Capitolo 21 - Parte V
«Dramairan!» udii la voce di mio fratello e il pugnale volò via dalle mie titubanti mani.
«Dramairan, cosa state facendo?» Shura entrò correndo nella stanza e subito posò il piede sulla lama ondulata di Misria.
«Non sono fatti che ti riguardano! Shura, ridammi il pugnale»
«Non ti credevo così sciocco! Abbandonare il campo di battaglia ancora prima di aver combattuto, non è da te, Dramairan!»
«Shura, lasciami da solo»
I nostri sguardo si incrociarono furenti.
«È un ordine del tuo Re» allungai la mano verso di lui in attesa di ritornare in possesso del mio pugnale ma delle fiamme violacee lo avvolsero, lui alzò il piede e con un colpo secco di tallone frantumò l'arma in pezzi che andarono a consumarsi.
In preda alla disperazione lo presi dalla tunica e lo spinsi sul muro. Lui si lasciò trascinare e mi guardò con aria di sfida.
«Sei pazzo! Era Misria, un artefatto maledetto. Non ti rendi nemmeno conto di cosa hai fatto! Re Eagon-»
«Non ti è mai importato nulla di quello che diceva nostro padre, sei diventato succube di un fantasma, Enex?»
«Tu che diamine ne sai? Credi che io sia qui per mio diletto? Hai abbandonato tutto per una donna come quella! Non hai neanche provato a combattere, non ti sei fatto problemi a prendere la porta che ti era stata indicata. Tu non vedevi l'ora di andare via»
«Non parlare di lei in quella maniera! Con quale lingua osi dirmi certe cose, proprio tu che con tutte le donne che avevi ti sei andato a scopare l'unica che non dovevi» digrignai i denti e strinsi il tessuto della sua tunica fino a bucarla.
Rise sapendo di avermi colpito nel segno ma non gliela diedi vinta.
«Cosa c'è Shura, sei invidioso? Rihannon ti ha incastrato e hai dovuto mettere l'uccello in gabbia?» Lo vidi irrigidirsi, assottigliò gli occhi e strinse a pugno le mani che teneva morbide lungo il fianco.
«Ti basta parlare col tuo fratellone, posso sistemare tutto. Nessuno ti biasimerà se te ne vuoi disfare».
A quelle parole lui non resistette.
Come previsto alzò il braccio destro nel tentativo di colpirmi in pieno volto ma quei segnali mi diedero tempo di scansarmi ed evitare evitare il colpo pericoloso.
Visto che lui aveva dato il via alle danze non mi tirai indietro, indietreggiai di qualche passo e mi lanciai verso di lui per colpirlo allo stomaco.
Lui afferrò il mio pugno e cerco di colpirmi con la mano libera, costringendo a fare altrettanto. In quella situazione di stallo forzammo la presa per obbligare l'altro a cedere.
La sua presa tremava, era evidente che il più forte ero ancora io.
Riuscii a sbilanciarlo e come un frutto maturo crollo al suolo inerme. Cominciai a colpirlo a calci e lui non poté fare altro che piegarsi in posizione fetale e incrociare le braccia per difendersi con gli avambracci.
Per una manciata di secondi subì la mia furia ma appena trovò un'esitazione nei miei movimenti ne approfittò per provare a colpirmi alla caviglia.
Dovetti retrocedere e quegli istanti gli permisero di rimettersi in piedi ma non li sfruttò per riprendere fiato. Si scagliò dolorante su di me e in un lampo ci ritrovammo nuovamente in stallo nella situazione iniziale.
«Avrai anche imparato a tenere la spada in mano, ma non hai allenato il tuo corpo e il tuo spirito» riuscivo a leggerlo chiaramente, il tremore del suo corpo non era indecisione o rabbia ma sforzo.
Non aveva mai imparato ad avere autocontrollo. Nonostante tutti quegli anni era ancora un ragazzino frignante in balia di ogni suo istinto. Senza eccessivi sforzi lo sottomisi nuovamente spingendolo con foga al suolo.
«Se vuoi darmi lezione, dovrai prima diventare più forte».
Gli rivolsi il mio sguardo più severo poi mi pulii il bordo delle labbra da un misto di saliva e sangue scivolava fuori. Non so come ma era riuscito a colpirmi.
«Questo è il ringraziamento per averti salvato? Avrei potuto guardare altrove» sputò sporcandomi l'abito di sangue.
«Adesso ricordo perché non volevo più avere a che fare con questo posto» si alzò pulendosi a sua volta il volto poi mi diede le spalle avviandosi alla porta.
«Il pranzo è servito» mi comunicò tornando al motivo che lo aveva spinto in quel luogo poi se ne andò sbattendo la porta.
Ero di nuovo da solo con le mie preoccupazioni, nessuna soluzione definitiva e con una carta in meno nel mazzo.
Urlai e lasciandomi trasportare dalla rabbia calciai la polvere dell'artefatto e con un gran mal di testa presenziai al banchetto.
Un modo altisonante per avere un momento di comunione prima della battaglia.
