Capitolo 15 - Parte II
Dopo aver dato sfogo a tutta la mia rabbia e aver ridotto in cenere ciò che rimaneva di quell'individuo, mi affrettai a tornare nella tenda di Xandra.
Sentii una strana manifestazione di potere provenire da lì e mi fiondai con preoccupazione al suo interno.
«Xandra!» invocai il suo nome per attirare la sua attenzione.
La donna era concentrata a eseguire un incantesimo che non conoscevo su Faith, le mani le tremavano e potevo percepire la forza del suo potere crollare repetintinamente dopo quell'improvvisa esplosione.
Mi buttai su di lei e strattonandola con forza la allontanai dalla ragazza.
L'incatesimo che stava incalanando si spezzò e, con poche energie, si accasciò su di me.
«Sacrificarsi a questo modo non vale la pena, Xandra sei forse impazzita?! Cosa diamine stai facendo?»
Lei sollevò appena il capo nella mia direzione e, nonostante lo sguardo severo che le stavo riservando, mi sorrise.
«Perdonami, Enex» disse con tono allegro.
Se non avessi saputo che le risultava difficile, avrei pensato che stesse facendo del sarcasmo.
Sentii il suo corpo abbandonarsi di colpo a me, i suoi occhi si chiusero e la testa ricadde indietro a penzoloni.
Rimasi per un attimo in ascolto, quando sentii che il suo petto si muoveva e che il suo cuore batteva ancora, feci un sospiro di sollievo.
Arrangiai una nicchia spostando dei teli con i piedi e ce l'adagiai sopra, lasciandola riposare.
Adesso sì che c'era bisogno di preparare un pasto per quando si sarebbero svegliate.
La fuga dai monti Liri fu frenetica, nonostante nessuno mi seguisse tagliavo i boschi in preda all'ansia e stringevo forte a me la ragazza ancora addormentata.
Non sapevo per quanto altro tempo il sonnifero le avrebbe fatto effetto.
Dovevo portarla alla regina, prima che le cose mi sfuggisero di nuovo di mano.
Il bilancio della mia uscita di scena dal gruppetto degli allegri allocchi fu inaspettato.
Non credevo possibile poter perdere un'ala e quella ferita bruciava ancora sulla mia schiena, anche se il rimedio curativo l'aveva completamente guarita.
Sapere che da quel momento anche su di me avrebbe aleggiato quella nauseante puzza di cancrena mi rivoltò l'anima ma riuscii a consolarmi un po' solo dopo aver parlato con lui.
Il suo sguardo sconvolto, perso nell'immagine che si disegnava nella sua testa di me che giacevo con la sua adorata donna, solo quello mi ripagò di tutto il periodo che avevo passato ad ascoltare le loro stupidaggini.
Ogni giorno desideravo sempre più ardentemente di spezzare le catene che mi tenevano costretto a loro e poter raggiungere finalmente la mia dea.
Anche se non portavo le notizie da lei desiderate, speravo nella sua benevolenza.
Attraversai le colline a sud, superando le pianure aride delle terre dei neri.
Viaggiai per giorni, continuando a sedare l'essere sacrificale finchè non arrivai a destinazione.
Il tempio Hell'ra, la dimora terrestre del dio Fyren.
Il luogo più grande del culto oscuro, dove i grandi sacerdoti del passato si sono uniti alla divinità acquisendo il controllo di tutto il potere del mondo.
Attraversai quelle straordinarie arcate come se fossi ritornato a casa dopo un lungo viaggio, nonostante fosse la prima volta che riuscivo ad avvicinarmici.
L'accoglienza lasciò abbastanza a desiderare ma fui subito convocato nelle sale dei rituali per conferire con la regina.
Con l'entusiamo e il timore del giovane guerriero che entra nelle aule dell'accademia per la prima volta, mi adentrai nella stanza più interna del tempio, il cuore dove tutto accadeva e tutto si creava.
Era una grande stanza, piena di banchi per i fedeli che assistevano, un grande trono nel fondo della stanza che guardava ad un altare centrale.
Non avevo mai visto una cosa del genere, l'ara aveva una forma tondeggiante, era più grande rispetto a tutti quelli che ero abituto a vedere e al di sopra sembrava esserci un consistente strato di tessuto che rendeva la superficie più morbida.
