Capitolo 20 - Nessuno a questo mondo

Per un attimo mi voltai verso Xandra alla ricerca di un miracolo nel suo sguardo ma lei scosse la testa come se mi avesse letto nel pensiero.

I suoi occhi si abbassarono, non riusciva neanche a guardarmi. Mi rammaricai constatando che anche Xandra si era arresa, era davvero la fine.

«Visto che ci siete» alzai il tono della voce «Perchè non le preparate già la lapide?» quasi ringhiai rivolgendomi aspramente verso Thildaissa.

Non potevo accettarlo, non di nuovo.

«E' quello che faremo» mi rispose ricambiando il mio sguardo sprezzante, sapeva come tenermi testa, era diventata brava ma nonostante tutto mi sorpese.

Proprio lei che millantava la forza del potere dell'amore mi stava chiudendo la porta in faccia,  spezzando ogni mia speranza.

Quel suo improvviso cambiamento di atteggiamento voleva dire una sola cosa: mi riteneva resposanbile di tutto.

«Non vi pemetterò di toccarla!» la sollevai e facendomi spazio a piedi nudi tra le macerie passai al fianco delle due donne.

«Povero sciocco... non esiste nessuno che possa salvarla» ripetè dura.

«Finchè in lei ci sarà anche un solo soffio di vita, non vi permetterò di seppellirla» ribadii il concetto poi senza soffermarmi sul caos che era piombato nel castello, mi allontanai portando Faith con me.

Non ero mai stato un fervente credente, non avevo mai pensato che le divinità potessero davvero aiutare noi mortali ma dopo le parole di Illidea brancollavo nel buio e nella totale disperazione.

Non avevo mai fatto affidamento su qualcuno al di fuori di me stesso ma in quel momento avrei accettato chiunque, anche Fyren stesso, se mi avesse aiutato a salvarla.

Cosa erano serviti tutti i miei allenamenti estremi se non riuscivo a salvare le persone che amavo?

Una ad una si erano allontanate da me: mio padre, i miei fratelli, la donna che amavo e adesso lei.

Avrei potuto utilizzare un incantesimo oscuro, lo avrei fatto senza alcuna remora. Avrei corrotto ogni fibra del mio corpo, dannato la mia anima pur di non perderla ancora una volta ma non potevo sapere quale magia avrebbe potuto fermare quel processo di distruzione.

La strinsi a me, vagando nei corridoi senza una meta quando mi accorsi che la temperatura di Faith continuava a salire, le spaccature della pelle diventavano sempre più profonde e il suo potere fuoriusciva contenuto ancora per poco dal suo corpo. Ormai eravamo all'epilogo.

Era come una sacca di tessuto, piena a scoppiare. Ed io ero lì che guardavo impotente le sue fibre sfilacciarsi in attesa che avrebbero riverso all'esterno il suo contenuto.

Se solo ci fosse stato un modo per alleggerire il carico o svuotare la sacca in qualche maniera, pensai e fu così che ebbi l'idea, forse c'era qualcosa che potevo fare!

Deciso a non rimanermene con le mani in mano entrai nella prima camera da letto che trovai e spogliai la ragazza, il contatto pelle pelle mi avrebbe aiutato nel mio intento.

«Faith non morire! Devi ancora punirmi per aver fatto sesso con Diaspro!» il pensiero che il suo ultimo ricordo di me era la mia figura avvinghiata ad un'altra donna mi faceva impazzire e mi dava ancora più determinazione per cambiare le sue sorti.

Mi sdraia al suo fianco e svelto la portai prona sul mio petto, le spostai i capelli per poter vedere il suo volto e le accarezzai le guance.

«Resisti, assorbirò tutto il tuo calore, ruberò tutto il tuo potere se fosse necessario quindi tu non morire proprio adesso... Torna da me Faith».

Tutte le bugie e le piccole malefatte che avevo commesso nei suoi confronti affollavano la mia testa, tornavano per ricordarmi come l'avevo trattata pur di nascondere la verità, seppur a fin di bene. Il cuore mi scoppiava ma dovevo ocncentrarmi. Chiusi gli occhi e cominciai a richiamare a me il suo calore e la sua essenza stessa.

«Torna da me» appoggiai la sua fronte sulla mia, la guardavo con le lacrime agli occhi mentre con le mani scivolavo sulla pelle della schiena alla ricerca di zone più profonde su cui concentrarmi.

Sentii una voce chiamarmi e aprii gli occhi alla ricerca della sua figura ma qualcosa mi ostacolava la visuale e dei capelli corvini mi solleticavano il volto.

Ero stretta da due robuste braccia in un abbraccio deciso ma tremolante e, nonostante non riuscissi a vederlo in faccia, l'odore che emanava il suo corpo era distinguibile anche sotto tutta quella puzza di bruciato.

