Capitolo 13 - Le divinità drago
Enex si allontanò dalla targa e, prendendomi la mano, mi costrinse a seguirlo ma non potevo fare a meno di pensare a quella frase.
Voltai di nuovo lo sguardo verso l'esile donna uscita dalla nicchia e mi accorsi di quanto fosse disorientata.
Spinta dalla compassione tornai da lei e le strinsi le mani tra le mie, come potevo biasimarla. Anche io mi ero sentita così quando aprii gli occhi per la prima volta su Ariadonne.
Quanto tempo era passato?
Erano passati così tanti giorni che ormai la scuola, i compiti, gli esami, i pomeriggi in compagnia di Katy e Duncan... mi sembravano cose che non mi appartenevano più.
Riecheggiavano in un passato lontano, proprio come quello di Ginozkena.
«Venerabile» mi chiamò Xandra.
«E' ora di fare ritorno all'accampamento».
Allontanai quei pensieri e aiutai Nazca ad alzarsi ma, nonostante tutti i suoi visibili sforzi, le era impossibile farlo.
Si aggrappava forte a me premendo le unghie sulla mia pelle fino a lacerarla, ogni suo muscolo tremolava, si contraeva senza riuscire a reggerla.
«Sembra proprio che abbia i muscoli atrofizzati dall'immobilità» Xandra cercò di prendersene carico.
«L'aiuto io» si offrì afferrandola sotto braccio.
«No, lascia stare» la fermai.
«Ci penso io» lei aveva già fatto tanto con me, sentivo che era sbagliato affidarle anche la cura di Nazca.
Da quel momento in avanti, quello sarebbe stato il mio compito.
Feci leva sulle gambe e la sorressi dalle spalle, era leggera, fragile e si abbandonò a me affondando la testa sul mio collo ma sorrideva come un bambino tra le braccia di una madre.
Ripercorremmo i nostri passi al contrario fino alle tende, l'accampamento era stato ultimato prima di entrare nel giardino della creazione quindi ci potemmo dedicare subito al riposo.
«Il sole sembra calare» affermò Macota guardando il cielo.
Enex, come tirato in ballo dalle parole della donna allungò la mano verso il centro dello spiazzo e, con due dita alzate, gesticolò creando delle fiamme magiche sul terreno.
«È meglio provvedere ai bagni prima che la notte cali e la temperatura si abbassi. Abbiamo tutti decisamente bisogno di rinfrescarci e cambiarci d'abito» non potevamo che essere d'accordo con Xandra, il bagno non poteva più aspettare.
«C'è una fonte d'acqua non molto lontana. È facile da trovare, possiamo andarci a turno» le comunicò Macota.
«Fantastico!» esclamò Dix sollevato «Andate prima voi tutte insieme, poi noi...» guardò Enex «Andremo separatamente per conto nostro» precisò.
«Bene, Macota tu comincia ad accompagnare la venerabile e Nazca. Io recupero i cambi e vi raggiungo» comandò Xandra e subito ci incamminammo per il sentiero.
Non vedevo l'ora di immergermi nell'acqua e scacciare il tanfo che stava crescendo su di me. Tra il sudore e il fluido del bozzolo di Nazca, avrei potuto uccidere anche Uriel con l'olezzo che mi portavo appresso.
Proprio come aveva detto Macota, il laghetto, si trovava a poca distanza da dove avevamo piantato le tende. Ci rifugiammo vicino ad un grosso albero e, in silenzio, ci denudammo.
«Non c'è speranza che l'acqua sia calda, vero?» mi lamentai avvicinandomi alle sponde.
«Solitamente a quest'ora la temperatura dell'acqua dovrebbe essere superiore rispetto alla norma, ma non ti aspettare chissà che» ridacchiò.
«Anche a me non dispiacerebbero delle terme».
Presi Nazca dalle mani e, spingendola a camminare un pò senza l'appoggio, entrai nell'acqua.
Lei ebbe un forte brivido e, se avesse potuto, sarebbe fuggita volentieri.
Anche io, se non fosse stato strettamente necessario, avrei passato quella volta, non mi sentivo più per quanto era fredda l'acqua del lago.
«È fredda?» chiese conferma Macota ridendosela.
Ignorai il suo ingombrante sarcasmo e avanzai verso l'acqua più alta.
