60. Ben e Regine (rev.02)

Sapeva che quella che stava per prendere rischiava di rivelarsi la peggiore decisione della sua vita, eppure non poteva farne a meno.

Aveva raggiunto il limite delle rinunce, in nome di un non dire forzatamente imposto. Era stanco di sacrificarsi per il bene altrui, senza veder poi raggiungere lo scopo auspicato; doveva fare qualcosa per sé, ne aveva la necessità e non voleva rinunciarvi.

Si augurava di trovarla in casa. Dubitava che l'Azienda avesse messo qualcuno alla sua porta o qualche vedente a tenere lui sotto controllo. E nel caso remoto in cui l'avessero visto, avrebbe fatto ricadere tutta la colpa su di sé, come d'abitudine.

Trovò la porta dell'androne del palazzo aperta e il custode momentaneamente distratto a guardare un piccolo schermo TV nell'angolo della sua postazione. Salì silenzioso le scale e arrivato al terzo piano, batté il pugno un paio di volte sulla porta rosso mattone. Un attimo dopo, lei aprì.

"Stai bene?" chiese Ben a Regine, lasciando andare tutta la preoccupazione che aveva serbato per lei fino a quel momento.

La donna, per nulla sorpresa, annuì in risposta; il suo volto e il suo essere, specchio di puro compiacimento, come se avesse atteso quell'attimo troppo a lungo.

"Tu?" gli chiese poi di rimando.

Ben la fissò intensamente negli occhi, varcò la soglia d'impeto e dopo averle preso delicatamente il viso tra le mani, la baciò con ardore.

Regine si lasciò andare a sua volta, a quell'incredibile sensazione di appagamento cui si era abituata in quei mesi trascorsi a tentare di fingere di essere quello che non era. Ma in quel momento, avvolta dal calore di quel gesto così vero, non poté che essere sé stessa.

Lasciò che Ben la guidasse, senza staccare le labbra dalle sue, fino a trovare il tavolo della cucina; non riusciva a smettere di volerla, né lei voleva privarsi di lui.

Guidò le sue mani sotto la sua gonna, a sollevarla, invitandolo a proseguire fino a ritrovarsi seduta.

Fu lei a slacciare avidamente i suoi jeans e ad accompagnarlo nel conseguente e istintivo gesto che, tra loro, era diventato così naturale.

La sensazione di appagamento fu da subito, per entrambi, come tornare a respirare dopo un'apnea interminabile.

Ben era totalmente rapito nel cogliere ogni minima sfaccettatura del godimento che poteva leggere in lei: sbalzi così privi di freni, per lui, erano ondate incontrollate di piacere, un raro attimo in cui il sentire gli provocava una reazione unica, in cui poteva abbandonarsi completamente alle emozioni che, di norma, era costretto a controllare.

Regine era bellissima, persa nel godimento dato dalla congiunzione dei loro corpi.

Le baciò il collo, le guance, le labbra, stringendole le cosce, spingendo, per sentirla sempre più vicina; la vista ebbra del piacere che leggeva con gli occhi ma soprattutto che sentiva dentro.

Quando percepì farsi prossimo l'apice in lei, chiuse gli occhi e si preparò a vibrare del riflesso della sua energia.

Regine esplose di piacere, stringendo le mani dietro la schiena di Ben, a impedirgli di allontanarsi, ora che quel calore famigliare le stava riempiendo l'anima.

Lui la guardò godere ogni frazione di quel momento e quando lei, ansimante, incrociò nuovamente il suo sguardo, con un sussurro, Ben pronunciò parole che non si era mai concesso di dire a nessun'altra:

"Ti amo, Regine."

Quella confessione così sincera, smorzò di colpo lo sbalzo marcato dato dall'orgasmo, deviando l'energia di lei verso un sentimento rimasto sopito per anni, quasi dimenticato del tutto.

Regine non rispose; non ne aveva bisogno. Lui sentì e 1ì, occhi negli occhi, le loro energie divennero una, unite nel naturale trasporto dato da quel sentimento capace di far vivere e morire con eguale facilità.


Fecero l'amore a lungo, mossi dallo stesso trasporto e dalla stessa intensità, perché sapevano che quella sarebbe stata la loro ultima volta.

Scelsero però di non parlarne, per non rovinare il ricordo di quell'ultimo momento insieme.

Nel letto, Regine era stretta nell'abbraccio di Ben, i capelli ramati sparsi, una mano sul petto di lui a sentirne il respiro, ora tornato regolare.

Ben fissava il soffitto di quella stanza che non avrebbe mai più rivisto. Provava un dolore nuovo, mai provato prima. Lo stesso dolore che sentiva anche in lei; faceva male, più di qualsiasi onda di energia che il suo corpo avrebbe mai potuto ricevere.