C'erano proprio tutti, anche Shura con qualche livido sul volto. Alcuni avevano passato quelle ore che ci dividevano alla partenza brandendo la spada, altri avevano meditato o riposato come mio ordine dopo il lungo viaggio.
Durante il pasto era vietato parlare dello scontro che si andava ad affrontare così approfittai per informarmi sulle loro vite personali.
Eccezion fatta per Siaphus, tutti avevano proseguito le loro vite come esiliati, lontano dalla luce della fama che aveva caratterizzato il periodo al servizio del loro Re.
Erano uomini stanchi, il tempo irruvidito i loro volti e le loro mani, levigato le loro ferite che tuttavia non si erano del tutto chiuse ma nonostante tutto non vedevo esitazione nei loro intenti. Ancora una volta avevano impugnato l'arma rispondendo con valore e orgoglio alla chiamata della corona.
Più li vedevo interagire tra di loro più mi rendevo conto di quello che stavo per fare. Sarebbe stato un massacro, un inutile sacrificio e quel pensiero diede di nuovo potere ai miei dubbi.
Scansai il cibo e dopo qualche minuto di silenzio mi congedai per rinchiudermi nella mia stanza con l'intento a riposare e sfuggire ai dilemmi morali che mi affliggevano.
A distanza di qualche ora mi sarei trovato davanti a loro nei panni del loro generale, avrei dovuto incitarli a combattere, quasi sicuramente a morire, per salvare tutto ciò che avevano caro.
Mi gettai sul materasso e sospirai cercando di distrarmi.
Come se non bastassero le preoccupazioni avevo commesso un altro errore: spinto dal mio desiderio avevo insinuato Faith e, ancora peggio le avevo detto quelle parole.
Mewen renmen
Coprii gli occhi con due dita e gli strofinai continuando a sospirare. Cosa diamine mi era saltato in testa?
«Sua altezza? State dormendo?» una sottile voce interruppe il mio rimprovero interiore.
Annuii con un verso poi sentii la porta aprirsi e due persone entrare. Dal fruscio degli abiti e dal tintinnare dei gioielli erano due donne dell'harem.
Aprii gli occhi e le vidi avvicinarsi al letto. Si posizionarono di fonte a me, una affianco all'altra, con il mantello che copriva le loro spalle scoperte dai succinti abiti da danza che indossavano. Una aveva una liscia chioma di infiniti capelli neri e due affilati occhi viola, l'altra una ribelle massa di brune onde e due fulvidi anelli che mi fissavano giocosi.
Entrambe avevano ornato le palpebre e gli zigomi con l'oro in polvere e tinto le labbra col porpora del minio.
«Cosa ci fate nelle mie stanze?» domandai, non avevo richiesto nessun tipo di intrattenimento, che fosse un tiro mancino di mio fratello?
«Alcune di noi sono venute a conoscenza del banchetto propiziatorio» intervenne la ragazza dai capelli castani mentre la sua compagna girò intorno al letto.
«E volevano venire da voi per farvi compagnia» aggiunse mentre la donna dai capelli neri, più esuberante, si inginocchiò sul letto alle mie spalle cominciando a massaggiarle.
«Proprio come immaginavamo siete molto teso, le vostre spalle chiedono pietà. Sire, perché non ci permettete di aiutarvi?»
«In realtà volevano venire tutte quante ma non volevano affaticarvi più del dovuto così hanno scelto noi due da mandare in rappresentanza» disse la castana lasciando cadere il mantello.
Le osservai con attenzione, nonostante le mie assidue frequentazioni dell' harem non mi pareva di averle mai incontrate. Erano giovani quindi o dovevano essere di nuova acquisizione o erano troppo piccole quando vivevo ancora nel castello.
Ero un po' seccato da quell'iniziativa ma le anziane del gruppo ricordavano perfettamente i miei gusti e sapevano come farmi vacillare.
«Come vi chiamate?» domandai mentre sentivo il seno della donna con i capelli neri poggiarsi sulla mia schiena.
«Io sono Eroxali» mi sussurrò all'orecchio lei.
«Io mi chiamo Phaszaa, maestà» rispose quella che era rimasta a distanza.
«Non dovete sentirvi obbligate dalla vostra posizione. Siete delle schiave solo sulla carta. Qualsiasi cosa diversa vi abbiano detto le altre erano menzogne»
«Maestà, non ci hanno costretto» affermò subito Phaszaa mentre Eroxali interruppe il massaggio alla schiena per spogliarsi a sua volta del mantello.
«Siamo onorate di poter alleviare la vostra tensione» mi sussurrò la donna tornando a toccarmi, mi abbracciò facendo scivolare i palmi sul petto, insinuandosi tra le pieghe della veste.
«Siete tornato dopo un lungo viaggio e non avete mai fatto visita alle nostre stanze, e per alcune di noi è sembrato strano. Sono tutte preoccupate per voi» raccontò Phaszaa mentre Eroxali attraversava il mio basso ventre raggiungendo il succo del discorso.
La fermai, inizialmente stritolandole la mano e allontanandola, poi sospirai osservando la donna prendere le distanze e attendere istruzioni.