L'ultima volta che avevo fatto un bagno così fu nel deserto con Dix ma lì l'acqua era riscaldata da quello strano fenomeno che lui non riuscì a spiegarmi.
Mi guardai i piedi e mossi le dita nel tentativo di riattivare la circolazione ma mi venne un'idea, e se incanalassi l'energia per trasmettere calore al fondale? Proprio come nell'oasi?
Chiusi gli occhi e mi concentrai, mi lasciai guidare un pò dall'istinto e provai a pensare al calore di una spiaggia, di una vasca piena di acqua bollente.
Man mano che rilasciavo il mio potere sentivo l'acqua restituirmelo attraverso un sempre più intenso tepore.
Quando riaprii gli occhi il fondale del lago era illuminato, proprio come nel deserto e l'acqua era piacevolmente calda.
«No, l'acqua è perfetta» le risposi immergendomi fino al collo e Nazca mi imitò.
Il suo viso sembrò rasserenarsi, in acqua era molto più a suo agio e si muoveva facendo dei piccoli cerchi sul pelo dell'acqua.
Macota rimase sorpresa e decise finalmente di raggiungerci.
«Non credevo esaudissi anche i desideri» scherzò rilassandosi.
Mi lasciai cullare un po' poi chiamai a me Nazca e la ripulii dal fluido che ancora la ricopriva, nonostante l'ammollo.
Buttandole dell'acqua sulla pelle strofinavo con i polpastrelli sui punti più sporchi, poi la feci abbassare e frizionai con forza quel mare biondo che aveva sul capo.
Ricordavano tanto i capelli di Dix.
Mi soffermai ad ammirarli e la mia testa non poté che tornare alla frase incisa nel luogo del suo ritrovo.
Che la mia interpretazione dell'indovinello era giusta? Possibile che Nazca sia la figlia di Ginozkena e... Dix?
«Come ti senti?» le chiesi spronandola a parlare. Nazca si lasciava toccare da me con docilità, il suo viso era a momenti pervaso da un profondo senso di serenità, altre da sentimenti come la curiosità e la sorpresa.
«È proprio strano» affermò Macota avvicinandosi.
«Cosa?» mi voltai verso di lei.
«Nazca, sembra che non parli»
«Hai ragione, è come se fosse una bambina»
Mi soffermai a pensare al comportamento della donna, da quando era uscita da quello strano bozzolo, il fatto di non parlare, di riuscire a mala pena a muoversi autonomamente, i suoi occhi sempre pieni di gioia e sorpresa, la faceva assomigliare molto di più ad un neonato.
Dei rumori di passi ci misero in allarme, interrompemmo le chiacchiere e guardammo nella direzione da cui si avvicinavano.
«Cos'è questo silenzio di tomba?» chiese Xandra spuntando da alcuni cespugli.
In coro sospirammo. Xandra portava con sé una torcia e una sacca piena.
«Ci godevamo il bagno» affermai mentre Macota si apprestava ad uscire per prima.
Xandra le allungò un lungo scampolo di tessuto con cui si asciugò il corpo.
«Ci hai messo molto» commentai cominciando a vestirmi.
La differenza di calore tra il lago e la riva era rilevante.
«È successo qualcosa?» le chiesi scrutandola.
La conoscevo bene e, da diversi giorni, qualcosa la preoccupava, era evidente e, proprio come da sua abitudine, continua a tenersi tutti dentro.
Xandra cercò di sviare il discorso allontanando lo sguardo ma, dopo un primo momento di perplessità, sembrò arrendersi alla domanda.
«Ho provato a scrivere una lettera» mi rivelò.
«Voi, che non avete parole?» esclamai seriamente preoccupata.
«Uriel» disse sospirando «Ha ricominciato»
«Ce lo immaginavamo» quella notizia non era inaspettata, da tempo la terra puzzava di sangue e mi rimandava visioni terribili che solo in quel momento compresi che non erano legate a quel luogo di celestiale tranquillità ma erano reminiscenze del nostro adorato mondo che veniva di nuovo macchiato dal sangue.
Infondo sapevamo che presto Uriel avrebbe ripreso da dove aveva interrotto, la questione non era se, ma quando lo avrebbe fatto.
«Perlomeno sappiamo dove si trova adesso» aggiunsi, era l'unica consolazione.
