Privazione di libertà
"Sarai monaca nel monastero di Sant'Agnese".
Le parole di mio padre sono dure come il piombo e mi trafiggono il cuore.
Monaca. Monaca?!, Io?!, la mia vita rinchiusa in quattro mura?!, Mai!.
Vorrei replicare, vorrei dirgli che non voglio, che voglio vedere il mondo, sentirlo, toccarlo... ma niente, nessun suono esce dalla mia bocca.
Forse sono troppo stupita per parlare.
"Dovresti essere felice, figliola cara, essere Sposa di Cristo è un privilegio riservato solo a poche, perdi più entrerai nell'ordine di cui porti il nome, e che la tua defunta madre, che Dio l'abbia in gloria, ha scelto per te".
La fa facile lui!, non saprà mai a cosa mi ha condannato.
Mi sforzo di sorridere, ma è un sorriso forzato e finto.
"Così mi piaci, ora va a prepararti per la notte, domani andremo al monastero".
Faccio un inchino e lascio la stanza, una volta chiusa la porta corro e lascio che le lacrime mi scendano lungo il viso.
Arrivata in camera mia mi butto sul letto e piango ancora di più.
Ecco qual era il mio destino, dovevo immaginarmelo: tre figlie date in sposa e la quarta fattasi monaca.
Bene. Che bel destino. Chiusa in convento per il resto della mia vita.
Bene davvero. Quanto vorrei mandare a farsi fottere tutto il mondo che mi ha riservato questa fine per un secondo.
Ma non posso, non è così che mi hanno educata.
Sento bussare.
"Madamigella Clarissa posso entrare?".
È Diana, la mia serva.
"Si Diana entra pure".
Lei entra, con la sua pancia in mostra.
È incinta, e io non porterò mai un bambino dentro di me, il mio ventre non accoglierà mai la vita.
Il mio corpo resterà incontaminato, sarò vergine consacrata a Dio.
"Madamigella è pronto il bagno".
Mi alzo e vado in bagno.
"A quanti mesi sei?".
"Otto, madamigella".
"Ed è maschio o femmina?".
"Maschio madamigella, abbiamo deciso di chiamarlo Francesco dopo il pellegrinaggio ad Assisi".
"Bel nome".
Riesco a strapparle un sorriso.
Mi spoglio ed entro nella vasca d'acqua calda.
Chiudo gli occhi e penso alla mia vita:
quarta figlia di un nobile perugino, uscita dopo tre femmine e un maschio primogenito, chiamata Clarissa in onore all'ordine fondato da Santa Chiara a cui mia madre era devota.
Non mi ha chiamato Chiara perché lei si chiamava così; che ironia, Chiara e sua figlia Clarissa.
Mia madre scomparsa quando avevo tre anni, tre sorelle viste datosi in sposa a nobili signori e mio fratello a una ricca fanciulla.
Gabriele, Beatrice, Diamante, Eleonora, mi mancate fratelli miei.
Un' infanzia passata tra le vie di Perugia, fra oliveti e le dolci colline umbre.
Fino ad oggi.
Mi doveva sembrare strano che con l'arrivo della pubertà mio padre non avesse incominciato a fare accordi con altre famiglie nobili o che non arrivassero pretendenti a chiedere la mia mano, che ingenua che sono stata.
Stupida, sciocca ragazzina troppo immersa nelle favole.
Ma la vita non è mai come una favola, ricordatelo Clarissa, crescere troppo cullati dalle favole a volte può fare male.
Tanto.
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Il monastero ha mura chiare irrorate di sole.
È bello, carino, piccolo, ma non è la casa che voglio io.
"Ammiralo bene bambina cara, questa sarà la tua futura casa".
"Si padre".
Entriamo.
Ad accoglierci c'è una donna dal volto impassibile: deve essere la badessa.
"Messer degli Angeli". Ha una voce possente.
"Suor Clotilde". Dice mio padre. "Lei è la mia ultima figlia, Clarissa, di cui vi ho parlato".
"Certo messere". Lei mi guarda, ha uno sguardo di ghiaccio che sembra che mi guardi fin nei meandri dell'anima.
"Cara figliola, oggi entrerai in questo monastero come novizia fino a che non prenderai i voti e vorrai essere Sposa di Nostro Signore, vieni".
Guardo mio padre, mi sorride.
Arrivederci padre, ci rivedremo solo ai miei voti.
Entro, la badessa mi conduce in una stanza dove ci sono una sedia e altre due monache.
"I tuoi capelli verranno tagliati come segno di penitenza, loro sono simbolo di vanità e emblema della bellezza femminile, ma presto capirai che la vera bellezza si ottiene attraverso la preghiera, il pentimento e la penitenza".
I miei capelli, i miei bellissimi capelli castani, se Dio ce li ha dati un motivo ci sarà, non di certo quello di toglierceli così.
Mi siedo, in queste occasioni una fanciulla deve ubbidire, chinare il capo.
Ubbidienza, fede alla famiglia, ecco in che mondo sono cresciuta.
La forbice comincia a passare sul mio capo.
Che suono fanno i capelli che cadono, con loro cade la mia libertà.
Comincia a tagliare.
Una ciocca, due, tre, fili castani che cadono su un freddo pavimento di pietra.
Alla fine ho i capelli corti.
Mi fanno indossare un saio, una corda, e la cuffia delle novizie.
Entro nel monastero.
Ora sono solo una ragazzina in un ruvido saio più grande di lei, cinta da una corda, con i capelli corti e due occhi verdi che cercano la libertà.
Ma l'unica cosa che vedono prima che le porte si chiudono è una rondine che vola nel cielo.
Perlomeno quella rondine non ha dovuto piegare il capo davanti a nessuno, e ora è qui che vola libera in grande cielo azzurro.
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