Capitolo 22 - L'ombra del passato

Dopo pranzo l'aria che tirava nel castello cominciava ad essere pesante, la tensione si poteva tagliare con un coltello anche tra i domestici.

Sembravano tutti indaffarati a sbrigare velocemente delle faccende in un'altra area della struttura e bisbigliavano tra di loro molto animatamente.

Provai a leggere i loro pensieri ma riuscii solo a comprendere che riguardava lo strano comportamento tenuto da Enex durante un certo banchetto propiziatorio.

Avevo deciso di fidarmi dei miei compagni, dovevo smettere di indagare su quello che stava succedendo anche se quell'atmosfera cominciava a darmi sui nervi.

Ritornai a girovagare tra i corridoi in attesa che gli eventi facessero il loro corso, che il "fato" mi mandasse una delle sue solite comunicazioni poco ortodosse o di incontrare qualche viso amico.

«Faith!» sentii la voce di Xandra chiamarmi.

«Cosa ci fai qui?» mi chiese, quasi allarmata. Posò una mano sulla mia spalla e con fare non troppo velato mi spinse a cambiare direzione.

«Sei riuscita a fare il bagno oggi? Che dici se lo andiamo a fare insieme? Ho proprio voglia di rilassarmi»

Incrociai le braccia e la scrutai per dei lunghi attimi.

«No, ma effettivamente mi sono allenata con Enex stamattina e ne ho bisogno»

L'assecondai, improvvisamente aveva smesso di essere sfuggente e voleva passare del tempo con me, forse era arrivato il momento di sapere la verità. Non feci altre domande, aspettai di vedere quali fossero le sue intenzioni.

Arrivate nell'anticamera del bagno comune si spogliò e solo dopo essersi immersa nell'acqua calda potei osservare il suo viso rilassarsi ma i minuti passavano e non sembrava essere intenta a parlare.

«Mewen renmen» la sorpresi ripetendo le parole che mi aveva rivolto Enex quella mattina.

«Cosa?» riuscii ad attirare la sua attenzione.

«Mewen renmen, tu sai cosa significa?» le domandai, avevo passato l'intera mattinata a cercare di capire cosa significasse eppure, per quanto mi fossi sforzata, non riuscii a tradurre quelle parole.

«È una strana frase» rifletté un po' titubante.

«Riconosco la lingua degli dei ma sono dei termini poco usati, come se fosse un dialetto o una forma arcaica» si soffermò ancora per interpretare il messaggio.

«E' una dichiarazione d'amore, dovrebbe voler dire: poserò la mia mano sulla tua e legherò i nostri cuori in modo che non soffriranno più la solitudine. O una cosa del genere».

La fissai come se stessi guardando un fantasma, se non fossi stata immersa nell'acqua probabilmente sarei caduta stramazzando al suolo.

Tutto il mio essere fu scosso da quelle parole come raggiunto da un fulmine a ciel sereno.

«Dove lo hai sentito?» mi domandò curiosa.

«Come ho già detto, siamo in pochi a saper comprendere la lingua degli dei e trovare dei reperti che contengono parole così vecchie sarebbe praticamente una scoperta sensazionale» mi guardava desiderosa di tirarmi fuori le parole dalla bocca ma quella volta non potevo dirgli la verità, non potevo rivelarle che quelle parole me le aveva dette Enex.

Non avevo la più pallida idea di come potesse conoscerle ma erano le parole più belle che qualcuno mi avesse mai rivolto e nemmeno ne ero consapevole.

«Faith.... tutto a posto?» mi chiese notando il mio stato d'animo.

«Sì» volevo urlare dalla gioia, piangere e correre da lui per dirgli che ricambiavo ogni singola parola, ogni singola emozione.

«Adesso mi hai incuriosito davvero» aveva brama di conoscenza ma proprio in quel momento la presi di sorpresa pilotando il discorso.

«Sai Xandra, ho fatto un sogno stanotte, era un sogno terribile-»

«Quanto invidio queste vasche» prese parola interrompendomi.

«Quando andremo via mi mancheranno» sospirò cambiando a sua volta argomento.

«Xandra...» sospirai comprendendo l'antifona.

Nessuno voleva ascoltare il mio sogno eppure di solito erano ansiosi di ricevere le informazioni che apprendevo durante i miei viaggi onirici. E se loro sapevano?

Se erano già a conoscenza del suo contenuto voleva dire che Thiladissa era già morta.

«Dimmi la verità!» l'aggredii spingendola «Dov'è Thildaissa?».