"Sapevi fin dall'inizio che era stata l'Azienda a mandarmi" disse lei senza togliere la guancia dal suo petto.

"Avevo dei sospetti, ma ho scelto di rischiare."

"Perché?"

"Volevo provare."

"Cosa?"

"A essere normale."

Rimasero in silenzio un istante, persi nell'eco del significato profondo di quella semplice parola.

"Conoscere davvero una persona, provare a raccontarle di me, condividere qualcosa, intendo."

"Condividere anche il dolore?" chiese lei, memore delle parole di Larsen.

"L'ho sentito Regine, sì. Non avrei potuto non sentirlo. È brutto da dire, ma forse è stato proprio il tuo dolore a infondermi il coraggio di provare a fidarmi."

"Non avresti dovuto."

"Non mi pento di aver provato."

Regine si strinse maggiormente nel suo abbraccio; Ben le baciò la nuca.

"Quando lo hai capito? Che ti stavo mentendo?"

"In realtà non mi hai mai davvero mentito, forse solo all'inizio, quando ti sentivo più fredda e distaccata, quando da brava psicologa cercavi di leggermi tra le righe..." rispose lui con fare ironico.

Regine sorrise a sua volta.

"I sentimenti sono un ventaglio complesso di emozioni più o meno segnanti" riprese lui. "Non sono in grado di cogliere tutte le sfaccettature solo da una conoscenza superficiale. Ma se trascorro abbastanza tempo con qualcuno, riesco poi a vederle chiaramente."

Regine si mise prona, la schiena nuda, l'arco sensuale coperto all'altezza delle natiche, gli occhi sul volto di Ben che adesso, la guardava a sua volta.

"All'inizio, subito dopo la freddezza, ho percepito la costrizione. Quando ci sforziamo di fare qualcosa contro la nostra volontà, si crea una tensione sulla nostra energia. L'ho percepita in tante risposte che mi hai dato sulla tua vita privata e l'ho avvertita chiaramente la prima volta in cui ho provato a baciarti... per questo non ho insistito" spiegò lui sfiorandole la guancia. "L'ho risentita dopo, quando ho cercato di andare oltre il bacio e alla costrizione si è aggiunto il senso di colpa. A quel punto ho messo tutto da parte. Il sospetto che ti avesse mandato l'Azienda era quasi una certezza ma quel senso di colpa... volevo capirlo, più a fondo. Stavi bene con me, eppure lui restava. C'entrava un uomo, ma non sono riuscito a capire quale parte della tua storia fosse vera."

Regine distolse improvvisa lo sguardo; le dita a tormentare il labbro superiore della bocca nell'incertezza della risposta.

"Sono stata sposata, era la verità. Ma mio marito non mi ha lasciata lui è... morto."

Ben avvertì nettamente la ferita di lei riaprirsi, ma percepì anche il suo controllo; lasciò che proseguisse.

"Fu colpito durante uno scontro tra vedenti e istigatori, mentre tornava a casa. Mi dissero che venne coinvolto in una sparatoria. Non seppi la verità fino a quando l'Azienda non bussò alla mia porta. Da allora, lavoro per loro. Credo pensassero che l'odio che avrei dovuto provare verso gli istigatori mi avrebbe reso una dipendente migliore, fedele e malleabile e invece..."

"Lo amavi, molto" disse Ben certo di quanto sentito, "per questo il tuo dolore è tanto grande e il tuo senso di colpa è cambiato dopo che abbiamo fatto sesso la prima volta."

"Sì" confessò lei senza battere ciglio. "L'ho amato così tanto che non riesco a smettere di sentirne il vuoto, dentro. Il soffrire per la sua perdita è ormai parte di me, come un tributo che mi sento di dover dare al suo ricordo. Tu dovevi essere solo lavoro, ma eri così incredibilmente vero: ho ceduto, ho provato di nuovo qualcosa e mi sono sentita in colpa."

Come a scacciare quel ricordo, si mise a sedere standogli di fronte, senza preoccuparsi di coprirsi, i seni in parte nascosti dai lunghi capelli ramati; Ben non poté esimersi dal contemplare il suo corpo, seppur per una frazione di secondo.

"Quanto di vero c'era in quello che mi hai detto?" gli chiese poi.

"Ti ho parlato solo di cose sulle quali non avrei avuto bisogno di mentire" rispose Ben sincero.

"Quanto di vero c'era in quello che provavi per me?" azzardò lei seria.

"È davvero così importante?" ribatté lui tornando a fissare il soffitto.

"Sì, Ben. Voglio poterne tenere il ricordo, se fosse vero" insistette lei.

"E se non lo fosse?" proseguì lui mettendosi a sedere, schiena al muro "Sarebbe più facile dimenticare ed evitare di aggiungere altra sofferenza al tuo dolore."

