Capitolo 23 - Parte III

Era un edificio fatiscente con un gran bel viale alberato, seppur morto. Mi avvicinai all'ingresso e spinsi la porta che si aprì con un po' di forza. 

Entrai e subito fui accolta da una grande stanza dai soffitti alti, lunghe colonne che si spingevano verso l'alto e sulle grandi finestre, seppure molte rotte, si potevano ancora riconoscere dei mosaici.

Sembrava una lugubre chiesa e mi domandavo come mai ero stata attratta da quel luogo. 

Mi avvicinai alle pareti e con il palmo della mano pulii una zona del muro dove c'erano delle incisioni, erano dei graffiti, sembravano descrivere una storia.

C'era un gruppo di persone che puntava il dito contro la figura di un uomo dai capelli corti. 

Quell'uomo si allontanò andando in un posto dove c'erano molti alberi, qui incontrò delle persone che venivano raffigurate più piccole della prima. 

Lo accerchiarono ma non sembrava lo stessero attaccando. 

Lui allargò le braccia e nella vignetta successiva, in quello stesso posto, era stata costruita una casa

«Faith! Cosa ci fai qui!» il richiamo di qualcuno mi terrorizzo e urlai facendo rimbombare la mia voce per tutto l'edificio.

«Lo sapevo che non potevi fare la guardia» quando compresi che era la voce di Xandra mi tranquillizzai e ricominciai a respirare «Non dovresti essere qui»

«Mi hai fatto prendere un infarto» esclamai con il cuore che batteva a mille «Che posto sarebbe "qui"?» le domandai scrutandola.

Si era caldamente assicurata di starne lontana quindi con buona probabilità doveva conoscere bene quel luogo.

Lei sospirò, non sembrava favorevole a rispondere poi creò a sua volta una sfera di luce così grande da illuminare l'intera parete rivelando tutte le incisioni e i quadri ad esso appesi.

«Questo è uno dei templi del dio dell'oscurità, nessuna delle due dovrebbe essere qui» mi spiegò.

 «Anche se è stato probabilmente abbandonato dopo la prima guerra rimane comunque la sua casa. Speriamo che non ti abbia percepito!» dicendo quello provò a trascinarmi fuori ma io glielo impedii sfuggendo alla sua presa.

«Come potrebbe farlo?» le domandai un po' confusa.

«Agli dei non è permesso camminare sulla terra nella loro essenza completa, ma i templi sono un'eccezione. I luoghi sacri sono come un'estensione del loro essere sulla terra e possono apparire ai mortali nella loro reale forma»

«Ma allora Illidea? Come è riuscita lei a manifestarsi?»

«Per Illidea è diverso, lei per poter stare al fianco degli ialini neri al di fuori del suo tempio si è incarnata. Ha rinunciato ad una parte dei suoi poteri e ha vissuto in un corpo mortale»

«Quindi lei... è davvero morta?»

«Il suo corpo mortale lo è, la sua essenza divinità è tornata nel mondo celeste, ascendendo.»

Mi guardai ancora qualche attimo intorno, le figure nelle rappresentazioni sacre attirarono la mia attenzione. 

I fedeli erano spesso ritratti nudi e impegnati in grandi orge davanti al dio che li osservava.

Xandra si schiarì la voce per attirare la mia attenzione.

«Non dovresti lasciarti affascinare da certe pratiche» mi riproverò e per un attimo divenni rossa e balbettai sillabe senza senso negando con tutta me stessa il mio interesse verso quel genere di cose.

«I cultisti oscuri possedevano un enorme potere, la pratica della manipolazione della magia donata dal dio permetteva loro di essere temuti in ogni luogo. Queste chiese un tempo pullulavano di genti di ogni dove ma la verità è che ognuno di loro ha condannato la propria esistenza.» fece una pausa sedendosi su una panchina impolverata e osservando il fondo della struttura.