Xandra si morse il labbro stringendolo fino a sangue.
«Ma quale saranno le sue intenzioni?» chiese dopo aver a lungo pensato.
«Non riesco davvero a comprendere la sua strategia.
Perché spargere le sue energie per il mondo quando potrebbe concentrarsi su di noi ed impedirci di ostacolarla?» era infervorata.
«Probabilmente non ci ritiene una manaccia» riflettei, probabilmente sapendo che la Venerabile non era quella di un tempo, la sottovaluta.
«Da quando è uscita dal lago sembra come un cane rabbioso, che insegue la vendetta» Sembrava aver pensato a molto a quella conclusione.
«Eppure noi sappiamo bene che non è così» controbattei, Uriel in passato si era rivelata una stratega eccellente.
«E se la prigionia nel lago... le ha fatto perdere la ragione? Ci ritroveremmo davanti un nemico impossibile da prevedere e pronto a perdere tutto»
«Un nemico del genere... è ancora più pericoloso» commentai strofinando i capelli. Era difficile asciugarli velocemente senza il calore del fuoco.
«Vuoi ridere?» mi chiese beffarda.
«Quelli della congrega mi hanno chiesto un rapporto! Vogliono sapere come va la missione!» tirò un calcio ad una pietra.
«Non si sono mai interessati delle nostre sorti, neanche una volta e adesso, tutto d'un tratto, "la comunicazione è prioritaria per muoverci in sinergia contro il nemico". E dire che stavano per condannarmi a morte!»
Xandra sospirò, aver esternato le sue preoccupazioni non l'aiutò come sperava ma sicuramente le sue spalle adesso erano meno pesanti, adesso che la congrega ha potuto finalmente vedere con i propri occhi la minaccia incombente, le cose per noi potevano solo che migliorare.
Xandra Interruppe il suo discorso e posò il resto delle cose che aveva portato suddividendole, gli abiti della venerabile, quelli per Nazca e quelle sue personali; dopodiché si avvicinò alle rive con un'altro di quegli asciugamani di cotone e chiamò le due donne ancora intente a fare il bagno.
«Uscite anche voi» le incitò.
Xandra ci chiamò così, prendendomi Nazca sotto braccio, la portai in riva al lago.
Fuori la temperatura si era abbassata e continuava a calare di momento in momento.
Xandra, con la sua solita premura, ci accolse avvolgendoci con i teli che aveva in mano, ci indicò gli abiti puliti e, solo dopo essersi assicurata che tutto fosse a posto, cominciò a spogliarsi per lavarsi a sua volta, senza più dire una parola.
Mi avvicinai a Macota e feci sedere Nazca su una roccia.
«Aspetta un attimo che ti aiuto a vestirti» le dissi, la donna aveva le mani che le tremavano e le labbra leggermente violacee.
Lei mi guardò e annuii ma Macota mi posò la mano su una spalla.
«Fai tranquilla, ci penso io a lei» mi sorrise e mi affidai a lei.
Recuperai i miei abiti e mi allontanai appena per poggiarmi sul tronco di un albero.
Quando finii di coprirmi sentii Macota alzare la voce.
«Nazca, che male!» mi voltai a capire cosa fosse successo.
«Macota?» le domandai, era piegata leggermente in avanti e si toccava il capo con entrambe le mani.
«Scusami se ti ho fatto preoccupare, non è successo nulla» mi rispose sollevando il capo «Nazca mi ha tirato i capelli» mi spiegò recuperando fiato.
«Non si fa!» di scatto mi voltai verso di lei, mi sentivo in obbligo di doverla sgridare per quello che aveva fatto.
«Non si tirano i capelli!»
Appena i nostri sguardi si incrociarono lei, con aria intimidita, allungò le braccia, con le mani raccolte, e mi porse un fiore dai petali venati.
«Un fiore? Per me?» le chiesi addolcendo il tono della voce.
Lei fece cenno con la testa, anche se non parlava riusciva a farsi capire benissimo.
Allungai la mano per recuperare quel fiore e la ringraziai.
Ma dove lo aveva raccolto?
«Non c'è bisogno che la sgridi» Macota si avvicinò.
«Mi sono semplicemente spaventata» si toccava con sguardo triste il capo, come se ancora la zona le dolesse, poi mi accorsi che tra le ciocche bagnate spuntavano altri di quei fiori bianco e rosa.
