Capitolo 22 - Parte V

Il sole si era da poco levato all'orizzonte ma io sostavo già da diverso tempo sul tetto della torre di volo.

Dopo l'improvvisata che avevo fatto nella camera della regina madre, con la scusa che non era conveniente per una nobil donna avere ospiti in nello stato in cui si trovava, ero stato malamente cacciato da quelle stronze che si prendevano cura di lei.

Odiavo quelle stupide regole.

Uscito dalla stanza provai a cercare ancora quella ragazza dai capelli corvini. Avevo vinto la scommessa, aveva promesso che sarebbe venuta con me sul tetto ma non la trovai.

Arrivai addirittura a pensare che lei fosse solo frutto della mia fantasia così desistetti nella ricerca e mi diressi lì in attesa di notizie.

Il vento mi scompigliava i capelli oscurandomi di poco l'orizzonte. Cominciava ad essere tardi e di Dramairan e dei cavalieri del rubino nero non vi era ombra alcuna.

Temendo il peggio scrollai le spalle, non poteva andare tutto bene, per quella notte avevamo già avuto una grazia.

Raccolsi i capelli su una spalla e mi voltai per tornare nel castello quando il mio sguardo cadde sulle torri del muro di cinta. In una rapida successione, i fuochi di comunicazione cominciarono ad accendersi uno dietro l'altro così mi voltai e vidi il gruppo quasi al completo volare spedito verso la mia direzione.

A quanto pare dovevo ricredermi, quella era davvero la notte dei miracoli.

Vidi il manipolo planare sul tetto, erano stanchi, con le protezioni distrutte e i visi turbati.

Non potevo biasimarli.

«Hai visto, fratellino» Dramairan camminò verso di me con il volto basso, stringeva tra le braccia una donna minuta.

«Siamo a casa» affermò superandomi.

«Dramairan» lo chiamai osservando attentamente i cavalieri, ne mancava solo uno all'appello eppure portavano con loro due corpi arrotolati nel lino.

«Cosa è successo?» gli domadai molto confuso. Quando si avvicinò, la donna che portava sul petto si voltò verso di me rivolgendomi uno sguardo di commiato.

Era lei, la ragazza che qualche ora prima era scomparsa dal castello. Come faceva ad essere con loro?

«Fai posare le spoglie di Fridsig nella sala sepolcrale. E' necessario che sia preparato per il suo ultimo viaggio mentre l'altro...» indicò il corpo che portava Medhros.

«Portalo nel tabernacolo» mi ordinò lasciando il tetto.

Le sue parole non schiarirono le mie perplessità quindi mi avvicinai a Medhros e gli ordinai di scoprire il viso dell'uomo.

Il cavaliere fece qualche rimostranza ma insistetti finchè non fu costretto a sfasciare il capo del cadavere.

«Non è possibile» esclamai coprendomi la bocca sconvolto.

Bussai alla stanza che Faith condivideva con Xandra e in pochi attimini vidi la donna capicollarsi alla porta.

«Enex!» mi chiamò giungendo le mani sul al petto «Siete vivi, non sai quanto ho pregato».

«Ti ho detto che non è necessario, lasciami andare» Ginozkena mi pregò nuovamente di liberarla dal mio abbraccio e a quel punto non potevo più rifiutarmi.

Mi piegai adagiandola lentamente al suolo.

«Visto? So camminare» mi rimproverò mentre Xandra ancora ci guardava sorpresa.

«Io devo andare» non desideravo andare via, volevo rimanere ancora qualche istante con lei, non sapevo per quanto tempo sarebbe rimasta tra i viventi.

«Xandra, ho bisogno che appena puoi raggiungi il tabernacolo. Sicuramente ci sarà bisogno del tuo aiuto» mi rivolsi alla donna poi guardai qualche altro attimo Ginozkena, si era ammutolita e mi dava le spalle leggermente ingobbita.

«A dopo» mi congedai da loro e corsi subito davanti alla stanza della regina madre.

La notte era stata impietosa con lei oppure conservava ancora un barlume di umanità?

Allungai la mano sulla maniglia della porta ed esitai, ero davvero sicuro di voler sapere?

«Dramairan! Vi cercavo» la voce di Shura spezzò la tensione.

«Shura, cosa hai bisogno?»

«Non entrare... devo dirti una cosa prima» si posò sul mio braccio e mi allontanò dalla stanza.