Lei sgranò gli occhi, messa alle strette, sembrava riflettere sulla risposta.

«Illidea è tornata e sta riposando» soppesò ogni parola credendo che io mi sarei arresa lì.

«Portami da lei!» le chiesi alzandomi in piedi.

«Non posso, lei ha bisogno di tempo, non può ricevere nessuno».

Ero contrariata e indisposta, se fossi rimasta ancora qualche altro minuto in sua compagnia sarei esplosa.

Senza dire un'altra parola uscii dalla vasca e con i capelli ancora bagnati indossai gli abiti.

«Dove stai andando?» mi domandò Xandra seguendomi.

«Visto che nessuno vuole parlarmi preferisco rimanere da sola!» esclamai innervosita. Forse era arrivato il momento di mettere da parte la fiducia e indagare.

«Visto che ci sei, torna in stanza e comincia a preparare lo zaino» intervenne senza battere ciglio.

«C'è la possibilità che tra oggi e domani saremo essere costrette partite di tutta fretta».

«Vuoi dirmi che avete deciso di riprendere il viaggio?» gli domandai un po' turbata dalla notizia.

«Sì, ci siamo rilassate fin troppo qui. Hai i tuoi poteri e questo Uriel potrebbe non saperlo. Dobbiamo approfittare e prenderla alla sprovvista. Illidea ha detto che porteranno Nazca all'altere dell'equilibrio. Il piano è quello di anticiparli e impedirgli di portare a termine qualsiasi cosa vogliano fare» mi spiegò senza distogliere lo sguardo ma ero confusa.

Perché mai era stata così titubante nel raccontarmi quelle cose?

«C'è la possibilità che Enex non riparta con noi» esclamò come in risposta ai miei pensieri.

«Volevo solo che tu lo sapessi» mi diede le spalle e con passo svelto tornò nella vasca.

Quelle informazioni aprirono una voragine dentro di me che subito fu riempito da vorticosi pensieri ed emozioni negative: l'ansia della imminente partenza, la paura delle possibili difficoltà che avremmo potuto incontrare strada facendo, lo sconforto di doverle affrontare da sola e la tristezza per la separazione.

Lui non poteva lasciarci, non dopo quello che mi aveva detto.

Seguendo il consiglio di Xandra tornai in stanza e afflitta preparai lo zaino con le poche cose che possedevo, poi sistemai le pergamene e i libri degli appunti di Xandra e tra di loro trovai un libro nuovo.

Accarezzai la copertina color oro e per un attimo ebbi un sussulto. Avevo quasi scordato, quel libro era il regalo che Illidea mi aveva fatto prima di cadere addormentata. Ero sicura di averlo lasciato nella scatola di legno che mi aveva donato nella sua stanza, cosa ci faceva lì?

Forse Xandra non mentiva, Thildaissa doveva essersi presa il disturbo di riportarmelo prima di riposare.

Lo aprii e ne sfogliai qualche pagina per curiosità, era scritto a mano con calligrafia molto ricercata ed elegante. Forse era un diario e non un libro così lo rivoltai per controllarne la costina.

Contro ogni mia aspettativa ci trovai un titolo scritto con caratteri stampati ma nella lingua degli dei. Ci misi un po' a tradurlo ma ero sicura che ci fosse scritto "L'avvento della luce e dell'oscurità".

Il regalo che "dovevo assolutamente ricevere" era un libro che parlava dell'oscurità. Poteva mai essere una coincidenza? Perché farmi quel dono e poi costringermi a dormire per diverse ore?

Era tutto così strano ma ero decisa a comprendere il mistero celato dietro quelle pagine.

Buttai alla rinfusa nello zaino il resto delle cose, recuperai uno dei diari di Ginozkena con cui potevo fare confronti con le parole che già conoscevo poi uscii a cercare un posto tranquillo per provare a tradurlo.

Non avevo voglia di incontrarmi con Xandra, non ancora, così camminai verso una zona che sapevo essere off limits. Non volevo essere disturbata da nessuno.

Camminai fino al corridoio dell'unica stanza sigillata del castello ma ebbi difficoltà a trovarla poichè le sue porte erano state aperte.

Incuriosita da quello che poteva esserci dentro, strinsi i tomi tra le mani e con cautela mi addentrai aprendo la porta.

La stanza era buia, era piccola e un po' angusta, l'aria era viziata ma c'erano delle panche che costeggiavano un corridoio centrale e un tavolo sul fondo della stanza.

Sembrava una piccola cappella ma non c'erano simboli sacri che me ne dessero la conferma.