«Enex...» lo chiamai aggrappandomi a lui, mi sentivo debole come se avessi fatto uno sforzo sovrumano e accaldata come se mi fosse salita la febbre.

«Che bello... sei qui, sei tornato normale» gli sorrisi quando finalmente mi rivolse il suo sguardo. Aveva gli occhi inumiditi da lacrime che stava faticosamente ricacciando dentro si sè.

«Sì. Sono tornato» mi rispose e il mio cuore si riempì di gioia e i miei occhi non poterono che offuscarsi per il pianto. Ero riuscita nel mio intento, era salvo e null'altro importava.

Una fitta al centro del petto smorzò ogni mio entusiasmo, il dolore divenne presto intenso e impaurita da quello che stava succedendo mi aggrappai al suo petto in cerca di aiuto.

Mi sentivo come se qualcosa dentro di me cercasse di uscire, la pelle mi tirava come se stesse sul punto di lacerarsi e faceva un male inimmaginabile. Mi sentivo dilaniare dentro e fuori.

«Enex... il mio corpo!» mi manacava il fiato, avevo difficoltà a parlare e lo sforzo distorse la mia voce. Lui mi riservò subito la sua attenzione ma non riuscivo più a comunicare con lui.

Strinsi le dita affondandole nel suo petto, lo guardavo implorando il suo aiuto, una spiegazione a tutto quel dolore che non fosse la mia imminente morte.

Non volevo morire,non proprio quando avevo scoperto di poter ancora fare la differenza, che potevo portare a termine il compito che mi avevano affidato.

Lo vidi parlare con qualcun'altro ma non riuscivo a sentire nulla, se non un brusio fastidioso. Stavo per urlare ma sentii la sua mano stringere la mia e improvvisamente tutto si fermò, il buio mi avvolse e mi sentii catapultata lontano da lì.

Non ero più circondata da macerie ma un leggero venticello faceva dondolare i miei capelli e l'erba intorno a me. Ero immersa nella luce e nel cielo più limpido che avessi mai visto.

Potevo sentire il profumo dei fiori e una felice nostalgia mi invase.

Mi lasciai andare crollano sulla terra, ero stanca e valutai che era il posto migliore per ricaricarmi. C

hiusi gli occhi, nascondendo alla vista la vivace corsa delle nuvole e mi concentrai. Non sarebbe stato male poter rimanere per sempre in quel posto di quiete.

«Maestro!» una voce squarciò il silenzio e subito mi riportò sull'attenti.

Riaprii gli occhi mentre delle leggere risate riempivano le mie orecchie .

«Maestro, ti piaccio?» era la voce di una ragazzina che faceva la piroetta davanti ad un uomo appoggiato al tronco di un albero.

Mi avvicianai per distingue i volti delle figure e sgranai gli occhi.

La ragazzina aveva un abito rosso con la gonna ampia che giocherellando alzava per mostrare le gambe, mentre l'uomo indossava una tunica nera, con la cintura rossa, entrambi avevano capelli corvini che fluttuavano a causa del vento.

Nonostante i loro volti fossero più immaturi fu facile ricopnoscerli, erano Ginozkena e Enex.

L'uomo guardò la ragazzina eseguire l'ennesima piroetta con sguardo impassibile, era evidente che lei cercava di sedurlo seppur con delle movenze acerbe.

«Allora maestro, mi farà diventare la sua donna?» si fermò, prese la mano dell'uomo e l'avvicinò al suo petto.

«Non si può dire che tu non sia caparbia» affermò irritato Enex liberandosi dalla sua presa.

«Ma credevo di essere stato chiaro che non mi piacciono le mocciose come te» incrociò le braccia al petto tornando ad appoggiarsi all'albero.

«E tu non sai mentire come sempre maestro, credete che io non lo sappia?» fece un sorriso furbo e lo guardò maliziosa, poi sospirò.

«Vorrà dire che aspetterò quel giorno con ansia».

Una folata di vento le fece volare via il cappello rosso che adornava i suoi capelli. Enex aprendo le ali fece un lungo salto prendendolo al volo, si girò verso di lei e glielo passò.

«Non lo sai che chi vive di speranza, muore disperato?»

«E tu lo sia che chi si priva dell'acqua morirà assetato?» gli puntò il dito contro stringendo il cappello con la mano sinistra.

Enex sembrò comprendere l'antifona e arricciò il naso.

«Come mai sei qui a disturbarmi nella mia unica giornata di riposo? Le sacerdotesse come te non hanno tante cose da fare? Il tuo comportamento di oggi deluderebbe tutte le tue allevatrici»

Ginzokena abbassò lo sguardo un pò triste e rassegnata.

«Ho diciasette anni, desidero una vita normale, poter amare...» con i denti si morse il labbro mentre sussurrava l'ultima parte.

«Poter essere amata da te».