Teso come la corda di un arco mi accasciai sul muro cercando di mantenere la calme e alzai il volto distrutto, in attesa di ascoltare le sue parole.

Una parte di me sperava che non fosse successo per davvero. Non potevo reggere anche quella perdita proprio quella notte.

«La regina Othariel... non so come dirtelo... è guarita.»

Sgranai gli occhi per la sorpresa, stavo per sentirmi male quando quella rivelazione mi sollevò di colpo da tutte le preoccupazioni.

«E' guarita?» gli domandai ancora incredulo.

«Le sue ferite sono guarite, i suoi occhi sono tornati a vedere e l'inconmourner è regredito fino a scomparire. Le catene maledette si sono aperte da sole! Ti rendi conto? Quando me l'hanno detto stavo per picchiare il servitore»

«Lei cosa ha detto?» gli domandai quasi senza parole.

«Sostiene che sia stata Diaspro. Dice di aver ricevuto una sua visita ieri pomeriggio e che dopo averle parlato si è sentita meglio. La cerca da quando si è svegliata».

«Questo non è possibile, lei è scomparsa dal combattimento con il drago» ero molto perplesso a riguardo.

«Aveva gli occhi bendati e probabilmente non ci stava più con la testa. Non possiamo sapere chi sia davvero entrato nella stanza e poi che diamine stanno facendo le guardie? Possibile che nessuno l'ha vista?»

«Siamo a corto di uomini. Lo scontro con il dio del fuoco ci ha dato il colpo di grazia. Non era strettamente necessario sorvegliare la regina. Se fosse accaduto il peggio le catene avrebbero terminato la vita di Othariel prima che la sua mente avesse ceduto e non c'erano sospetti che qualcuno fosse interessato a lei» gli spiegai.

«Ho vagato parecchio nei corridoi ieri e non c'era nessuno di sospetto verso quell'ora a meno che...» mi soffermai a ripercorrere i miei movimenti della giornata precedente e ricordavo di aver visto Faith aggirarsi nei corridoi delle stanze reali.

«Ma certo, solo lei può essere stata» risi sconfortato. Tutto ruotava dannatamente intorno a lei, quanto dovevo essere ancora in debito con lei?

Non sarebbe bastata la mia stessa vita a saldarlo.

«Lei chi?».

«Ginozkena» mi staccai dal muro e mi levai finalmente l'elmo dal capo «La donna che ha salvato le nostre vite questa notte» gli spiegai osservandolo.

La mia mente continuava a vagare tra i ricordi.

«Io ancora non posso crederci, ma davvero è quella donna? Come può essere sopravvisuta tutto questo tempo? Non può essere ancora umana».

«E' una lunga storia ma sì. Io sono tornato al castello dopo aver viaggiato del tempo con le due sacerdotesse con la missione di raggiungere l'isola dell'equilibrio. Sembra che basti un solo rituale per risolvere il nostro problema con Uriel» feci un riassunto semplicistico.

«Se lo dici tu non posso che crederci» mi rispose scettico, non potevo di certo biasimarlo, da esterno anche io avrei pensato esattamente le stesse cose.

«Piuttosto, le hai detto di Diaspro?» aggiunsi indicando la porta della regina e minacciandolo con lo sguardo.

«Come avrei potuto? Non potevo di certo darle un'altra delusione. Ho lasciato l'onere a te»

«Tsk!» certo che non poteva dirglielo lui.

«Vai a darti una sistemata, non so se lo sai ma puzzi di cadavere. Non è il caso che ti presenti da lei in quello stato» mi consigliò.

«Certo, che faccia di culo».

«Non le abbiamo detto che eri fuori. Vuoi che si preoccupi?».

«Come se gliene importasse davvero qualcosa» strinsi l'elmo tra le mani e tornai nell'ala sud del castello. Prima di potermi rilassare in vasca c'erano delle questioni da risolvere.

Camminai fino al tabernacolo dove, come mio ordine, era stato portato il corpo di Azesiel e Xandra sedeva su una panca indossando ancora la veste da notte.

«Enex, cosa è successo?» quando udì i miei passi pesanti entrare si alzò di scatto attirando la mia attenzione.

«Evoca Illidea» le ordinai «Lo spiegherò ad entrambe».