 «Proprio come gli ialini neri anche gli altri esseri viventi finiscono vittima dell'icounmorner. Ma a differenza dei primi, che sono costretti dal loro retaggio di nascita, i cultisti oscuri scelgono quella via. L'arroganza mortale è così cieca, pieni dei vaneggi della loro narcisistica convinzione di essere forti molte persone hanno concluso le loro "gloriose" vite dissolti dal potere che hanno bramato. Alcuni di loro non sopravvivevano neanche al rito di comunione»

Le parole di Xandra mi fecero stringere il cuore, non potevo pensare agli ialini neri costretti a quella vita senza alcuna speranza. 

Desideravo poter dare una mano, adesso che Illidea non era più tra loro chi li avrebbe aiutati?

 Anche per loro, soprattutto per loro, dovevo porre fine al dominio di quella divinità. Mi riproposi di tornare da loro, una volta conclusa la nostra spedizione.

A tutti i costi.

«Alla fine i fedeli cari a Fyren muoiono tutti per causa sua»

«Fyren?» quel nome non lo avevo mai sentito eppure appena lo udii si impresse a fuoco nella mia testa e le mani per un attimo mi tremarono.

«E' il suo nome» affermò indicando con gli occhi la grande icona sopra l'altare principale poi sospirò «Secondo una credenza che si tramanda oralmente, se invochi il nome delle divinità abbastanza forte esse ti appariranno concedendoti i loro favori» si alzò e si scosse della sporcizia dall'abito

«Non è prudente invocare quel nome qui, andiamo. Questo posto emana ancora tetre vibrazioni»

Il fuoco cerimoniale aveva da poco smesso di sfrigolare e le ceneri di Fridsig venivano raccolte per essere conservate in un'urna che avrebbe preso posto tra le spoglie degli eroi del regno.

Sedevo ancora sul trono da cui avevo assistito a tutto il rito funebre, nonostante fosse il cavaliere meno rinomato l'intera Talormoran si era accerchiata ai suoi compagni per dargli l'estremo saluto.

Reggevo il volto tra le mani, nascondevo lo sguardo preoccupato dietro le nocche e sospiravo lentamente per non essere udito.

La situazione mi era sfuggita di mano, proprio in quel momento che ero libero di lasciare tutto, tornare alla missione e fuggire nuovamente da quel luogo con una scusa più che legittima ero attanagliato dai dubbi.

«Complimenti sua maestà» la squillante e ironica voce di mio fratello irruppe nei miei pensieri. Alzai lo sguardo e lo vidi avvicinarsi a me.

«Un funerale davvero onorevole, hai proprio dato il meglio di te stesso. Peccato che nessuno sopportasse Fridsig»

«Shura! Le abilità e i meriti di un cavaliere vanno ben oltre il carattere o i giudizi personali» lo rimproverai.

C'era qualcosa di strano in Fridsig, il suo sguardo non era mai presente del tutto e le sue orecchie sembrano udire voci inesistenti.

Se non l'avessi conosciuto da una vita, avrei scommesso che fosse ad un passo dall'iconmourner.

«Allora? Hai preso la tua decisione?» lo sguardai sollevando le sopracciglia ma presto compresi il suo interrogativo.

 «Se aspetterai ancora è come se avessi già deciso» la faceva facile lui. 

Nonostante tutti i miei sforzi e il mio impegno quella donna continuava a sfuggirmi, in tutte le sue sfumature. Non sopportavo l'idea che ero stato "lasciato" per l'ennesima volta.

Se voleva fare tutto da sola allora le avrei fatto fare di testa sua anche se sapevo che sbagliava. Non capivo chi fosse più stupida tra loro due, lei che pensava certe cose o Xandra che le aveva dato pure corda.

«La tua curiosità sarà la tua rovina» lo ammonii.

