Capitolo 19 - Parte II

«Ma non esagerare» annuii cercando delle parole che non mi svirilizzassero troppo.

«Non è di certo il mio primo giro di giostra ma rischi di far saltare tutta la baracca prima del previsto» lei rise divertita, comprendendo la mia allusione.

Prese con impazienza il mio volto posando entrambi i palmi della mani sulle mie guance, irrigidì i polpastrelli e sovrappose le nostre fronti.

Proprio come un tempo vidi le sue iridi scurirsi per poi variare in una tonalità violacea, la pupilla sparì e sentii il flusso del suo potere trasferirsi in di me.

I Rond'Vanas erano la famiglia ialina che deteneva un potere straordinario, era legato alla manipolazione del sangue e noi, fin da ragazzini, lo usavamo in una maniera molto particolare rendendo le nostre notti più intense.

All'epoca il sentimento che ci legava era più profondo della semplice amicizia che avevamo coltivato fino a quel momento, ma lei era la promessa sposa di mio fratello maggiore e non potevamo avere rapporti intimi. 

Così lei, ingelosita dalle mie visite alle concubine, si insinuava nel mio letto e mi drogava con le sensazioni che il suo potere riusciva a provocarmi.

Quanto si divertiva a turbarmi e per anni ne fui dipendente finché alla morte dei miei due fratelli maggiori, convolammo a nozze e potei possederla riuscendomi a prendere la mia piccola vendetta. 

Da allora quel nostro giochetto erotico si trasformò nel nostro originale preliminare, anche se ormai non era veramente necessario ma nessuno dei due riusciva a fare a meno di quelle sensazioni con cui quell'atto ci univa.

Sentii il sangue reagire al suo potere, cominciò a confluire nelle mie zone più sensibili per suo ordine e ogni parte del mio corpo cominciò ad essere sollecitata dall'interno.

Alzai gli occhi al soffitto completamente sottomesso a lei e al piacere, sentivo tutta la mia zona inguinale irrigidirsi e contrarsi. 

Mi aprii i pantaloni per diminuire la pressione sul corpo e decisi di prendere il controllo della situazione, se avesse continuato in quella maniera avrebbe vanificato il mio sforzo.

La presi per i fianchi e invertii le nostre posizioni buttandola sul materasso. Lei sorrise interrompendo la sua magia e tornammo a baciarci.

Con le ginocchia la forzai a divaricare le gambe e senza attendere oltre mi spinsi dentro di lei ma qualcosa non andava.

Mi strinsi a lei e quasi tremai per quella sola e unica stimolazione e non capii se era colpa della lunga astinenza che mi ero imposto o l'effetto di quella cosa che avevo bevuto.

«Tutto bene?» mi chiese preoccupata, ma non potevo tirarmi indietro.

«Sì» le dissi per rassicurarla.

Cercai di nascondere quella mia difficoltà concentrandomi su di lei, ripresi ad accarezzare il suo corpo coperto dal completino, arrivai ai suoi fianchi e colpii con irruenza i suoi glutei cominciando muovermi dentro di lei.

Diaspro fece un verso misto a sorpresa e piacere, strabuzzò gli occhi e si aggrappò a me.

Cercai di dominarla, la presi per i capelli e le strinsi la nuca ma più irruenza usavo su di lei e più mi sentivo vittima delle risposte del suo corpo e della sua voce sommessa che non riusciva a trattenere i gemiti.

«Enex!» sentii chiamare supplichevole il mio nome ma poco dopo sentii qualcun altro nella stanza, mi voltai furioso per cacciare l'intruso e poi la vidi.

Era così sconvolta che non riuscì neanche a muovere un solo muscolo, con la mano ancora ancorata alla porta. 

Voltò lo sguardo nascondendo con le spalle il viso e scappò.

«Ma che peccato» sentiti la voce di Diaspro limpida e soddisfatta.

Tornai con lo sguardo su di lei e notai che il suo sguardo era cambiato, mi scrutava in attesa che io reagissi ma era come se, qualsiasi cosa io avrei fatto, non sarebbe cambiato nulla.