Al suo centro c'era lei, riversa supina con un'abito semplice ma che teneva scoperto il bacino e la parte superiore del torace.
Era sdraiata con le braccia sulla testa, gli occhi chiusi, le labbra carnose lievemente poggiate l'una sul'altra e le gambe piegate, in una posa sensuale e abbandonata.
Come una donna in attesa del suo adorato.
«Sono arrivato il prima possibile, mi avete fatto chiamare?»
«Sì» mi rispose aprendo le palpebre e mostrandomi i suoi cristallini occhi.
«Ero in trepidante attesa del vostro racconto».
Con eleganza portò le gambe sul bordo dell'altare e le accavallò, poggiando le mani vicino ai suoi fianchi e riservandomi uno sguardo penetrante.
«Pendo dalle vostre labbra, Dix. Saziate la vostra regina con le parole del vostro coito».
Alzò la testa per scrutarmi ma subito il suo volto fu disturbato da una smorfia. Ancora prima di parlare già sembrava che lei avesse intuito qualcosa.
«Mi dispiace averla delusa» pronunciai quelle parole con profondo rammarico e subito mi inchinai.
La gioia dei suoi occhi si spense di colpo e, tenendoli fissi su di me, si alzò e si portò di fronte al mio capo a passi lenti.
Riuscii a vedere per un secondo i suoi piedi nudi dopodichè la sua mano colpì violentemente il mio volto.
La forza del colpo mi destabilizzò facendomi crollare al suolo. Poi si piegò su di me, mi prese per le ciocche dei capelli e mi sollevò tirandole.
«Ti avevo semplicemente ordinato di farti una scopata» mi guardava con una furibonda ira.
«Quanti possono vantare di aver ricevuto un ordine del genere?»
«Mia regina...» Tentai di spiegare l'accaduto.
Nemmeno io credevo possibile una tale evenienza, avevo provato ad insinuarla corteggiandola, facendola bere così tanto da farle perdere il controllo sulla libido ma nemmeno con la totale annientazione della sua volontà ero riuscito a violare il suo corpo.
«Taci!» mi ordinò cercando di controllare la rabbia che le ribolliva in corpo.
Sospirò, dopodichè lasciò andare i miei capelli, facendomi scivolare sulle ginocchia.
«Almeno sei riuscito a recuperare l'essere sacrificale» continuò incrociando le braccia.
«Ho consegnato la donna alla guardia che avete mandato per recuperarla, era ancora incosciente. Il suo nome è Nazca».
«Non mi interessa il suo nome» mi interruppe guardando per un po' l'altare, come per riordinare le idee.
«Mia signora, se posso osare di chiederle, perchè mi avete ordinato di scortare l'essere sacrificale qui al tempio, invece che ucciderlo semplicemente?» domandai spinto da una smisurata curiosità, volevo essere partecipe delle successive mosse.
«Ogni cosa a suo tempo, Dix» pronunciò il mio nome ed ebbi un sussulto.
«Quando il grande disegno sarà rivelato, tutto vi sarà chiaro» poi si sedette di nuovo sull'altare e tornò a scrutarmi.
«Vedo che hai perso un'ala».
«Mia regina» la invocai ancora con la sofferenza che divampava nel petto. Il dolore di quel momento ancora non abbandonava il mio corpo stanco.
«La sacerdotessa...» era la giusta punizione per aver fallito, per averla delusa.
«Quella mocciosa, ti ha ridotto così?» nella sua voce potevo sentire un pizzico di derisione.
Annuii senza proferire alcuna parola.
«Probabilmente abbiamo sottovalutato la bimbetta che arriva dall'altro mondo» si avvicinò di nuovo a me, ma questa volta mi aiutò a rialzarmi e con gli occhi commossi mi accarezzò le guance.
«Sono contenta che sei riuscito a tornare da me, spero tu possa perdonarmi per essermi adirata con te» si scusò e con movenze lente posò le sue labbra sulle mie, baciandomi dolcemente.
«Torna nelle tue stanze e riposati, mio fedele» aggiunse staccandosi appena da me «Per ricompensarti dei tuoi sforzi farò in modo che tu possa vendicarti».
«Grazie, mia regina» mi alzai e, piegando appena il busto, mi inchinai in segno di rispetto.
