Capitolo 15 - Colui che amo

Potevo ancora sentirlo le sue risate rimbombare nei miei pensieri, si faceva beffe di noi, dei nostri tentativi e degli eventi che avevano portato alla scomparsa di Skill.

Ero furibondo ma non potevo fare altro che cercare di mettere a tacere tutto dentro di me, per evitare che le mie emozioni diventassero ostacoli per il successo dell'incantesimo di Xandra.

La donna, dopo aver pronunciato per la quarta volta l'incantesimo, urlando, riuscì a sopprimerlo, il fuoco si acquietò di colpo.

Tirai un sospiro di sollievo mentre il dolore che albergava dentro di me si acquietava ma l'artefatto divino si spezzò, infrangendo le mie sicurezze e investendo entrambi del suo potere residuo.

Cademmo al suolo e per qualche istante mi lasciai posato come un frutto maturo.

«Enex?» sentii la sua voce titubante chiamarmi.

«L'ho trovata» le dissi alzando il volto mentre il mio petto cominciava a regolarizzare il respiro.

Avevo dato fondo a tutto il mio controllo, avevo aperto quella dannata porta che ho sempre avuto timore di guardare e grazie a quel potere, sono riuscito a ricreare una mappa del posto, scandagliando il calore, e l'assenza di calore, di ciò che mi circondava.

Riuscii a vedere chiaramente ogni albero, ogni minuscola foglia, ogni animale selvatico finchè non ho trovato la sua presenza, flebile ma ancora tra di noi.

Mi alzai di scatto e, ricordando la posizione a memoria, cominciai a fluttuare veloce tra le fronde buie e umide. Non mi curai neanche di sapere se Xandra riuscisse a tenere il passo.

Il cuore di Faith si faceva sempre più debole e, a breve, anche lui avrebbe smesso di lottare.

Dopo una fitta zona la foresta si diradò, accedemmo ad una piccola radura dove il vento freddo sferzava violentemente su di noi, l'erba alta lo seguiva a ruota disegnando cerchi concentrici nel terreno e, nel bel mezzo, una sagoma interrompeva la loro danza.

«Faith!» la chiamai avvicinandomi a lei nel tentativo di destarla.

Nonostante avevo intuito il suo stato ciò che vidi mi fece ribollire il sangue nelle vene.

Faith era riversa in terra, nuda, con le estremità ormai violacee, le labbra bluastre macchiate di sangue.

Il suo corpo era ricoperto di lividi, non tremava, a mala pena sembrava respirare e la puzza di veleno che la circondava era così nauseabonda che di colpo ebbi un conato.

Ero disgustato e adirato al sol pensiero di quello che poteva essere accaduto in quel luogo, ma mi gettai al suolo e. più veloce che potevo, mi slacciai il mantello per coprirla.

«Faih! Ci sono io adesso, sono qui» La sollevai per poterla avvolgere meglio e la strinsi per tenerla a contatto con il calore del mio petto.

Ansimavo per la rabbia mentre la vedevo aprire appena gli occhi. Il mio respiro faceva delle piccole e frequenti nuvole.

Quando sembrò più cosciente sgranò gli occhi e mi fissò, era spaventata e come un'impazzita muoveva gli occhi per guardarsi intorno.

Come alla ricerca di qualcosa poi alzò gli occhi al cielo e, un istante dopo, li gettò su di sé. Ero preoccupato della reazione che poteva avere così di scatto le presi il volto e lo adagiai un po' bruscamente sulla mia spalla.

Non guardare...

Chiusi gli occhi cercando di trattenerla a me e impedirle di guardarsi, mentre lottavo contro me stesso per non dare i numeri.

«Enex» sentii Xandra sussurrare con il fiatone.

«E' stata avvelenata» le diedi subito l'informazione essenziale ma lei non sembrò sorpresa.

«Lasciala a me» fece una pausa mordendosi le labbra «Tu procurati delle rilule»

Enex mi guardò ancora più sconcertato. Era davvero bravo a mantenere la calma in un momento come quello, non lo credevo davvero possibile.