Era lo sguardo di quando sapeva di avere tutto sotto controllo, che tutto era andato secondo i suoi piani e non mi piacque.

«Se non fosse possibile, penserei che qui sotto ci sia il tuo zampino, Diaspro».

«Ma cosa insinui? Come potevo sapere che sarebbe venuta qui? Sono entrata nella prima camera da letto che ho incontrato» mi rispose giocherellando divertita con una ciocca di capelli.

Indispettito mi alzai e scesi dal letto.

«Dove credi di andare?» mi domandò poggiando il busto sui gomiti «Dobbiamo finire quello che abbiamo iniziato» con la mano fece segno di tornare nel letto con lei.

«Fottiti, Diaspro» mi legai di nuovo i pantaloni e a piedi nudi uscii alla ricerca di Faith.

Quella volta non potevo lasciare correre, dentro di me era nata l'impellente esigenza di parlarle, non volevo arrivare a ferirla a quella maniera.

I miei passi rimbombavano nel profondo silenzio di quelle camere illuminate solo da piccoli ceri che bruciavano in eterno.

Presi dell'incenso, versato in un contenitore di dimensioni ridotte, e avvicinai un bastoncino alle piccole fiamme che custodivano il riposo dei re passati, passai una parte di quel calore dalla candela all'incenso che si accese sprigionando la sua malinconica profumazione.

Sospirai e, senza rovesciare la polvere al suo interno, mi spostai davanti alla sua lapide e poggiai la ciotola sulla sua base.

Avevo lasciato Xandra e Faith alla festa spinta dal forte desiderio di rivederlo ma in quel momento vedevo solo la mia immagine riflessa sulla pietra della sua tomba, il mio viso frammentato dalla raffinata incisione del suo nome e i miei occhi che tornavano a bagnarsi delle lacrime che non avevo mai conosciuto in passato.

Dentro di me lo sapevo di dover allungare la mano verso quell'ombra che mi sorrideva, avrei dovuto fermare la chiusura del portale di cui io stessa avevo provocato il collasso.

Poi la rabbia riempì i miei pensieri, irrigidii le palpebre e strinsi le mani in modo da fermare la collera che mi spingeva a colpire il luogo del suo eterno riposo.

«Perché lei? Perché ti sei mostrato proprio a lei?» urlai squarciando il silenzio della cripta e alleviando la pressione sul mio cuore di quel bruciante sentimento. 

La pietra non mi rispose ma il mio animo in qualche modo si sentì rasserenato. 

Lo comprendevo, lui prima di sé stesso aveva sempre messo il bene del suo popolo ed era necessario che qualcuno desse forza a quella ragazza.

L'ennesimo compito che non ero riuscita a compiere, così aveva dovuto pensarci lui.

Mi lasciai andare sulla fredda lapide e la toccai sospirando.

«Se eri tu allora a tenere la ragazza lontano dalla festa, perché mai Fyren era qui questa sera?» chiesi pensierosa. 

Non era lì per caso, si guardava intorno in attesa. Era lì per distrarmi ma cosa non dovevo vedere?

Provai a ripensare al ballo che avevamo fatto, a rievocare ciò che mi circondava ma la sua presenza mi aveva così colpita da non aver usato il mio solito raziocinio.

Una anormale folata di vento entrò nella cripta facendo tremolare insistentemente la fiamma di tutti i ceri poi uno di quelli che giaceva sulla lapide di Azesiel si rovesciò, cadendo sul pavimento.

Mi piegai per recuperarla ma la fiamma dello stoppino invece di spegnersi crebbe, avvolse la candela per intero e si alzò di diversi piedi.

Istintivamente mi allontanai proteggendo il viso ma la fiamma era inerte anche se scoppiettava furiosa.

«Fuoco? Perché il fuoco?» domandai ad alta voce.

Il controllo del fuoco era il potere della famiglia dei Talormor ma non poteva destare un interesse così importante nel dio dell'oscurità.

La fiamma a quel punto divampò crescendo di colpo, divenne imponente e a quel punto compresi. La direzione dello sguardo di Fyren, lui non stava puntando a Faith, era lì per lui.