"Non sono una vedente, non posso avere la certezza, ma tu non puoi essere quello che descrivono gli altri. Ben Wigan è come ho avuto la possibilità di vedere io: un uomo sensibile, premuroso, generoso. Un uomo buono" esternò lei con convinzione.

"La mia scheda dice sicuramente che sono anche bravo a mentire con le emozioni" tagliò corto lui, quasi a disagio.

"Sei bravo a nasconderle, ma è il tuo modo di difenderti dagli altri. E con me non ne avresti il motivo..."

Lei lo aveva capito, come il signor Cohen prima di lei.

"Sai cos'è il condizionamento?" le chiese Ben serio.

"La capacità dei vedenti di far percepire le proprie emozioni agli altri vedenti" rispose Regine.

"Non proprio, è la capacità di far provare agli altri le nostre stesse emozioni. Se queste sono particolarmente intense, persino i normali le possono sentire. È il motivo per cui ci insegnano a mantenere il controllo, altrimenti, finiremmo con il condizionare ogni essere vivente che ci circonda."

"Trattenete sempre le emozioni, quindi?" si stupì lei. "Non siete mai liberi di essere del tutto voi stessi..."

"In un certo senso, sì. Anche se ci sono momenti in cui è particolarmente complesso trattenerle e cedere al libero sfogo è decisamente d'obbligo..."

Regine capì immediatamente a quali momenti stesse alludendo.

"Il sesso per un vedente è un momento tremendamente liberatorio" disse Ben con il suo mezzo sorriso.

"Sono certa che quello che provavo, in quei momenti, venisse da me" replicò Regine confusa.

"Sì, è così" la rassicurò. "Per me è stato veramente difficile, ma sono sempre riuscito a trattenere i miei sbalzi, non ti ho mai condizionato."

"Perché?"

Ben, punto sul vivo, si trovò in imbarazzo. Avrebbe voluto ardentemente una sigaretta ma anche confessare la verità poteva farlo sentire meglio, lo sapeva bene.

"Perché quando faccio sesso con te è diverso rispetto a quando lo faccio con le altre" disse in un solo fiato. "Provo qualcosa di più forte, oltre al puro coinvolgimento fisico, per questo non voglio condizionarti."

"Provo già quel qualcosa in più, Ben" lo rassicurò lei, poggiando la sua mano su quella di lui.

"Ma se sentissi davvero quello che sento io, poi, ti sarebbe impossibile dimenticarlo. La tua energia si legherebbe quella sensazione per sempre" ribatté lui sciogliendo l'intreccio di dita.

"Ma io non voglio dimenticarti, Ben" gli disse Regine sporgendosi fino a portare le labbra a pochi centimetri dalle sue. "Voglio sentirti. Lasciati andare per me, ti prego."

Le loro bocche si unirono nuovamente, in un impeto carico di desiderio. Ben l'aiutò a posizionarsi sopra di sé, incontrando facilmente l'incastro naturale dei loro corpi. Regine iniziò a muoversi, assecondando il moto del bacino di lui, un movimento lento e profondo, che dava brividi di calore e riempiva la mente di fantasie che andavano assecondate.

Regine era rapita dall'estasi di quel piacere, quando iniziò a sentire qualcosa di simile a ciò che stava provando, eppure, se possibile più intenso, a tratti rude e selvaggio. Sentì crescere la propria eccitazione, rivestita da quella sensazione che ora era certa di non provare direttamente, ma che la stava riempiendo ugualmente, come se fosse sua.

Capì che doveva venire da Ben, che sotto di lei, a differenza del solito, non era preso dalla contemplazione del suo volto bensì, a occhi chiusi, era abbandonato finalmente a liberare il proprio piacere verso di lei.

Era un calore forte ma non bruciante, che inebriava il suo corpo e i suoi sensi. Presa da quell'attimo così carico, Regine iniziò a muoversi sempre più velocemente, spinta da una sete di desiderio ora alimentata da due fonti convergenti.

Arrivò in breve al suo culmine. Il piacere esplose dal suo intimo facendola tremare.

Sentiva Ben pulsare dentro di lei, in ogni parte del suo corpo, lo avvertiva persino nella testa. Era una sensazione potente e indescrivibile. Quando Ben raggiunse il suo apice, lasciandosi andare completamente, l'energia di lui la percorse nell'intimo, provocandole un orgasmo senza precedenti.

Fu quello che percepì dopo, mentre abbandonata sul corpo di Ben riprendeva fiato, a farle capire ciò che lui sentiva davvero per lei: scemato lo sbalzo istintivo, dovuto all'attrazione meramente fisica, fu in grado di percepire l'intensità di un trasporto, di un rispetto, di una devozione, che solo un sentimento era in grado di dare.

Chiuse gli occhi e lasciò che lui percepisse, di rimando, quello stesso sentimento che, ormai, avrebbero faticato entrambi a tenere solo in ricordo.

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