Capitolo 1 - Parte II
Riaprii gli occhi e accarezzai le sue braccia ricambiando in quel modo il suo gesto. Tra i nostri studi e i litigi, era da un po' che non passavamo del tempo tranquilli e mi mancava.
«Ti amo» gli risposi commossa, quell'abbraccio aveva crepato quelle barriere che l'abitudine aveva creato e ci riavvicinò.
Lui non rispose ma rimase quasi aggrappato ai miei vestiti con quell'abbraccio. Mi voltai e lui unì le nostre labbra con un bacio... Un bacio dapprima silenzioso, statico, disturbato solo dal rumore dell'infrangersi delle onde sugli scogli.
Il tempo sembrava si fosse fermato poi, tutto ad un tratto, riprese a correre insieme alle nostre labbra che si cercavano e si incontravano, come se fosse l'unica cosa importante di questo mondo.
«Aspetta» interruppi la nostra unione per prendere fiato e per far calare un po' il coinvolgimento.
«Non riuscivo a respirare» aggiunsi in risposta al suo sguardo un po' deluso. Gli sorrisi tentando di alleggerire la situazione ma all'improvviso piccole gocce bagnarono i nostri volti.
Lui, con lo sguardo basso, mi prese per mano e mi portò sotto ai pini, in attesa di comprendere se avrebbe smesso o meno.
«Peccato, era così bello» esclamò Duncan dopo aver poggiato le sue mani sui miei fianchi.
«Il mare?» gli chiesi sorpresa.
Quella sua affermazione era molto strana, lui era sempre restio ad accompagnarmi a mare.
Duncan non rispose e scaltro tornò a baciarmi.
La sua mano mi accarezzava dolcemente il volto e all'improvviso cominciai a sentire caldo. Ma non era dovuto alla temperatura, era un calore che veniva da dentro e stranamente cominciavo a non capire più nulla.
«Ahi!» esclami quando lui mi morse, sperai involontariamente, un labbro.
Quel pizzico, se così si poteva definire, mi destò e quello che vidi non mi piacque.
Ero così stordita da tutte quelle attenzioni che non mi ero accorta che Duncan si era insinuato sotto la mia maglietta, nel mio reggiseno e, lentamente mi aveva costretta con la schiena su un tronco.
«Non ci credo» urlai allontanandolo.
«Quante volte te lo devo dire?» aggiunsi sistemandomi gli indumenti.
Lui non rispose ma, in silenzio, mi guardava con il suo sguardo giocoso. Cercava di comprarmi.
«Eddai, Faith, ho capito che non sei pronta ma non è facendomi astenere completamente che risolverai la questione» esclamò tentando di avere un contatto fisico con me, ma lo respinsi ancora più forte.
«Accompagnami a casa» esclamai a voce alta «Subito» puntualizzai camminando con falcate ampie e rabbiose verso la macchina.
Entrai al posto del passeggero e aspettai che lui mi seguisse.
Ecco quale era il nostro problema, sebbene Duncan non fosse il mio primo ragazzo, era comunque il primo che tentava di avere un rapporto più intimo con me.
Ma io non mi sentivo pronta e credevo di averglielo fatto capire, dopo tutti quei discorsi e quelle liti ancora non mollava la presa, nemmeno per il tempo necessario degli esami.
Molto lentamente, vidi la figura di Duncan avvicinarsi alla macchina, entrare e, cosa per niente da lui, in silenzio guidare verso casa.
Poco prima di imboccare la via di casa accese la radio e, in sottofondo, partì la nostra canzone. Sembrava quasi un segno del destino... fino a quando non notai che la musica non proveniva da una stazione radio ma era in riproduzione da un CD.
Questo era Duncan, era il tipo di persona che la fortuna se la crea, ma fino a che punto si sarebbe spinto per ottenere quello che bramava?
A quel punto, indispettita, non mi lasciai ammorbidire e, senza neanche salutarlo, entrai dentro casa sbattendo la portiera della sua adorata auto.
«Bentornata, Faith!» sentii la voce di papà urlare dalla cucina appena solcai la porta.
«Ciao papà» risposi semplicemente, dovevo cercare di reprimere il mio dissenso altrimenti mio padre mi avrebbe fatto il quinto grado fino a farmi sputare il rospo.
«Sei uscita senza ombrello?!» mi chiese venendomi a soccorrere come una mamma chioccia.
«Sì, non ti preoccupare vado subito a farmi la doccia» così dicendo scappai dalle amorevoli grinfie di mio padre e mi buttai sotto il getto d'acqua calda.
Sia per levarmi l'umidità da addosso che per per rilassarmi un po'.
Quella tensione con Duncan chiudeva il bel quadretto dei problemi della mia vita.
Un'ora abbondante dopo uscii dal bagno e guardai le notifiche del telefono, Katy mi aveva telefonato da poco.
