevano sfondato la reception distruggendo tutto ciò che era fissato al suolo.
Il mio sguardo cadde subito nella direzione del pianoforte per capire chi lo stesse suonando e la figura di Garnet si fece spazio nella penombra della stanza, illuminata solamente dalla luce della luna che entrava dalla finestra in frantumi.
«Garnet?» cercai la sua attenzione quando la musica sembrò fermarsi.
Credevo di avere la sua attenzione invece era semplicemente una pausa, subito dopo la canzone riprese con un ritmo più intenso. Le note cominciarono a penetrarmi le orecchie con dolore e per un attimo fui costretta ad appoggiarmi al muro frastornata.
Ero sicura che quella melodia fosse una canzone che avevo già sentito nel mio mondo, un'opera di musica classica ma non credevo che potesse fare così male!
Cercai di riprendermi e con passi affannati provai ad avvicinarmi a lui, suonava con una maestria davvero notevole, completamente concentrato sulla sua esecuzione, sembrava essere l'epicentro dell'esplosione che aveva investito la stanza.
Tutti gli oggetti intorno a lui erano stati di forza spinti contro il muro, schegge di parquet e frammenti di oggetti fluttuavano sospesi per aria, come in stasi.
Più la canzone avanzava e più la magia oscura che fuoriusciva da lui diventava intensa da essere addirittura visibile.
«Garnet! Cosa stai facendo?!» lo chiamai preoccupata ma lui alzò il volto senza smettere di suonare, il suo viso era distorto e rigato dalle lacrime.
Assottigliò gli occhi puntandomi e i detriti che gli fluttuavano attorno si mossero con velocità verso di me.
Di primo istinto cercai di parare, ma quando qualcosa mi colpì provocandomi una profonda ferita sul braccio eressi una barriera di protezione, su cui far infrangere i detriti della stanza che continuava a lanciarmi.
Di questo passo quando finirà di eseguire il componimento sprigionerà tutto il suo potere e l'anyath sarà completo. Dobbiamo ucciderlo prima che possa compiere la sua trasformazione!
Non avevo nessuna intenzione di uccidere Garnet! Men che meno dopo la supplica che avevo intercettato nelle scale.
Qualsiasi cosa gli fosse successa era evidente che stesse soffrendo e quel qualcuno che aveva cercato il mio aiuto qualche attimo prima credeva che lui potesse essere salvato.
Non hai imparato nulla dagli ialini?! Se hai pietà per lui, ucciderlo è l'unico modo. La sua anima è stata corrotta ormai, anche se lo fermiamo vivrà una vita maledetta. Tu non lo sai, non conosci questo mondo, non conosci questa vita di sacrifici. Nessuno vorrebbe essere schiavo di una magia, che sia un incantesimo sacro o una maledizione oscura.
Doveva esserci una soluzione alternativa! Proprio perché non era ancora completo, il suo spirito poteva ancora essere salvato.
Se non sei capace, lascia che me ne occupi io!
Sentii Ginozkena provare ancora a sostituirsi a me.
Non potevo permetterle di farlo, ma mi sentivo impotente di fronte a Garnet che continuava ad eseguire la sua melodia.
Il potere che scaturiva era talmente forte, lo avvolgeva espandendosi da un punto molto concentrato del petto, appena sotto le clavicole. Ma era troppo al centro per poter essere la posizione del cuore.
La collana... certo! Quante possibilità c'erano che quel simbolo maledetto fosse un amuleto? Ignorai Ginozkena e mi lanciai contro di lui senza protezione.
Qualcosa di invisibile cercava di respingermi e la barriera avrebbe solo aumentato l'attrito di quella strana aria.
Garnet sembrava ormai alla fine della sua esecuzione, la musica cominciava a farsi più imponente ma con un ritmo calante.
Proprio come i suoi attacchi su di me che i fecero meno frequenti ma di intensità sempre più potente e l'aria intorno a lui era così densa e "sporca" che la sentivo sulla pelle come se fosse solida, scivolava sul mio corpo e la sentivo entrarmi dentro attraverso i pori.
Più mi avvicinavo e più mi sentivo stordita da quell'aria tanto da stordirmi. Ero ormai di fronte a lui, proprio affianco al pianoforte, quando la musica sembrò fermarsi.
Il sangue mi raggelò, per un lungo attimo temetti che fosse finita, ma subito riprese con un ultimo giro di scala.
Il tempo era agli sgoccioli, non avevo bisogno di ricordare l'intera composizione per capirlo, così mi lanciai su di lui aggrappandomi al suo petto.
Strinsi la fonte di quell'energia e con uno strattone riuscii a staccare la collana da lui, strappandola dal suo collo insieme a brandelli della camicia che indossava.
Quando il ciondolo non ebbe più potere su di lui, appena prima che potesse schiacciare l'ultimo tasto, svenne cadendo dallo sgabello.
«Non farai mai più del male!» Gridai con la voce stridula e l'affanno, in preda all'impeto. Fissai l'oggetto maledetto con rabbia e stringendolo tra le mani lo distrussi, con una forza che non sapevo di possedere.
Una nuvola, simile a quella che mi aveva aggredito nel balcone, fuoriuscì irrequieta dal metallo e dopo aver provato ad aggredirmi si smaterializzò.
Sentii Ginozkena sussultare, era rimasta col fiato sospeso per tutto il tempo ma non sembrava arrabbiata del mio ammutinamento.
Feci due lunghi respiri per riprendere aria e qualche attimo dopo, al fianco di Garnet, vidi apparire una figura evanescente. Era seduta al suo fianco e con leggeri gesti lo accarezzava, era lei che mi aveva chiesto di salvarlo manifestandosi nelle scale.