«Fai come vuoi, infondo sei tu il futuro re senza una regina» si avvicinò levandosi la corona che adornava il capo e la lanciò nella mia direzione. Io istintivamente la presi al volo con una smorfia di dissenso.

«Ho fatto il mio dovere, ma adesso è tempo che me ne vada» annunciò incrociando le braccia.

«La nostra nobile madre è fin troppo in forze per i miei gusti inoltre Rihannon è troppo vicina al parto e ha bisogno di me. Non posso perdere tempo con la politica»

«Allora questo è un addio» commentai guardando le sue spalle e lui in tutta risposta alzò la mano in segno di saluto.

Il silenzio che aveva caratterizzato il nostro viaggio fu perturbato dal forte rantolio del mio stomaco. 

Avevamo lasciato la città di Enex di fretta e non avevamo avuto il tempo di fare scorta di cibo, che già di per sé lasciava a desiderare. 

Xandra durante il percorso aveva raccolto qualche frutto commestibile ma più ci avvicinavamo alla meta e più la natura era infertile.

Avevo fame ma volevo resistere più che potevo. All'orizzonte si intravedevano le sommità delle altissime mura di Nijest, la città natale di Skill di cui mi aveva accennato qualche usanza.

Ero davvero curiosa di vedere cosa ci fosse all'interno, anche perché Xandra era stata molto enigmatica al riguardo.

Le domandai della città e quando vidi che non mi dava le sue solite risposte esaustive abbandonai la possibilità di un dialogo. 

Probabilmente doveva avercela in qualche modo con me per la mia decisione di partire da sole e quello spiegava la tensione che c'era nell'aria.

Il rumore degli zoccoli dei vallachi era ipnotico, dopo qualche metro il loro ripetitivo suono mi trasportava in uno stato di trance in cui ero vigile per fare attenzione al percorso ma tutto intorno a me spariva. 

Diventavo come il protagonista dei vecchi film che teneva le mani ferme sul volante mentre il paesaggio dietro a lui correva in una serie di sfuggenti immagini.

Ad un certo punto un rumore inusuale mi destò dal torpore di quella condizione, i passi del vallaco avevano cambiato stranamente suono così tirai di colpo le redini e l'animale si fermò quasi di scatto. 

Strizzai gli occhi per mettere a fuoco il terreno e balzò subito all'occhio che la strada che stavamo attraversando non era più sterrato selvatico.

«Cosa succede?» Xandra udì il rantolio del mio vallaco così fermò a sua volta la corsa.

In quel tratto di strada i ciottoli dissestati erano ricoperti da un vecchio, ma ancora riconoscibile, manto grigio. Scesi dal vallaco e incredula mi inginocchiai accarezzando il solido materiale di cui era fatta.

«Ma questo... è asfalto?» ancora non riuscivo a credere se era tutto vero o i miei occhi mi stavano giocando brutti scherzi. Come poteva esistere una strada del genere su Ariadonne?

«Esatto» fece qualche passo indietro per raggiungermi.

«Siamo quasi arrivati a Nijest. Alziamo il passo prima che i vallachi siano troppo stanchi per proseguire».

Con la bocca aperta salii sull'animale e ripartii fissando il terreno. 

C'era qualcosa di tremendamente sbagliato eppure ero quasi contenta di vedere qualcosa a me più familiare.

Aizzai il vallaco muovendo le redini e il cuore cominciò a sobbalzare in preda ad una viscerale corsa. 

Costeggiammo per tutto il tempo la strada asfaltata e un'oretta dopo ci ritrovammo davanti ad un grosso edificio a diversi piani, era ancora in stile medievale e sembrava cozzare tantissimo dietro alla strada a corsie e un gabbiotto aperto tipo grande fermata del pullman piuttosto moderni che la servivano.

Scesi nuovamente dall'animale ormai stanco e comincia a guardarmi intorno ancora incredula, nel bel mezzo di quella natura decadente, a poca distanza dalle gigantesche mura di Nijest un residuo della società umana moderna faceva a pugni con il mondo antico di Ariadonne.