Mentre il fuoco si spense la terra cominciò a tremare tutto intorno a me.

Non avevo un buon presentimento, quel potente scombussolamento naturale era un cattivo presagio. 

Sollevai la gonna del mio abito abbandonando le scarpe eleganti per scappare da quel luogo sotterraneo, invocai preghiere alla dea celeste supplicando che non fosse già troppo tardi.

Avevo la nausea, il mio corpo rigettava quelle immagini con tutta la forza che possedeva, mi sentivo soffocare mentre la sicurezza che avevo acquisito con le parole di Azesiel si infrangeva contro il muro della realtà.

Mi fermai da qualche parte, in un corridoio qualsiasi e sostai davanti ad una finestra che dava verso il cancello esterno del castello, l'aprii per prendere un po' d'aria fresca.

La mia mente veniva di nuovo presa d'assalto dalle voci, dai pensieri di tutta quella gente che mi circondava. Perché il mio potere impazziva in quelle situazioni?

Forse era quello che cercava di insegnarmi Thildaissa, il controllo delle proprie emozioni era alla base per poter controllare il proprio potere.

Mi inginocchiai facendomi piccola contro il muro, mentre il ricordo di Enex che affondava le sue mani sul corpo della moglie trafiggeva ancora una volta il mio cuore e la voce con cui lei lo chiamò riecheggiava nei miei pensieri, quasi sovrastando le voci.

Quel tipo di coinvolgimento non si può fingere, io non potevo mai essere come lei o come una qualsiasi altra donna normale, non avrei mai potuto dargli quello che lei gli dava. 

Io, non sarei mai potuta essere sua.

La mia testa lo capiva ed era la mia razionalità a non farmi dare di matto. 

Desideravo piangere ancora e ancora ma avrebbe mai rincollato i pezzi del mio cuore che andava in frantumi?

«Eccoti qui, Faith, ti stavo cercando ancora, di nuovo. Per favore non ti allontanare da sola»

Sentii la voce di Xandra arrivarmi da dietro, ingoiai il boccone amaro e mi rialzai assicurandomi che non ci fosse traccia di lacrime sul mio viso.

«Cosa c'è? Non ti senti bene?»

«No, per niente... devo aver fatto indigestione» mentii, a male pena toccai cibo quella sera.

«Non si deve esagerare alle feste» mi rispose ma dal suo sguardo era evidente che stava semplicemente al mio gioco, era preoccupata e mi diede una pacca sulla spalla per incoraggiarmi silenziosamente.

«Vieni... ti aiuto a ritornare in stanza» facendomi da supporto camminammo sottobraccio.

«Grazie» esclamai a bassa voce.

Le ero grata soprattutto per non aver fatto domande, alle volte ci comprendevamo come se fossimo state amiche di lunga data. 

Una complicità del genere non l'avevo nemmeno con la mia migliore amica Katy.

«Tutto si risolverà» mi incoraggiò a guardare positivo ma non c'era modo per me e Enex trovare un punto d'incontro per le nostre vite che correvano distanti.

La terra improvvisamente tremò, scossa da un terribile sisma, le mura del castello cominciarono a creparsi mentre un ruggito bestiale sovrastò ogni rumore.

Cercai di rimanere in equilibrio ma quando ascoltai quel verso impallidii, mi voltai verso Xandra per cercare una risposta nel suo volto ma lei fissava una direzione lontana con lo sguardo allarmato.

«Xandra non mi dire che è lui!» le urlai spaventata, tutta quella situazione aveva riportato a galla i momenti passati dentro Mirva e l'immagine di Doyle si fece spazio prepotente nella mia testa. 

Fuori dalle finestre vedemmo il cielo notturno illuminarsi a giorno di una inquietante luce arancione.

«No» mi rispose strappando una striscia di tessuto dal suo abito, si legò i capelli e mi guardò preoccupata.

«È molto peggio, Enex è in pericolo»

Peggio di Doyle? Cosa poteva mai essere peggio di quella divinità assassina?

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top