Quando lo vidi abbracciato al corpo inerme della venerabile ho creduto che sarei stata costretta di nuovo ad usare la forza per calmarlo e quella volta non avevo l'artefatto divino che, misteriosamente, si era distrutto dopo l'ultimo uso.

Recuperai la ragazza tra le sue braccia e la trasportai stringendola a me.

«È finito tutto» le dicevo mentre ripercorrevo la strada al contrario, Ginozkena era vigile ma non riusciva a muovere un solo muscolo. Era sempre più visibilmente spaventata.

Alla paura della violenza appena subita si stava aggiungendo l'angoscia della prigionia di un corpo immobile.

«Andrà tutto bene» affermai mentendo mentre dentro di me lo sconforto cresceva come un fiume in piena.

Con un cenno della mano, e un sussurro, la addormentai con un incantesimo.

Non ero sicura di riuscire a salvarle la vita e, anche se ci fossi riuscita, era chiaro che Dix aveva abusato di lei macchiando la sua purezza per impedirle di usare i poteri concessole dalla dea celeste.

Quell'infame ci aveva ingannato e, approfittandosi dello scompiglio della morte di Macota, ci aveva messi nel sacco.

Tutto quello per cui avevo lottato e per cui mi ero sacrificata era appena crollato come un castello di carte.

Corsi facendomi spazio tra gli arbusti finché non arrivai all'accampamento.

Aprii l'entrata giusto il necessario per potermici infilare dentro e, senza chiudere i due lembi sistemai Ginozkena sulla brandina. La coprii subito con più coperte possibile.

Scavai nello zaino delle pergamene e uscii il libro dei veleni. Con foga sfogliai quelle pagine e con il dito scorrevo sulle varie liste delle ricette.

Proprio come temevo, gli ingredienti che mancavano dal mio bauletto non servivano per la preparazione di un solo veleno. Girai e rigirai quel libro diverse volte, per non farmi sfuggire il veleno incriminato ma l'arrivo di Enex interruppe bruscamente la mia ricerca e, scattando per lo spavento, mi tagliai un polpastrello con la carta.

«Adesso mi puoi spiegare a che diamine ti servono le rilule?» nonostante il suo disappunto Enex stringeva a se una sacca con dentro ciò che gli avevo chiesto.

«Le bastardelle stanno morsicando anche me» si lamentò avvicinandomi il bottino di caccia.

«Nonostante sono a conoscenza di quali ingredienti sono stati usati per avvelenarla, non posso creare un antidoto» gli spiegai prendendo il pesante pacco.

«Ne hai prese davvero tante» commentai aprendo la sacca. Le rilule strisciavano tra di loro nel tentativo di uscire di lì.

«Come non puoi creare un antidoto?!» mi chiese stringendo i pugni.

«Sembra che non ne abbia usato solo uno. Ogni rimedio è specifico per il singolo veleno, non esiste una panacea che li neutralizza tutti.» gli spiegai avvicinandomi al capezzale di Ginozkena. La scoprii e cominciai a posizionare le rilule su tutto il suo corpo.

Notai subito che aveva cominciato a riprendere un colorito normale, ma la sua temperatura era ancora troppo bassa.

«Probabilmente non riusciva a trovare quello che faceva effetto» commento Enex rimanendo fermo immobile all'ingresso.

«Ma alla fine ce l'ha fatta» affermai spostandomi sulla parte sinistra del suo corpo. Dopo averla ricoperta di rilule sospirai e osservai il suo volto turbato.

«È forte e ha contrastato i veleni fino a quando non le ha dato quello giusto. Ma adesso, da sola non ce la farà» aggiunsi.

«Quindi non potendola aiutare a combattere il veleno, vuoi tirarglielo fuori?» mi domandò con occhi scrutatori.

«Esatto» gli confermai osservando le rilule fare il loro lavoro.

Stranamente affamate strisciavano sul corpo della ragazza e, una volta affondati i loro piccoli dentini nella sua carne, cominciarono a cibarsi del suo sangue.

«Le rilule l'aiuteranno a riprendersi più velocemente» mentre cercavo di spiegargli la natura terapeutica di quella tecnica sentimmo un leggero tonfo.

