Capitolo 12 - Parte IV

Da quando eravamo entrati nella barriera riuscivo a percepire la presenza qualcuno, una creatura potente ma il suo potere non era "spaventoso", sembrava quasi accogliente.

Era come se la barriera facesse da sigillo per quella forza, in modo che nessuno da fuori potesse percepirla o trovarla.

«Che sia la dea?» domandai sorpresa.

«No» disse scuotendo la testa Xandra.

«Questo potere non è così forte da essere quello di una divinità, anzi stranamente è paragonabile ad uno dei nostri».

«Che per essere quello di un essere umano è davvero notevole» valutò Enex.

Scambiandoci semplicemente degli sguardi, decidemmo di perlustrare il luogo e di raggiungere la fonte di quel potere, ma con cautela sebbene non sembrava esserci nulla di cui preoccuparci.

Camminammo per una manciata di minuti fino a quando non ci ritrovammo in una radura senza alberi, un tappeto di fiori faceva da sfondo ad una strana formazione centrale.

Da lontano non si capiva di quale materiale fosse fatto ma era la fonte di quel potere che tutti noi sentivamo.

«Sembra un altare» commentò Macota, da quando eravamo usciti da Mirva lei era rinata, probabilmente tutta quella natura incontaminata le aveva dato una grande carica.

Ci avvicinammo a quella formazione con cautela, era composto da due parti, la parte sottostante, sembrava fuoriuscire dalla terra stessa, andava a formare una specie di grande nicchia rettangolare che abbracciava la parte superiore che era fatta di una sostanza completamente diversa.

Sembrava un involucro gelatinoso, tendente al giallo, completamente ricoperto di rampicanti.

«Che sia la nicchia della dea? Come racconta la leggenda» domandai una volta raggiunto quel misterioso oggetto.

«Non lo so» Xandra era turbata da quella visione, non riusciva a darsi una spiegazione per tutto quello e non era tipa da fare congetture campate per aria.

Cercai di analizzare il bozzo, al suo interno sembrava esserci del liquido e, per quel poco che si poteva intravedere tra un ramo e l'altro, sembrava esserci qualcosa al suo interno.

Allungai la mano destra verso involucro giallo e provai ad allargare qualche fessura per poter osservare meglio la presenza al suo interno ma, come lo toccai, si crepò.

«Venerabile, cosa avete fatto!» Xandra cercò di tirarmi a sé.

«Nulla!» non feci in tempo ad allontanarmi che la formazione esplose, fui investita dal liquido contenuto al suo interno fino a che non vidi uscire il corpo inerme di una donna.

Di istinto la presi al volo prima che potesse cadere a terra ma scivolai su quel vischioso fluido e caddi di sedere a terra.

Xandra venne subito in mio aiuto, sollevò la creatura posandola dolcemente al suolo e con una mano di tirò sù.

«Quello è l'essere sacrificale?» domandò Dix avvicinandosi come una furia.

Xandra posò lo sguardo sulla sconosciuta uscita dal bozzolo.

Aveva lunghissimi capelli biondi, un viso assottigliato e il corpo nudo, ricoperto ancora interamente da quella sostanza che sembrava non volersi separare da lei.

«Sì» rispose «Ma non respira» abbassò la testa in preda a qualche pensiero cupo.

Cercai di non farmi abbattere dalla scoperta e guardai la struttura in cui l'avevamo trovata.

Se Ginozkena l'aveva lasciata lì, in quel luogo, immersa in quel liquido, doveva aver avuto le sue ragioni.

Era come se l'avesse ibernata, lasciandola a mollo in quel liquido che probabilmente l'aveva tenuta in stasi fino a quel momento.

Mi avvicinai a lei, mi inginocchiai e con i lembi dei miei abiti le pulii il volto dal fluido. Probabilmente non respirava perché non riusciva a farlo.

Quando il volto fù libero la voltai di faccia a terra e cominciai a battere forte sulla sua schiena.

Tutti mi guardavano col fiato sospeso, non sapevo cosa stessi facendo esattamente ma tentare qualsiasi cosa non nuoceva.

Continuai a colpirle la zona tra le scapole fino a quando sentii il suo petto essere scosso dai primi colpi di tosse, dapprima impercettibili.

Le infilai subito due dita in bocca e lei riuscì a vomitare tutti i residui dal suo corpo.

Xandra mi guardò sorridendomi, eravamo tutti emozionati e quando l'essere sacrificale alzò il volto e aprì i suoi occhi cervone verso di noi, mi sentii come se avessi fatto nascere un bambino.

Il suo volto sembrava assonnato e mi fissava, come se si stesse domandando chi fossi.

«È tutto a posto» la rassicurai.

«Non vogliamo farti del male» le sorrisi per apparire più confortante.

A quel punto ricambiò il mio gesto, come se avesse compreso le mie parole, e mi abbracciò cingendomi le braccia dietro al collo.

Chiusi gli occhi, affondai la testa sul suo collo e l'abbracciai a mia volta, dentro di me sentivo crescere un'emozione che aveva cominciato a riempirmi.

Ero così serena e tranquilla... cosa mai poteva essere? Erano sensazioni così forti ma del tutto sconosciute.

«Come ti chiami?» le chiesi interrompendo quel suo gesto affettuoso.

Lei si limitò a guardarmi.

«Probabilmente si chiama Nazca» esclamò Enex.

«Nazca? E come fai a saperlo?» gli chiesi guardandolo strano.

«È scritto qui» mi rispose indicando una specie di targhetta appoggiata ai piedi della nicchia. Quando il bozzolo si era frantumato aveva trascinando con sé i rampicanti che aveva coperto ogni cosa.

Osservai Enex, era completamente sbiancato, vidi le sue mani tremare appena.

Credendo di non essere stato visto da nessuno, serrò i pugni, chiuse gli occhi e cominciò a respirare più lentamente per imporsi calma e sangue freddo.

Preoccupata mi alzai e mi avvicinai a lui per leggere anche io l'incisione.

Appena posai i miei occhi su quella scritta la traduzione di quelle parola balenò nella mia testa, vani furono i tentativi di Enex di impedirmi di vedere, ne rimasi quasi paralizzata.

Enex, dalla mia reazione, capì che era troppo tardi così posò una mano sulla mia bocca e mi costrinse al silenzio.

I suoi occhi mi guardavano con fare minaccioso, era chiaro che non voleva che rivelassi il suo contenuto.

Non potei fare altro che annuire comprendendone, in parte, la ragione.

Il suo nome è Nazca, il frutto dell'amore proibito, l'unica salvezza per quel mondo che lo ha rifiutato.

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