Lei mi guardò perplessa, probailmente non comprendeva il motivo di quella mia richiesta. Era proprio da lei non essersi accorta dei sentimenti della dea ma probabilmente anche io avrei avuto problemi a comprenderlo se non avessi avessi vissuto con Thildaissa.

Xandra si posizionò di fronte all'altare e posando le mani sul marmo guardò verso l'alto. I suoi occhi diventarono bianchi e il suo potere cominciò a fuoriuscire da lei.

L'immagine della dea si materializzo per qualche secondo sopra di lei ma la donna ebbe un singulto e la figura di Illidea scomparve in un flebile bagliore.

Un istante dopo una Illiadea dalle sembianze più umane apparve dietro l'altare e esitazione corse verso la panca su cui era adagiato Azesiel.

«Siel!» Illidea si getto sulla sua salma piangendo dolorose lacrime, lo sfiorò come se fosse ancora vivo.

«Ti ho cercato in ogni luogo e in ogni lago, ho varcato il limite a me invalicabile del mondo di Mornmet e ho vagato in lungo e in largo alla ricerca della tua anima».

«Credevamo di averlo ucciso in tempo, ma a quanto pare ha vissuto fino ad adesso nelle tenebre» valutai e a quelle parole Illidea crollò.

Neanche a me fece piacere realizzare di averlo abbandonato tutti quegli anni in balia dell'oscurità.

«Avrei dovuto capirlo, tutte quelle apparizioni... mi illudevo che fosse per via del nostro legame invece lui... stava chiedendo solo aiuto».

«Illidea... non ti dare tutte le colpe. Era morto, come potevamo immaginare una cosa del genere?»

La donna si ricompose appena, si rialzò e allungò una mano verso Azesiel.

«Adesso, mi prenderò io cura di lui»

Il tessuto che lo avvolgeva cominciò a dissolversi e il corpo di mio fratello si sollevò illuminato dalla luce del potere di Illidea che lo attraversò.

Il bagliore sparì portando via con sè carne e ossa e di lui non rimase altro che un piccolo bagliore, una sfera di energia che ruotava su sè stessa.

Illidea la prese tra le mani e la portò al volto sorridendo come quella cosa le stesse parlando poi la sollevò verso l'alto. La sfera fluttuò e si allontanò attraversando le pareti del castello.

«Grazie per avermi dato la possibilità di salutarlo un ultima volta» si asciugò il viso e provò a fare un sorriso.

«La sua anima adesso affronterà un ciclo di reincarnazione per espiare le colpe commesse quando era un aranarth. Non so dove andrà... è la punizione che mi spetta per non aver adempiuto i miei doveri ma forse... è meglio così» si alzò dandoci le spalle.

«Che la dea madre segni il vostro cammino» alzò il volto al soffitto e il suo corpo si dissolse in una moltitudine di sfere luminose che salirono al cielo.

Osservai Xandra, era parecchio provata da quella seconda evocazione e avrei voluto aiutarla ma c'era una cosa più importante che dovevo fare e che avevo già rimandato.

Evitai di chiederle se avesse bisogno di una mano e senza commentare su quello che era accaduto tornai nel luogo in cui avrei voluto essere fin dall'inizio.

Quando Enex e Xandra lasciarono la stanza Ginozkena non dovette più fingere, si lasciò cadere a terra e, arrancando con le mani, tentò di risollevarsi.

Si aggrappò più forte che poteva al muro arrivando a graffiare la carta da parati che decorava la stanza.

Lei non doveva essere lì, aveva lottato duramente contro la sua condizione sfruttando anche la mia energia vitale ma era il momento di abbandonare ancora una volta quella terra. Ricominciò a piangere disperata.

I suoi affannosi tentativi di rimanere in quel mondo erano notevoli ma era giusto che le anime defunte lasciassero il posto ai vivi.

Chiuse gli occhi stringendosi le mani al petto e ripensando a quell'ultimo bacio chiuse gli occhi per tornare nel buio dell'oblio.

Finalmente potei riaprire gli occhi.

L'aria mi riempì il petto come se fossi stata in apnea ma subito sentii lo stomaco rivoltarsi, qualcosa bruciava le narici e appena abbassai lo sguardo un riverbero oscuro riempì i miei occhi, la pelle candida e gli indumenti che indossavano erano macchiati da un liquido e compresi che quel nauseabondo odore proveniva da me: era il sangue che fuoriusciva da quei strani esseri fatti di oscurità che mi era schizzato addosso quando Ginozkena li faceva cadere uno dopo l'altro sotto i colpi del bastone di Xandra.