Grazie, Faith.
La figura alzò il volto verso di me, con le lacrime agli occhi e un sorriso sofferente, mi ringraziò. Era diversa dalle immagini che la ritraevano sui muri ma non ebbi difficoltà a riconoscerla.
«Tu... sei Svea?».
Lei annuì e per un attimo si piegò su di lui.
Vorrei tanto riuscire a toccarlo per davvero, un'ultima volta. Non posso fare altro che immaginare il calore del suo corpo e vederlo vivere in solitudine quello che rimanere della sua ancora lunga vita, senza poter fare nulla per lui.
«Svea... se c'è qualcosa che posso fare per te...». Avrei voluto aiutare anche lei, ma come potevo? Non potevo mica riportare i morti in vita.
Lei al mio richiamo fermò le lacrime e ricacciandole dentro di sé si alzò fluttuando verso di me.
Non puoi nulla, io sono uno spirito esule, prigioniero di un solitario limbo. Non apparteniamo a questo mondo, Faith, e quando sono morta la mia anima è rimasta incastrata qui, impossibilitata ad andare oltre. Non posso seguire gli spiriti dei Simionj ma allo stesso modo non posso tornare nel nostro mondo, così ho deciso di vegliare su di lui.
Si voltò nuovamente verso di lui torturandosi le dita tre le mani.
«Posso almeno... portargli un messaggio da parte tua?»
Lei a quelle parole si agitò e rimase in silenzio per qualche attimo, pensierosa.
Ti ringrazio ma penso che vada bene così. Hai già fatto tanto, lo hai salvato dalla terribile sorte di finire maledetto ed è il più bel dono che potessi farmi.
Se sapesse che in realtà non ho trovato la pace e che gioco al grande fratello con lui potrebbe rimanerne sconvolto. Inoltre, non penso sia giusto tenerlo legato ancora a me, proprio adesso che una nuova scintilla sta nascendo nel suo cuore.
Rispose enigmatica.
Se mai riuscirai a tornare a casa... dì ai miei genitori che ho vissuto la migliore vita che potevo avere, accanto all'uomo che amavo.
A quel punto la sua figura cominciò a sbiadirsi, non fu più visibile ma io sapevo che era ancora lì, da qualche parte che ci osservava.
Con gli occhi umidi, fissai per qualche istante il punto in cui l'avevo vista sparire, ma dei colpi di tosse mi fecero tornare alla realtà.
Garnet sembrava recuperare i sensi così mi avvicinai a lui e imponendo le mani sul suo petto, curai il suo malessere.
Qualche attimo dopo, lo vidi aprire gli occhi ancora rossi dal pianto.
«Tutto bene?» Gli domandai prendendo le distanze da lui.
Sbatté le palpebre confuso e portandosi la mano alla testa tentò di alzarsi, si guardò intorno e impallidì.
«Cosa è successo? Io... mi ero seduto a suonare il piano... io... stato io, non è vero?»
Mentre parlava e faceva chiarezza nei suoi pensieri, i ricordi di quello che era successo si susseguivano nella sua testa.
Il suo volto fu attraversato da una serie di emozioni che ne descrivevano l'escalation psicologica.
Prima aggrottò le sopracciglia alla ricerca della verità, poi le allargò spalancando gli occhi, incredulo di quello che aveva compreso e infine il suo sguardo si scurì invaso dal senso di colpa.
«Sono sicura che Xandra conosce un incantesimo per mettere tutto in ordine alla svelta.»
Lo rassicurai cercando di smorzare la situazione, o perlomeno ci provai.
«É tutta colpa mia.» continuò guardando le mie ferite, mi sfiorai un braccio e infusi sulla pelle l'incantesimo di guarigione. Tutte le ferite guarirono e mi sentii meglio.
«É tutto a posto, visto?».
«No, non lo è. Ho fatto del male e non solo a te. Tutte le volte che la sera in preda alla malinconia mi mettevo a suonare il piano avevo dei vuoti... quegli omicidi, quelle persone... è tutta colpa mia. Sono stato io...» Portò le mani al volto per nascondere la vergogna e il senso di colpa che lo avevano invaso a quella consapevolezza.
Avrei dovuto capirlo, nel momento in cui la sua aura mi era sembrata così simile a quella degli ialini neri. Inoltre, i tagli che la sua emanazione mi aveva procurato erano uguali alle ferite che avevano riportato le vittime del serial killer che avevo visto al telegiornale.
L'assassino che stava terrorizzando Nijest era lui.
* * *
Aprii gli occhi con la vista ancora un po' annebbiata, scivolai tra le lenzuola e la mia mano incontrò la figura semi spoglia di Phaszaa che dormiva serena al lato opposto del letto.
Il suo profumo era ancora più intenso della sera prima e mi chiamava a sè con il suo inconsapevole candore.
Mi portai le dita sugli occhi e li strofinai, ero stanco e intontito dalla sonnolenza ma nonostante tutto il pensiero che mi ossessionava in quei giorni si face spazio prepotente nella testa.
Come si era permessa quella mocciosa di congedarmi, con quale coraggio aveva pensato di riuscire nella sua impresa senza di me?
Peggio per lei, mi aveva allontanato... bene, io allora ero libero.
Senza la palla al piede dedicarmi ai miei doveri di futuro regnante sarebbe stato più divertente. Non avevo più nessun legame da rispettare e avrei potuto godermi a pieno di tutti i privilegi che la mia posizione mi riservava.
Senza alcuna remora.
Proprio la sera precedente, avevo passato la serata in compagnia della nobiltà, avevo tracannato litri di alcool senza neanche mangiare un boccone e avevo permesso a qualche svenevole cortigiana dal sangue aristocratico di farmi la corte.
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