Enex non bettè ciglio, rimase nella sua impassibile figura austera assottigliando ancora di più lo sguardo.

«Ti sei esercitata con l'arco oggi?» cambiò argomento evidenziandole che non avrebbe dovuto mai pronunciare quelle parole.

«E' da quando ho potuto imbracciare un'arco che tiro con le frecce» puntualizzò con voce tremolante «Nessuno potrebbe mirare meglio di me!»

Enex stava per porle un'altra domanda ma lei lo fermò.

«Ho già purificato il mio corpo, eseguito i rituali del mattino, mi sono esercitata nella scrittura, ripassato gli incantesimi e studiato la lingua celestiale» strepitò riversando la sua rabbia all'esterno.

«Vieni allora» le diede le spalle e cominciò ad allontanarsi da quel luogo.

«Seguimi, ti insegnerò qualcosa di nuovo» aggiunse voltandosi per un secondo verso di lei.

Ginozkena si asciugò gli occhi e seguì il suo maestro sparendo all'orizzonte.

Provai così tante pena per lei, quante volte aveva provato a svincolarsi da ciò che il mondo si aspettava da lei?

E quante volte poi aveva comunque abbracciato lesue responsabilità sacrificando se stessa per il "bene superiore"?

A rivivere quella scena sentii un nodo bloccarsi nel petto, quanti di questi ricordi erano ancora nascosti dentro di me? Erano il peso eterno della mia anima.

Chiusi gli occhi per impedire alle lacrime di uscire e ancora una volta il paesaggio intorno a me cambiò.

Mi trovai in un corridoio di parquet, circondata da iconografie sacre e tavolette inscritte, fasci di luce entravano dalle enormi finestre che affacciavano in un giardino rigoglioso.

«Principe, la sacerdotessa che cercate è qui» udii la voce sottile di una donna e la mia attenzione fu attirata nella sua direzione.

Dal fondo del corridoio apparve la figura di Enex, aveva gli occhi segnati dalla fatica e dall'insonnia, un mantello color ecrù che copriva la sua tunica scura e i suoi capelli corvini.

L'uomo avanzò verso di me, guradandomi con sguardo scettico.

«Mi state prendendo in giro, donna? Questa è una bambina» commentò con disprezzo.

Io mi sentii per un attimo a disagio poi udii una voce squillante dietro di me.

«Tu cosa ci fai qui?» mi voltai e sbiancai alla vista di ciò che gli occhi di Enex non potevano accettare.

Una minuta bambina guardava con sfida l'uomo appena arrivato, probabilmente offesa per come l'aveva definita.

Indossava un abito lungo, molto colorato ma con ricamature e decorazioni dorate e sfarzose,le estremità addobbate da fronzoli, sul suo capo vi era un ornamento abbastanza ingomberante pieno di ciondoli ma che indossava con (praticità).

Più che una bambina sembrava una reliquia vivente.

«Non ti hanno educata a rispondere con rispetto alle persone che non conosci?» lui si avvicinò indispettito dalle semplici parole della bambina.

«Tu non sai chi sono io» aggiunse imponendo la sua corporatura nel tentativo di spaventarla.

«Non mi interessa chi tu sia, ma non stavo parlando con te» lo prende per i capelli costringendolo ad abbassarsi e lo fissò in faccia.

«Non dovresti essere qui» ripetè con tono di rimprovero.

«Seriamente, chi ha educato questa mocciosa impertinente?» sbraitò sfuggendo alla sua presa.

«Non dovreste parlarle così» lo ammonì la donna «Lei è lo strumento divino scelto dalla dea celeste, potreste atttirarvi le sue ire»

Enex rispose alle sue affermazioni con scetticismo, sospirò e tornò a guardare la bambina.

«D'accordo» poggiò le mani sui fianchi «Accetto volentieri, la spada è disciplina e non ci andrò leggero come le tue levatrici» puntò la bambina che con indifferenza abbandonò il corridoio ma potei vedere sul suo viso un accenno di sorriso che nascose con le sue piccole spalle.

Enex si allontanò nella parte opposta seguendo la donna che lo aveva condotto in quel luogo e io rimasi lì in attesa che un altro di quei ricordi si manifestasse, meditai su ciò che avevo assistito e raggiunsi la conclusione che stessi rivivendo alcune delle tappe della mia vita a ritroso come se stessi morendo.

Sgranai gli occhi quando il ricordo del combattimento con il drago fulminò la mia mente e decisi di provare a contrastare l'oblio che si avvicinava.

Non sarei morta senza combattere. Chiusi gli occhi e provai a risvegliarmi ma la voce di Ginzokena cominciò a perseguitarmi.

Maestro, ehi maestro mi state ascoltando?

Maestro, sono stata brava?

Maestro, faccia attenzione durante la sua missione.

Maestro.

Maestro?

Maestro!

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