Era proprio incredibile, Katy non si smentiva mai! Tutte le volte che litigavo con Duncan mi cercava per parlare... neanche se lo sapesse che avevo bisogno di parlare con lei.
Mi chiusi in camera e sdraiata sul letto le telefonai.
«Ciao, Faith!» esordì lei.
«Ciao, Katy! » le risposi con tono depresso.
«Scusa se ti ho disturbato a quest'ora, hai già mangiato?» mi domandò subito.
«No, ancora no. Stamattina alla fine sono uscita con Duncan e quando sono tornata mi sono buttata direttamente in doccia» le risposi cercando di captare qualche rumore dalla cucina.
Di solito per pranzare aspettavamo il ritorno dal lavoro di mia madre, e non si riusciva mai a mangiare prima delle due.
«Che cosa è successo? Avete litigato?» mi domandò pensierosa.
«Sì... e sempre per le stesse cose» incominciai ad accennare ma a quel punto sentii mia madre chiamarmi dalla cucina: «Sono arrivata! Faith, scendi che è pronto!»
«Devo andare, che scatole! Ci sentiamo più tardi» la salutai e chiusi la telefonata. Velocemente indossai qualche indumento per scendere a tavola e pranzai insieme a mamma e papà.
«A proposito, Faith!» esordì papà mentre sbucciava la frutta per tutti «Ma alla fine quando ti ha segnato l'appuntamento lo psicologo?» mi domandò curioso.
Io riflettei un attimo, la memoria in quei giorni faceva un po' cilecca.
«Non era oggi se non mi sbaglio?» aggiunse la mamma alzandosi con i piatti sporchi tra le mani.
«Oggi?» pensai ad alta voce... «Sì! Era oggi alle quattro e mezza!» dicendo questo guardai l'orologio. Era già tardissimo!
Presi l'ultimo pezzo di mela e mangiando mi asciugai i capelli in stanza. Mi cambiai e poco dopo ero pronta.
«Io sono pronta, qualcuno può accompagnarmi?» domandai ad entrambi i miei genitori che nel frattempo si erano accomodati sul divano.
Alla mia richiesta si guardarono tra di loro, come se stessero facendo a tocco mentalmente.
«Eh dai, si fa tardi! Ricordate, chi ha insistito per farmi andare dal dottor Arker?!» sollecitai una risposta con la tipica tecnica da figlio.
«Eh va bene» cedette mio padre.
«Ti accompagno io» disse alzandosi e recuperando il mazzo di chiavi da sopra al mobiletto vicino alla televisione.
In meno di venti minuti mi trovavo già davanti al citofono dello studio. Suonai e la porta si aprì con un sottile rumore.
«Signorina Malone! Tardi come al suo solito? Il dottore la stava aspettando» ironizzò la segretaria, non avrebbe potuto fare tanto la splendida se fossi stata la Faith di sempre... con un po' di vergogna mi diressi verso la stanza dove si tenevano i colloqui.
«Io ti aspetto qui» mi fermò mio padre. Dopo un mio cenno di assenso mi lasciò andare e si accomodò tranquillo su una sedia della sala d'attesa, stiracchiandosi un po'.
Molto più rilassata della prima volta raggiunsi il dottor Arker che mi aspettava seduto sulla sua poltrona di pelle.
«Buon pomeriggio, Faith» esclamò indicandomi, con un gesto della mano, di sedermi sulla poltrona reclinata. La sua voce era posata e profonda.
«Buon pomeriggio» risposi poggiando giacca e borsa sull'attaccapanni. Notai subito che il dottore aveva calato l'intensità della la luce per aiutarmi a rilassarmi.
«Hai spento il telefono?» mi domandò, la sua voce diventava sempre più regolare.
«Si, ho fatto i compiti oggi» esclamai sedendomi, quella poltrona era così comoda che avrei potuto risolvere i miei problemi di insonnia se solo avessi potuto passarci una notte sopra.
«Perfetto, adesso, prima di cominciare, volevo che parlassimo della settimana che hai passato, tutto a posto? Qualcosa ti ha turbato o innervosito?» mi domandò scostando gli occhiali dal naso.
Il dottor Arker, quel giorno, sembrava particolarmente stanco.
Di solito, nonostante la sua età, si mostrava sempre ben curato e tirato a lucido ma, quella volta, sembrava decisamente più umano e non mi dispiacque... incominciavo a prenderlo in simpatia.
«Sì, diciamo di sì» cominciai biascicando un po' le parole. Era una cosa di cui mi irritava discute ma, in fondo, i miei genitori pagavano lo psicologo per farmi esternare le cose più difficili da dire...
«Raccontami tutto» mi incitò, focalizzando lo sguardo su di me.