«Lei, voleva darmi questo» la giustificai allungandole il fiore.
«Ecco perché» disse pensierosa.
«Non sapeva quello che stava facendo» poi si voltò e finì di sistemare Nazca.
«Mi dispiace» mi scusai per lei, Macota era strana, come se quella decorazione per capelli avesse un qualche valore.
«Se per te questo fiore è importante, te lo rendo»
Lei guardò prima il fiore poi alzò lo sguardo e mi sorrise come per rassicurarmi
«No, tranquilla, una volta rimossi non si può più fare nulla»
«Ma cosa sono esattamente? Li tieni sul capo da quando siamo partiti, non si sono nè seccati e nè sono scivolati via durante il bagno» domandai curiosa mentre lasciavamo Xandra al suo bagno solitario e ci incamminavamo verso l'accampamento.
«Questi fiori...» prese una ciocca di capelli poi la legò insieme agli altri.
«Non sono recisi dalla terra e poggiati tra i miei capelli. Noi li chiamiamo fiori dell'età» mi rispose facendosi poi una treccia arrangiata.
«I fiori dell'età?»
«Tradizionalmente noi hent non definiamo la nostra età attraverso gli anni, ma a seconda di quanti fiori spuntano tra i nostri capelli. Anche se oramai questa usanza è in disuso»
Mentre mi spiegava il significato di quei fiori provai a ritornare con la mente ad Amarfinie.
«Eppure, non ricordo molte persone con dei fiori in testa» commentai strabuzzando gli occhi.
«Sebbene siano una parte del nostro corpo, ormai tendiamo a reciderli per nasconderli. La quantità di fiori che spunta tra i nostri capelli è proporzionale all'uso di potere che abbiamo usato nella nostra vita. Noi hent attingiamo al potere dalla terra. Ma questo non è infinito e se tutti accingessimo in maniera indiscriminata alla sua fonte, finiremmo per esaurirla e per questo tutti nasciamo con una determinata quantità concessaci dalla natura. Una volta raggiunto il limite, moriamo, indipendentemente dall'età fisica. Per questo noi hent siamo un popolo tendenzialmente pacifico. Non siamo immortali e ogni magia che eseguiamo ci avvicina un po' di più verso la nostra fine»
«Quindi, in parole povere, più fiori un hent ha sul proprio capo e più è vicino alla propria morte?»
«Esatto» mi rispose guardando uno dei fiori sulla sua treccia.
«Per questo a molti di noi non piace mostrarli. Immagina Cassidea».
«Cassidea?».
«Sì, quella ragazza, da quando ne ha avuto le forze è stata chiamata a sostituire la precedente sacerdotessa della barriera. Ogni notte, per tenerla eretta, è stata costretta ad usare una quantità considerevole di potere. Se non strappasse i fiori dell'età, il suo capo ne sarebbe quasi completamente ricoperto e tutte le volte che vedrebbe il suo riflesso, esso le ricorderebbe che il suo momento è vicino»
Chissà perché la mia mente non aveva ancora collegato le due cose ma, quella rivelazione di Macota mi aiutò a comprendere la malinconia di Cassidea.
Quella notte, davanti alla prima luna della sua vita, mi aprì il suo cuore lasciandosi velatamente sfuggire che aveva i giorni contati.
Non potevo fare altro che ammirarla ancora di più, la dedizione con cui si immolava era qualcosa si fuori dall'ordinario coraggioso, eppure mi sembrava così ingiusto... Incarnava in tutto e per tutto il senso del dovere e di sacrificio che, a quanto pare, dovevano essere le qualità essenziali per una sacerdotessa come noi.
«E' terribile» affermai recuperando il fiore e fissandolo.
«Direi più che altro che sono fiori della morte»
«Definizione più azzeccata» ridacchiò.
«Comunque se ti piace, puoi tenerlo con te. Sono fiori che si alimentano di energie. Finchè lo terrai a contatto con il tuo corpo non appassirà» quando acconsentii lei lo recuperò dai miei palmi e lo infilò nella piega superiore del mio orecchio, spostando ordinatamente i capelli.
«Ti sta bene, sembri quasi un hent anche tu» commentò tornando a camminare davanti a me.
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