Lei si avvicinò al trono e, pensierosa, vi si adagiò prendendo, difatto, il posto più alto del mondo.
Mi destai che fuori le tenebre ancora ci abbracciavano e la prima cosa che controllai furono le condizioni della venerabile.
Mi avvicinai a lei e le tastai subito il polso, era ancora viva e il suo colorito faceva ben sperare.
Sulla testa aveva delle pezze umide, usate per tenere la temperatura sotto controllo, le coperte più pesanti le erano state levate e, quelle leggere, rimboccate con cura.
Enex non poteva fare un lavoro più eccellente.
Quando uscii dalla tenda sentii il profumo di una zuppa calda richiamarmi al focolare.
Lì, l'uomo era piegato su un pentolino che faceva ribollire con le sue fiamme magiche.
«Sei già sveglia?» mi domandò alzando lo sguardo nella mia direzione.
«Sì, mi sono appena destata» gli risposi sedendogli vicino.
Lui con fare apparentemente calmo ttornò a concentrarsi sul piatto che stava, con qualche difficoltà, cucinando.
«Enex» lo chiamai subito, il suo intervento mi aveva salvato la vita.
Se non ci fosse stato lui con noi, mi sarei sentita persa già da tempo.
«Ti ringrazio» gli dissi semplicemente, era da tempo che non avevo un debito così pesante con qualcuno e chissà se mai sarei riuscita a ripagarlo.
Lui sollevò il volto verso di me e alzò un sopracicciglio, come se non avesse compreso il motivo della mia riconoscenza poi tornò a concentrarsi sull'incantesimo.
«Non devi neanche dirlo» mi spiazzò.
Osservai la sua figura tremolare con la luce del fuoco e ancora non mi capacitavo come una persona come lui potesse essersi ridotto così.
«Hai controllato Faith?» mi domandò senza distogliere lo sguardo, come se la sua finta mancanza di attenzione al discorso potesse mostrarlo ai miei occhi davvero disinteressato.
«Sì, sembra stare davvero, meglio» lo rassicurai mentre versava il contenuto brodoso della pentola in tre scodelle.
«Ne ho fatto un pò per lei» si giustificò.
«Hai fatto bene, adesso è necessario che mangi qualcosa, dovremo provare a svegliarla» affermai soffiando sul brodo fumante.
Entrambi ci rabbuiammo all'idea di destarla. Non eravamo pronti a gestire la sua reazione.
«Hai usato per caso la radice di Styntlat?» gli domandai ritrovandomene un pezzo nel piatto.
«Sì, perchè?» mi domandò guardando il piatto.
Lo fulminai con gli occhi e, recuperando tutti i pezzi dalla scodella, li lanciai lontano da me nell'erba.
«Ma...» l'uomo rimase interdetto dal mio gesto poi sorrise.
«Non dovresti fare tutte queste storie per il cibo. Dovresti ringraziare che sono riuscito a mischiare quattro verdure a caso».
Quelle sue parole mi fecero ricordare che eravamo a secco di scorte. Appena ci sarebbe stato possibile avremmo dovuto fare approvvigionamento.
«Sta parlando quello che non ha nemmeno toccato il piatto» lo indicai rispondendogli a tono. Non esisteva che mi facesse la paternale.
Ripulii la scodella sospirando e, rimessami in forze mi stiracchiai.
Enex, nonostante tutto l'impegno che ci aveva messo nel cucinare, si era limitato a guardare, pensieroso, il suo piatto per tutto il tempo.
«Xandra» richiamò la mia attenzione posando con cura la ciotola «Non è mio volere far gravare tutto sulle tue spalle ma... sveglia tu Faith» si alzò e senza attendere la mia risposta si allontanò.
Guardai la sua schiena scappare da quel momento, avrebbe dovuto sapere che non poteva farlo per sempre.
Prima o poi, avrebbe dovuto affrontare la realtà, affrontare la ragazza e raccontargli ciò che le aveva tenuto nascosto fino a quel momento.
Recuperai la terza ciotola, che nel frattempo si era raffreddata, ed entrai nella tenda.
Il respiro della venerabile che giaceva sulla brandina era regolare e accennava a piccoli movimenti delle dita.