«Stamattina ho avuto un'altro di quei vuoti, mi stavo preparando per andare a scuola, sono sicura di aver visto l'orario dal telefono quando mi sono svegliata ed erano quasi le otto... il tempo di prepararmi e aggiustarmi davanti allo specchio e improvvisamente erano le dieci e mezza» incominciai dal principio, il mio interlocutore mi ascoltava con un discreto interesse appuntandosi di tanto in tanto qualche concetto sul taccuino.
«A quel punto ho rinunciato e ho deciso di vedermi un po' con Duncan, in questo periodo il nostro rapporto è un po' teso per colpa dei rispettivi esami, così ho pensato di staccare per distarmi. Ma lui mi ha rovinato tutto come al suo solito, che ci possiamo fare... è fatto così!» tagliai corto cercando di minimizzare l'accaduto, speravo di non dover approfondirne il motivo.
«Immagino, già la giornata non era una delle migliori poi se ci aggiungiamo la variabile fidanzato» esordì con qualche pausa «E dimmi, cosa ha fatto per rovinare l'appuntamento?» aggiunse... ecco era la domanda che volevo evitare.
«Mentre ci baciavamo lui si è lasciato coinvolgere troppo e ha provato a toccarmi il seno» detta ad alta voce non sembrava poi così grave. Lui sorrise mentre tentavo di nascondere il mio imbarazzo.
«In realtà mi ha alterato più la frase che ha detto quando l'ho allontanato. "Ho capito che non sei pronta ma non è facendomi astenere completamente che risolverai la questione"» le ricordavo perfettamente quelle parole, mi avevano ferito.
«Faith... per un attimo fai finta che io sia un tuo amico, un pò attempato» incominciò il dottore esternando confidenza «Da una parte non si può biasimare il suo comportamento certo, avrebbe potuto utilizzare parole meno dirette ma ormai sei grande. Più procrastini, più passeranno gli anni e più sarà difficile e traumatizzante affrontare l'intimità con il sesso opposto» si fermò e io approfittai per prendere parola.
«Non è che voglio rimandare ancora è che vorrei poterci arrivare senza il caos degli esami... » cercai di fargli comprendere come la pensavo
«E sopratutto non di certo in un luogo pubblico!» aggiunsi.
Il dottore mi guardò per un secondo, sembrava indeciso su come ponderare le parole.
«Non ti dico che devi buttarti tra le sue braccia e consumare, ma incomincia a sperimentare altre sensazioni, altre emozioni. Non sarai mai pronta per fare tutto insieme. Proprio come lui deve essere paziente, che non puoi dargli subito tutto quello che vuole. Dovete provare a venirvi incontro, per il bene di entrambi. Mi pare di aver capito che in quasi un anno non abbiate fatto nessun progresso al riguardo»
«No» annuii «Ma ho il timore che se per caso mi lasciassi andare, lui non si fermerebbe » aggiunsi.
«Hai mai pensato di parlagli? Spiegagli queste tue paure e prova a patteggiare» mi domandò ma io lo guardai perplessa.
«Tu proverai a lasciarti andare ma lui dovrà rispettare i tuoi paletti, altrimenti chiuderai di nuovo il rubinetto» aggiunse imitando il gesto di chiudere un rubinetto a manovella. Sorrisi, per essere un uomo di mezza età il dottor Arker era simpatico ed aperto mentalmente.
«Ci proverò» sebbene i miei timori, ho sempre voluto aggiustare, in qualche maniera, questo aspetto della nostra relazione. Ormai da quando stavamo insieme era difficile non pensarci.
«E' tutto?» mi domandò tornando serio ma impaziente
«Sì, a parte i vuoti e l'insonnia, la settimana è proseguita normale»
«Insonnia?» mi chiese, era un sintomo che si era aggiunto soltanto quella settimana e non avevo ancora avuto il tempo di parlargliene.
«Sì, è da un paio di giorni che non riesco ad addormentarmi. Quando mi metto sul letto vengo presa d'assalto dalle paure più stupide oppure mi sento sopprimere da un'inquietudine che risale dal mio profondo» tentai di spiegargli.
«Allora è il caso di procedere con la seduta di ipnosi. Come ti ho detto l'ultima volta, con questa tecnica è possibile scavare nel tuo inconscio attraversando il tuo subconscio per trovare le radici di queste paure. Ci basterebbe anche solo capire il momento esatto in cui sono cominciati i disturbi per poter elaborare sulle eventuali cause e i possibili metodi di risoluzione» mi spiegò, io annuii e sospirai.
«Ma per arrivare al nostro obiettivo, è necessario che tu ti fida di me» aggiunse continuando il discorso «Ti fidi di me, Faith?» mi domandò.
«Sì» esclamai abbastanza decisa.
Era ora di affrontare e superare quella mia crisi.
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