Aprii la finestra per far cambiare un po' l'aria e la stanza fu illuminata dal sole pomeridiano.

Presi un bel respiro e subito mi sedetti comoda sull'altare e cominciai quel difficile lavoro di interpretazione. Sebbene avevo imparato qualcosa di quella lingua la traduzione era complicata dall'interpretazione di quella calligrafia.

Feci i nodi agli ultimi lacci delle protezioni per le gambe poi infilai la tunica imbottita e la chiusi in modo che mi aderisse perfettamente.

«Ha bisogno di una mano, sire?» sentii la voce di Phaszaa proporsi, giaceva sul letto ancora un pò intorpidita dal letargo che l'aveva rapita dopo il nostro incontro.

«Non ti preoccupare, Phaszaa. Ho praticamente finito» raccolsi l'elmo dal comò e lo osservai pensieroso per qualche attimo poi il mio sguardo d'istinto si alzò al mio riflesso sullo specchio.

Sapevo di non esserne degno, quella corona era troppo pesante per il mio capo ma dovevo farlo, per la sopravvivenza degli ialini neri dovevo riuscire a reggere la testa alta.

Maneggiandolo con cura alzai l'elmo sul capo e lo infilai.

«Allora lo ricordi il mio nome» mi punzecchiò alzandosi. Se non avessi avuto addosso tutta quell'ansia le avrei risposto a tono e magari mi sarei anche vendicato.

Non era quello il momento.

Mi girai per congedarmi a distanza ma lei era già in piedi alle mie spalle, ancora nuda e con indosso di nuovo la benda sugli occhi.

Mi si avvicinò, cercandomi con le mani poste davanti a sé, poi si appoggiò sul mio petto.

«Enex...» scivolò sul tessuto rigido della tunica e salì insinuandosi sotto all'elmo, sfiorandomi con delicate carezze le guance.

«Torna da me, qualsiasi cosa succeda, in qualsiasi forma tu riesca... Io sono qui ad aspettarti» con i polpastrelli asciugò i miei occhi inumiditi poi mi prese le mani tra le sue e attese senza dire ulteriori parole il momento che avrei lasciato la stanza.

Non ero pronto per lasciare quelle lenzuola, quelle dita che mi stringevano per incoraggiarmi ma sfuggii da quella confortante visione e con un gesto un po' rude sfilai dal capo della donna il lembo di tessuto e glielo porsi tra le mani.

Era ora di tornare alla realtà, di domare la bestia e trovare la via d'uscita.

Feci un cenno del capo a Phaszaa ringraziandola poi uscii in silenzio raggiungendo per vie secondarie il tetto del castello dove tutti erano già riuniti.

Al mio arrivo i cavalieri ordinarono le fila e tacquero sull'attenti.

Era il mio momento. Avanzai verso di loro e prima di parlare li osservai uno ad uno passando davanti a loro.

Siaphus, Arek, Asamal, Fridsig, Narlas, Gorthalas, Medhros, Ulrich e Rohinna. Nove uomini contro un esercito, nove malandate anime contro l'oscurità da cui erano nate e che quella sera li avrebbe reclamati.

Torni al centro per poter avere tutti sott'occhio e mi schiarii la voce.

«Cavalieri di Re Eagon» tuonai rompendo il pesante silenzio che si era venuto a creare.

«Quest'oggi sono qui per chiedere il vostro aiuto e mi rincuora constatare che avete risposto alla mia chiamata come avreste fatto con quella di mio padre. Le tenebre sono tornate, e non solo sul nostro popolo. Come ben sapete il nemico ci ha accerchiato occupando da tempo le terre limitrofe. Non vi negherò la verità, l'esercito avversario è numeroso e non sarà possibile distuggerlo fino al sorgere del sole ma se questa sera non faremo qualcosa la loro lenta marcia terminerà alle porte di Talormoran con la resa della città. Noi non permetteremo che accada! Quello che vi chiedo oggi non è di combattere come i cavalieri del rubino nero ma come creature magiche di Ariadonne per salvare, non solo i nostri cari, ma anche le sorti di tutti i popoli. L'esito del nostro scontro influirà sul corso della storia. Combattete come non avete mai fatto prima, combattete superando i limiti delle vostre ali; non temete la morte! Poiché ci verrà riservato il più grande degli onori che un mortale abbia mai ottenuto e domi mattina ci rincontreremo al banchetto di Mornmet, al cospetto della dea madre in persona che ci ricompenserà per le nostre gesta»

Aprii le ali e le distesi completamente per mostrare loro la gradazione scarlatta, segno distintivo della mia appartenenza alla nobile famiglia dei Talormor.