Rimanemmo in silenzio senza fiatare, cercando di capire cosa lo avesse potuto provocare, poi ne udimmo molti altri.

Sotto i nostri increduli occhi, una ad una le rilule stavano morendo ad una velocità pazzesca a causa del veleno che stavano ingurgitando.

Mi voltai verso Enex e non ci fu neanche bisogno di parlare. Come un'ombra sparì dalla mia vista per andare a recuperare altri esemplari di quelle viscide creaturine striscianti.

«Resisti, Ginozkena» la incoraggiai accarezzandole la fronte mentre procedevo a sostituire le rilule.

Mi assicurai che quelle vive si attaccassero in maniera corretta e nel frattempo smaltivo quelle morte in una sacca differente.

Speravo che il loro sacrificio poteva essere davvero di aiuto alla venerabile.

Avevo il timore che, per quanto noi stessimo combattendo con tutte le nostre forze contro il tempo, sarebbero stati vani se lei, in qualche maniera, si stava lasciando morire.

Quello che le era successo era terribile ma la sua mente non era pronta per affrontare tutte quelle cose spiacevoli a distanza così ravvicinata.

Enex tornò con un nuovo carico di rilule appena in tempo. Le ultime si stavano appena staccando.

«Speriamo che queste bastino, non so più dove andarle a recuperare. Mi sono già allontanato fino alla montagna adiacente» mi spiegò posando l'esiguo bottino vicino alla brandina.

«Lo spero anche io» affermai con poca luce negli occhi.

Quando toccai il corpo della ragazza mi resi conto che la temperatura si stava alzando, fin troppo a quel punto. Le toccai la fronte che scottava.

Come pensavo abbassando la quantità di veleno in circolo, il suo corpo stava riuscendo a reagire in maniera più incisiva a qualsiasi cosa Dix le avesse somministrato.

Era un segno positivo ma non potevo abbassare la guardia.

«Non sono un guaritore ma non penso che il suo colorito sia normale» Enex prese parole toccando i suoi avambracci.

«Nonostante adesso sia calda, è più pallida di quando l'abbiamo portata qui» mi fece notare.

Nella frenesia di riuscire a farle smaltire il veleno mi ero scordata che a forza di tirarle il sangue sarebbe intervenuta l'anemia.

«Merda» imprecai sottovoce, di quel passo sarebbe morta per dissanguamento.

«Senti Enex, è inutile che stiamo entrambi qui» alzai il volto e lo guardai con un sorriso di incoraggiamento.

«Perchè non prepari qualcosa di caldo per quando si sveglierà?» gli domandai.

Dovevo distrarlo, non volevo che perdesse la testa un'altra volta.

Anche se non lo dava a vedere, la morte di Skill doveva averlo segnato e la preoccupazione per la sorte di Ginozkena non aiutava il suo equilibrio precario.

Lui mi guardò perplesso, probabilmente gli sembrava strana quella mia proposta in un momento del genere ma accettò senza discutere e, con mio sollievo, uscì fuori dalla tenda lasciandomi da sola con la Venerabile.

Quando non vidi più la sua ombra girare nelle vicinanze, staccai le rilule dal corpo di Ginozkena e la coprii.

Durante i miei viaggi a Nijest avevo avuto l'occasione di studiare qualche antico tomo che esplicava, con interessanti dettagli, l'anatomia umana.

C'erano parole molto difficili ma qualcosa ero riuscita a comprenderla.

Il sangue veniva generato dalle ossa, più queste erano grandi e più contenevano quella sostanza che creava il sangue.

Per salvare Ginozkena mi restava una cosa sola, stimolare il suo corpo a rimpiazzare il sangue perso.

Non c'erano compendi o manuali che spiegassero come farlo ma con un pò di audacia e fantasia potevo plasmare l'incantesimo di cura e utilizzarlo per i miei scopi.

La magia non è una scienza esatta, come potevano essere le pratiche umane. In realtà i suoi limiti non erano mai stati esplorati davvero. Gli unici che ci avevano mai seriamente provato erano gli stessi esseri umani.

Sospira ed inspirai per prendere un pò d'aria, raggruppai tutti i pensieri e svuotai la testa per massimizzare la concentrazione poi portai le mani in direzione della gamba di Ginozkena.