Corsi in bagno vomitando ma quel pungente odore, neanche se fosse stato veleno, non mi abbandonava finché non mi sarei levata quegli abiti.

Tentai di levarli più velocemente possibile ma rimasi incastrata tra quegli indumenti come se non si volessero staccare da me.

L'odore di quella puzzava sembrava aumentare e improvvisamente la mia testa fu riempita dalle emozioni del combattimento che si andarono a mischiare con quelle che avevo provato rinchiusa nell'oblio e che, in quel momento di crisi, si intensificarono.

Di colpo non potevo più aspettare di denudarmi, sentivo soffocarmi così, anche se non avevo le forze necessarie, mi trascinai nella piccola vasca del bagno della stanza e, aprendo il getto dell'acqua, aspettai che l'acqua ricoprisse il mio corpo portando via lo sporco.

Oramai tutto era cambiato, adesso che sapevo che lei mi osservava, potevo percepirla.

La sentivo, nel mio profondo, agitarsi nel tentativo di non soccombere.

L'avevo sempre saputo, l'avevo sempre sentita solo che non capivo cosa fosse, come potevo?

Come lo sapevi?

Le domandai cercando di capire.

Se lei mi osservava da quel luogo sconosciuto e non avevamo avuto segnali che presagissero un coinvolgimento di Enex in quella terribile battaglia come poteva sapere che era necessario intervenire? Era la cosa che più mi tormentava. Avevamo le stesse informazioni, perché io non ci ero arrivata?

Menwen Renmen

ripeté con voce debole la frase che mi aveva rivolto Enex e non so per quale motivo sentii una stretta al cuore.

Cosa?

Quasi balbettai.

Era la frase che utilizzavamo per le situazioni difficili.

Non sempre potevamo partire in missione insieme e lui era sempre preoccupato per la mia incolumità ma non potevo sempre condividere con lui i dettagli delle mie missioni e non c'era modo di rassicurarlo così ideammo un modo tutto nostro per comunicare.

Inventai una frase che dovevamo dirci nel caso il viaggio che dovevamo affrontare potesse avere esiti fatali.

Doveva essere qualcosa di uso poco frequente, una parola o una serie di parole che solo noi due potevamo capire così utilizzai la frase di uno dei miei racconti preferiti.

Quando ho sentito quelle parole pronunciate da lui sono trasalita e ho capito che non sarebbe mai tornato vivo, da qualsiasi luogo in cui lui era diretto. Non lo avremmo mai più rivisto.

La sua voce era sempre più un sibillo.

Il cuore mi si ghiacciò, non volevo credere che fosse successo.

Un dolore profondo si fece spazio tra le pieghe del mio essere. Un dolore che non avevo mai provato attraversò i mei occhi e la rabbia cominciò a caricare dentro di me.

Sperai con tutta me stessa che quella fosse l'ultima volta che avevo a che fare con lei, che lo sforzo della battaglia l'avesse privata delle sue ultime energie e che finalmente sarebbe scomparsa, una volta per tutte.

Come se tutto quello che avevo visto non fosse a sufficienza lui aveva anche usato quelle parole. Come aveva potuto giocare con i miei sentimenti? Perché aveva chiesto aiuto a lei e non a me?

Ero davvero così debole?

Mi sollevai e osservai l'acqua sporca scivolare nei tubi di scolo poi rivolsi il volto allo specchio e osservai il mio riflesso.

La bellissima figura di Ginozkena si rifletteva nei suoi panni più sensuali, con lo sguardo maledetto che rifletteva la mia disperazione e finalmente capii, era tutto chiaro in quel momento.

Lui non amava me, ero l'ombra del suo vero amore.

Lui non aveva mai smesso di amare Ginozkena e adesso ne avevo la certezza.

Quella consapevolezza mi spinse giù nel baratro.

Mi affrettai ad uscire per sfuggire da quei pensieri ma urtai le pareti della vasca e caddi riversa al suolo sbattendo ginocchia e volto sul pavimento.

Il dolore era insopportabile ma nulla a confronto con quello del mio cuore che cadeva a pezzi. Mi risollevai stringendo i denti e con la mano sfogai la mia frustrazione sullo specchio spaccandolo.