«Stasera, signori, qualsiasi sia l'epilogo, saremo ricordati come gli eroi del rubino nero»

alzai lo sguardo al cielo che si imbruniva e spiccai il volo attendendo che loro mi seguissero.

Uno ad uno i cavalieri aprirono le loro ali nere e con un urlo corale si sollevarono in massa posizionandosi in formazione a piramide. Io capeggiai il gruppo, spiegando gli obiettivi della missione e guidandoli verso Scarnia.

Siaphus, Arek, Asamal, Fridsig, Narlas, Gorthalas, Medhros, Ulrich, Rohinna e Dramairan. Dieci uomini contro un esercito, dieci malandate anime contro l'oscurità da cui erano nate e che quella sera li avrebbe reclamati.

Man mano che scendevamo la valle il cielo diventava sempre più scuro ma non come effetto del tramonto, sembrava coperto da una coltre di tenebre che attenuava i raggi della luce.

Se la situazione fosse rimasta invariata sarebbe stato un problema. Con buona probabilità all'alba il sole non avrebbe potuto illuminare gli elementali di tenebra e la nostra battaglia sarebbe stata vana.

Era essenziale che tovassi quanto prima il necromante e stanarlo mentre i cavalieri si occupavano del resto della schiera.

Atterrammo tra le desolate macerie di Scarnia: delle case di legno non rimanevano altro che tizzoni raffreddati, degli edifici di pietra solo cumoli pericolanti, le strade erano disseminate di oggetti; armi intatte, qualche stralcio di indumento, balocchi calpestati e ovunque sangue ma nessun corpo.

Sembrava come se le persone di quel posto fossero state spazzate via da una forza superiore che in pochi e terribili attimi li avesse cancellati con uno schiocco di dita.

«Ma qui, non c'è letteralmente nessuno» esclamò Fridsig rompendo le righe.

La mia testa subito cominciò a formulare ipotesi? E se le nostre ricostruzioni fossero errate? E se l'esercito si sia mosso prima del previsto?

Forse il necromante era riuscito a dare alle creature oscure la giusta copertura per avanzare senza che ce ne fossimo accorti.

Forse mentre noi volavamo in quel luogo dimenticato dagli dei loro avevano avanzato arrivando di soppiatto alla capitale.

Mi calmai e cercai di riflettere lucidamente, non era possibile altrimenti li avrei percepiti. Una grossa massa di oscurità non può muoversi senza destare sospetti.

Sentivo qualcosa, tutto intorno a noi.

Quella presenza opprimente, quella puzza nauseabonda che infestava l'aria non era ciò che rimaneva del loro passaggio.

Sono qui.

Quando la consapevolezza svegliò i miei sensi intorpiditi dalla paura sentii la voce di Ivanhoe avvertirmi del peggio.

«Trappola!» urlai sfoderando la spada. Intorno a noi le immagini del panorama andarono a sgretolarsi rivelando la realtà dietro a quella illusione.

Eravamo circondati da numerose creature umanodi che impugnavano le più disparate armi e il cielo sopra di noi fu squarciato da bagliori violacei.

«Non abbiate paura!» urlai ancora, potevo percepire l'inquietudine dei cavalieri crescere alle mie spalle ad ogni membro del gruppo nemico che si rivelava davanti ai nostri occhi.

«Le vostre armi sono state benedette da una sacerdotessa della dea madre. Branditele e sarete capaci di fendere le tenebre».

Sembrava fossi riuscito a tenere alto il morale quando la situazione peggiorò ancora: le nostre armature cominciarono a tintinnare colpite da qualcosa che cadeva dal cielo.

Allungai una mano davanti a me e lasciai che le mie dita si bagnassero di quell'acqua strana.

Una pioggia oscura si era abbattuta su di noi e ogni goccia che si posava sulla nostra pelle penetrava il nostro corpo, si insinuava dentro di noi fino a raggiungere il nostro spirito per corromperlo.

Il tempo a nostra disposizione per portare a termine la missione stava drasticamente diminuendo. Non eravamo più carne da macello; ben presto l'iconmourner ci avrebbe consumato e avremmo ripolpato le fila nemiche.

«Cavalieri, all'attacco!» comandai spingendo il gruppo all'assalto.

In quel momento non c'era alcun modo per rimediare a quel grosso errore di valutazione se non sperare e credere fortemente nelle nostre capacità.

Liberami, Dramairan! Liberami!

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