Non avevo la presunzione di riuscire nella mia titanica impresa ma andava bene qualsiasi cosa, avrei accettato qualsiasi miglioramento.

Dea celeste... vi prego, guidate le mie mani e assistete le vostre figlie.

Preparare la cena? Preparare la cena?! Ero sull'orlo del baratro dell'ira e quella dannata mi aveva rilegato a sguattero.

Camminavo stizzito vicino alla tenda in attesa. Non potevo fermarmi, non dovevo smettere di pensare a qualcosa.

Il mio occhio cadde sulla tenda del bastardo e pensai che un bel falò mi avrebbe tirato su di morale.

Entrai spalancando i lembi dell'ingresso e mi osservai intorno.

La piccola stanza era spoglia. La brandina era posta al centro del terreno che la tenda limitava, ai suoi piedi erano ancora presenti i suoi oggetti personali.

La cosa che mi incuriosì era la quantità di specchi. Erano poggiati al suolo, di varie dimensioni, e tutti puntavano al centro.

Era strano detto da me, ma c'era un limite alla vanità e quell'essere lo superava di gran lunga.

Camminai fino ad accostarmi alla brandina e la mia immagine si riflesse ripetutamente in tutti quegli specchi.

Il pensiero di trovarmi in quel luogo improvvisamente mi disgustò e il desiderio di distruggerlo fece ardere il mio animo.

«Non potevo resistere alla tentazione di vedere il tuo volto deturpato dall'angoscia» la sua arrogante voce fece capolino nella stanza mentre i riflessi negli specchi si tramutavano nella sua figura.

Mi voltai stringendo le mani a pugno e, digrignando i denti, osservai il suo volto compiaciuto.

«Cosa c'è? Ti hanno mangiato la lingua?» mi domandò valutando la mia apparente calma ma lo specchio che avevo davanti cominciò a creparsi, dalle fessure usciva dell'energia oscura che subito dopo lo fece esplodere.

Dix rise mentre puntava i suoi occhi carichi di odio.

Dovevo calmarmi, io non dovevo cadere nelle sue provocazioni.

«Quanto mi sono divertito» ricominciò toccandosi le labbra con due polpastrelli poi ci infilò in mezzo la sua sporca lingua e la agitò tra di esse.

«Il suo corpo era così delizioso, se solo non avessi avuto una tale fretta. L'avrei fatta divertire per tutta la notte»

La sua voce rimbombava nelle mie orecchie, attizzando l'incendio che cercava di esplodere dentro di me.

«Bastardo!» imprecai colpendo uno specchio con il pugno. La superficie si infranse, proprio come quelle degli specchi adiacenti ed esplosero riversando al suolo le taglienti schegge.

Il sottofondo delle risate di Dix si fece più intenso ma più distante.

«Sei proprio un ingordo, volevi tenerla tutta per te? Quella bella lingua... è proprio vero che le donne umane sono brave con la bocca».

«Ti ammazzo» urlai scaraventando lo specchio rotto contro gli altri.

«È una promessa» lo indicai con l'indice mentre la sua immagine si affievoliva.

Gli specchi erano il tramite del suo incantesimo, eliminandoli stavo indebolendo l'incantesimo che li legava.

Mi voltai per recuperare il suo elmo e lo lanciai distruggendo un altro specchio.

«Se tu sei qui, immagino vuol dire che lei non è ancora morta» commentò studiando le mie reazioni.

«Sei sicuro di volere che lei riapra gli occhi?» mi domandò e io guardai perplesso la sua figura, fermandomi dal distruggere il suo ultimo specchio.

«Lei sa tutto» mi spiegò posando le mani sui fianchi.

«Sa chi sei».

Alzai le sopracciglia spalancando gli occhi, poi arricciai le labbra e i miei piedi cominciarono ad andare a fuoco.

A quel punto non c'era nulla che più mi tratteneva, rilasciai il fuoco che avevo frenato fino a quel momento.

Mi avvolse e, espandendosi furioso, si avviluppò intorno a me consumando in un istante ciò che mi circondava.

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