Non potevo negare il desiderio che si contorceva con le mie viscere. Avevo rinunciato a certi contatti con le donne ma il suo ritorno aveva scombussolato tutto il mio essere, riaccendendo la fiamma sopita del desiderio.
Ogni giorno che passavo al suo fianco senza poterla sfiorare era un giorno in più di dannazione per il mio tormentato spirito e nonostante tutto non desideravo essere in nessun altro luogo.
Un'aspirale di sofferenza senza via d'uscita in cui mi ero buttato volontariamente.
Forse avevano ragione, se quelle dovevano essere le mie ultime ore non c'era nessuna ragione per negarmi un po' di compagnia femminile.
«D'accordo» caddi in tentazione.
«Ma andrà bene solo una di voi» sottolineai osservando i loro occhi poi indicai Phaszaa.
«Tu, rimani»
A quelle parole lei sobbalzò sorpresa.
«Io?»
«Sì, qualche problema?» le dissi lisciando le coperte intorno me.
Lei rispose scuotendo la testa così ordinai ad Eroxali di tornare nelle sue stanze. Phaszaa a quel punto si avvicinò al letto in silenzio, ma non sembrava decisa.
«Farai tutto quello che ti dirò?» le domandai giocherellando con una ciocca dei suoi capelli.
«Sì» disse con tono flebile.
«Non sembri convinta» la guardai stuzzicandola
«Non è quello, mi domandavo, perché avete scelto proprio me? Eroxali ha più esperienza».
La presi per le braccia e la tirai sul letto.
«Perché tu mi piaci di più» le risposi inginocchiandomi su di lei. Il suo sguardo si fece meno titubante.
«Grazie, sua altezza»
«Non devi ringraziarmi, anzi ho delle richieste da farti» sollevai la schiena e recuperai un drappo da uno degli abiti che era poggiato sulla struttura del letto.
«Chiamami Enex» le diedi ordine poi scesi di nuovo su di lei coprendole gli occhi con quella benda improvvisata.
«Non levartelo mai» le sussurrai all'orecchio «E cosa molto importante» continuai dopo aver stretto il nodo.
«Gradirei che ti comportassi come se fosse la tua prima volta»
Sentii Phaszaa deglutire.
«Sarà fatto» sussurrò con un filo di voce soffocato.
Potevo sentire il suo respiro farsi pesante, le sue labbra contrarsi in una smorfia di desiderio prima di aprire la bocca alla ricerca d'aria.
Accarezzai i suoi indumenti e con movimenti lenti glieli levai lasciando le sue zone intime alla mia mercee.
Nonostante la benda riusciva a percepire il peso del mio sguardo scrutatore, arrossì e piegò le braccia stringendole per coprirsi i seni mentre con le gambe strette mi impediva di adocchiare tra le cosce.
«Non avere paura» la rassicurai spingendola ad aprirsi a me. Le accarezzai la nuca soffermandomi nelle zone sottostate all'orecchio e lei si sciolse. Rilassò le braccia allungando le mani sul mio volto.
«Posso toccarla?» mi domandò allontanando di scatto le mani.
«Non sono il principe Dramairan, puoi fare tutto ciò che desideri» le spiegai osservandola dall'altro verso il basso.
All'inizio non ero convinto che sarebbe bastata una benda per farmi dimenticare chi lei fosse ma, una volta privata dei suoi abiti, non fu difficile per la mia mente disperata accostare la figura di Phaszaa a quella sua.
Phaszaa si sfiorò dapprima le guance, scostando delle ciocche che le erano finite tra le labbra poi alzò nuovamente le mani per accarezzarmi il volto, scivolare con titubanza sulle ciocche dei miei capelli per finire sul mio petto.
«Enex...» sussurrò, sapevo che non era la sua voce eppure bastava per scombussolarmi «Sii gentile con me» esclamò aggrappandosi alle mie braccia.
Sussultai, il mio cuore ebbe quasi un mancamento. Le espressioni facciali, il tono della sua voce, la vibrazione delle sue parole, le reazioni del suo corpo: diamine se era brava.
La sua interpretazione non faceva altro che alimentare l'illusione che mi ero creato, amplificandola e rendendomi completamente prigioniero.
Avvicinai i nostri volti e contro le mie intenzioni iniziali la baciai. Le sue labbra avevano il sapore che immaginavo e, inebriato e sollevato dalla sensazione di benessere che scatenò in me, mi lasciai andare.
Era mia, lei era mia e potevo farle tutto quello che volevo senza alcun timore.
La baciai ancora, intrecciai la sua piccola lingua alla mia, che la cacciava come una preda, e con foga mi spogliai, entrando finalmente a contattato con la sua dolce e profumata pelle.
Con la mano accarezzai il suo interno coscia spingendola ad aprire le gambe per accogliermi.
Giocherellai con le sue membra per sentirla gemere, per bearmi della sua voce che non riusciva a stare a tempo con il piacere poi finalmente, unii i nostri corpi.
«Faith...»
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