Xandra mi rubo dalle mani le redini del vallaco e, dopo avermi raccomandato di attenderla, entrò dentro a quel posto, doveva essere una specie di locanda con annessa stalla.

Lasciò il nostro mezzo di trasporto e qualche istante dopo ne uscì con un foglio di carta ripiegato su sé stesso.

«E' qui che alloggeremo stasera?» mi avvicinai domandandole curiosa. 

I cartelli pubblicitari indicavano il Middle Way il ristoro ideale per ogni tipo di viaggiatore, e chi ero io per dire il contrario?

«No» mi rispose riuscendo ad aprire il dépliant che voleva consultare. 

Era una grande cartina stradale che disegnava un'intricatissima massa di strade ed edifici, con nomi di vie e piazze

«Stanotte dormiremo all'interno delle mura» aggiunse indicando un punto cerchiato sulla mappa poi si sedette sulla panchina della fermata rimanendo in attesa.

Non sapevo cosa attendevamo e lei non sembrava intenzionata a dirmelo così mantenni la cartina davanti a me e curiosa continuai a studiare la città.

Il cerchio di inchiostro evidenziava un punto in una zona periferica, circondato da un manto verde e notai che aveva un nome inusuale per quel luogo: Bard's Crossway.

«Signorine, avete per caso bisogno di un passaggio?»

Quella voce profonda catturò la mia attenzione e quando abbassai lo sguardo una macchina dalla forma piuttosto allungata sostava di fronte a me, era senza ruote e fluttuava appena.

Sulla carrozzeria c'erano dei simboli a scacchiera e un uomo dalla pelle verdastra ci chiamava dal finestrino.

«Era ora! Aspettiamo qui da un po'» Xandra si alzò e con fare familiare aprì lo sportello posteriore e mi invitò a salire.

Io rimasi esterrefatta e per un attimo non riuscii a raccapezzarmi.

«Forza Faith, prima arriviamo e prima potremo riposare» mi incitò con un gesto della mano.

Ripiegai alla bene e meglio la cartina strada e mi fiondai sui sedili posteriori di quello che doveva essere un taxi.

«Prima volta a Nijest?» ci domandò l'uomo scostando appena lo specchietto anteriore. Ci scrutò attraverso di esso divertito. 

La mia faccia doveva essere eloquente.

«Per quello che mi è stato possibile accedere ho visitato le biblioteche della città ma per la mia amica effettivamente lo è» rispose accomodandosi al mio fianco.

«Bene allora, stringete forte le cinture e reggetevi» con un ghigno toccò le marcie e il motore di quell'aggeggio cominciò ad emettere degli sfrigolii sempre più forti e un secondo dopo fui catapultata all'indietro sul sedile.

Il simpaticone era partito in quarta senza lasciarmi il tempo di seguire le sue raccomandazioni e un po' intimorita mi aggrappai più forte che potevo a Xandra.

Non ero sicura a quanto andasse, magari non era più veloce dei treni del mio mondo ma non ero più così abituata a quanto pare.

Guardai dritta davanti a me ma più osservavo e più mi resi conto che non c'erano né cancelli e né fessure sulle mura di Nijest eppure noi stavamo correndo a grande velocità contro di esse.

«Xandra...» provai a chiamare il suo nome. 

Lei sembrava tranquilla e guardava fuori come se stessimo facendo una passeggiata.

Ma il muro di mattoni si faceva sempre più vicino e a momenti ci andavamo a sbattere contro. Cominciai a tirarla in maniera frenetica per attirare la sua attenzione e indicai davanti a noi.

«Xandra!» urlai nell'abitacolo, lo schianto era imminente così abbassai di colpo la testa tra le gambe, proteggendomela con le braccia, alzai una barriera per proteggere tutti e strinsi i denti rimanendo in attesa dell'inevitabile.

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