Posai il piccolo contenitore su una superficie sicura poi mi accostai a lei e le toccai il braccio.
«Ginozkena» la chiamai cercando di comprendere se mi udisse. Le sue palpebre si strinsero e le labbra si corrucciarono.
«Ginozkena, svegliatevi» la chiamai più forte cercando di essere al tempo stesso delicata.
Era evidente che si stava risvegliando, probabilmente era ancora molto confusa e ci mise un po' a schiarire la mente e, quando i ricordi di quella notte riaffiorarono, spalancò gli occhi.
Man mano che i ricordi le diventavano più nitidi, le lacrime riempirono le sue guance e il suo volto si contrasse, segnandolo con la sofferenza che abitava il suo animo.
Quando riuscì ad aprire la bocca si liberò di tutto il dolore, esternandolo con un solo, e prolungato, urlo di disperazione poi di colpo si voltò, sporgendo appena la testa dalla brandina e vomitò, svuotando lo stomaco dagli ultimi residui del veleno.
Ormai si poteva dire che era prossima alla guarigione fisica.
«Brava» le dissi accarezzandole la testa «E' tutto finito».
«No...» disse a voce estremamente bassa e biascicando le parole «No. No. No.» continuò a ripetere cominciando a muovere freneticamente tutto quello che riusciva.
L'abbracciai ma non riuscii a calmarla, piangeva, si disperava e combatteva contro quei ricordi più forte che poteva.
«Ginozkena» la chiamai con voce un pò rauca «Ginzokena vi prego...»
Non c'era allenamento o battaglia che ti prearava alla sofferenza di un compagno.
Le accarezzai i capelli e la dondolai ritmicamente come un neonato, in attesa che il suo dolore si fosse riversato tutto all'esterno.
Mi fu difficile quantificare il tempo che sono rimasta lì, in silenzio, a confortarla ma sembrò passare un'eternità.
Quando finalmente Ginozkena perse la voce e i suoi singhiozzi si fecero meno frequenti, mi fermai e le avvicinai la ciotola di brodo.
«Probabilmente non senti ancora la fame, ma mangia. Altrimenti non riuscirai a riprenderti » le spiegai. Lei aveva lo sguardo un po' assente ma, nonostante tutto mi ascoltò e a quelle parole ebbe anche la forza di rifiutare la ciotola.
Quel suo gesto mi ferì ma non fece altro che confermare la mia ipotesi, se non fosse stato per noi lei si sarebbe laciata morire.
Ma non lo accettavo, non dopo tutto quello che avevamo passato. Presi la posata e contro la sua volotà la imboccai.
Ebbi subito la meglio, non lottò molto. Non aveva neanche più le energie per pingere.
Mi ero allontanato il più possibile ma, per quanto avessi cercato di creare più distanza possibile tra me e lei, continuavo a udire tutto ciò che succedeva nella tenda.
Quel teso silenzio che anticipò il risveglio di Faith, fu dilaniato dalla sua voce che si diffuse tra gli alberi della foresta, tra le foglie delle fronde e i fili dell'erba fino a giungere a me.
Mentre udivo quel suo richiamo, qualcosa dentro di me si infrangeva, sapevo che quell'urlo non lo avrei mai dimenticato.
Ero arrabbiato, furibondo ma in primis con me stesso. Come avevo potuto permettere una cosa del genere? Avevo promesso di proteggerla e per la seconda volta avevo fallito.
Una goccia di pioggia cadde sulla mia guancia e prontamente mi pulii il viso.
Preoccupato alzai il volto al cielo per controllare le nuvole ma il cielo era limpido e le stelle ridevano di me con il loro bagliore.
Sorrisi amaramente e fermai un'altra di quelle gocce calare sulle mie guance.
Tornai all'accampamento che Faith ancora piangeva, mi sedetti di fronte al fuoco e l'ascoltai esaurire le sue forze.
Quella notte feci una solenne promessa.
Mentre la mia testa si riempiva indelebilmente del suo pianto, giurai che Dix avrebbe pagato con ogni goccia del suo sangue quell'affronto.
Anche a costo di perdere la mia stessa vita, le avrei portato le ali di quell'uomo.
Gliele avrei strappate lentamente dalla sua schiena, piuma per piuma, fino a quando non sarebbe morto affogato nel suo stesso sangue.
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