Ansimavo per recuperare fiato mentre dalle dita affusolate scendevano gocce di sangue che andavano a sporcare parte di quelle numerose schegge che, in beffa al mio dolore, continuavano a riflettere la fastidiosa figura di Ginozkena.

«Ti odio, vi odio entrambi!»

Esclamai sperando che lei stesse ascoltando ma il rumore di colpi sulla porta riecheggiò nel bagno.

Ignorai quel richiamo ma la persona dall'altra parte non sembrava arrendersi. Senza neanche ricompormi mi apprestai all'uscio.

«Ginozkena, sono io» sentii la voce di Enex farsi spazio attraverso il muro che ci separava.

«Ho bisogno di parlarti, ti prego apri la porta»

«Cosa vuoi?» risposi spingendo fuori tutta la bile che avevo accumulato. La mano faceva male e mi assicurai di non avere schegge nella ferita.

«Non so per quanto ancora rimarrai ma sono contento di averti vista ancora una volta. Ti sarò per sempre debitore per ciò hai fatto questa notte. Senza di te sarei mi sarei perso anni orsono»

fece una pausa «È stato bellissimo.»

Quelle parole furono la goccia che fece traboccare il mio vado di pandora ma la prima cosa che mi invase fu il dispiacere, era la mia definitiva sconfitta: Nel nostro mai nato triangolo amoroso, io non avevo mai avuto possibilità.

Mi coprii la bocca per attenuare i singhiozzi che non riuscivo più a trattenere ma poi sentii il rumore dei suoi passi allontanarsi e un senso di rivalsa mi spinse ad aprire la porta, nonostante il volto distrutto.

Volevo che vedesse cosa mi aveva fatto, che vedesse le conseguenze delle sue azioni scavate nei miei occhi.

Non avevo più nulla da perdere, mi sentivo usata e umiliata, sedotta dall'idea di aver potuto vivere il mio amore per lui e brutalmente abbandonata da qualsiasi speranza.

«Enex!» urlai e quel richiamo rimbombò nei corridoi vuoti fino a lui. Anche se a qualche metro si voltò riconoscendo la mia voce.

«Qual è il mio nome Enex?» gli chiesi lasciando che tutta la tristezza, la rabbia e la disperazione trapelassero dal mio volto, dalla mia voce e dai miei occhi.

Lui mi guardò in silenzio con una visibile espressione di sgomento.

«Qual è il mio nome, Enex? Te lo sei già dimenticato?» ripetei con la voce rauca.

«Faith...» cercò di avvicinarsi ma io lo fulminai con gli occhi intimandolo di non farlo.

«Esatto! Io sono Faith!» strizzai gli occhi e tirai fuori tutta la voce che potevo.

«Io-sono-Faith!» urlai rintanandomi di nuovo nella stanza poi mi chiusi a chiave per evitare che lui la forzasse.

Sentii i suoi passi riavvicinarsi frettolosi poi cominciò a bussare con forza alla porta.

«Faith! Apri la porta» provò a girare la maniglia ma l'avevo preventivamente chiusa in modo da non doverlo affrontare «Mi dispiace non potevo sapere che eri già tornata».

«Non è questo il punto!» urlai per sovrastare il baccano che faceva «Io ho visto tutto!» mi aggrappai alla maniglia della porta cercando di trattenere la rabbia che rimontava.

«Faith, calmati! Fammi entrare».

Al mio rifiuto sentii la maniglia farsi calda così allontanai le mani e mi guardai intorno.

«Non ti permettere ad entrare!» urlai «Vai via Enex!» continuai prendendo delle decorazioni adagiate su un mobiletto basso e le lanciai conto la porta come se fosse stato lui.

«L'hai baciata!» esclamai facendogli capire il motivo della mia rabbia.

«Tu l'hai baciata, Enex» ripetei a voce normale lasciandomi scivolare di schiena alla porta.

«L'hai baciata» sussurrai sbattendo un paio di volte la testa contro il legno che mi sosteneva poi crollai sul pavimento mentre il silenzio accompagnò l'allontanarsi dei suoi passi.

Mi sentii così stupida per averci creduto, per aver pensato di potergli interessare, per essermene anche solo innamorata.

Io non ero niente. Non ero nessuno.

Solo allora compresi il mio vero ruolo, ero uno strumento nelle mani di Ginozkena, il vettore della sua anima, la custode dell'ombra del suo passato.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top