53. Sam (rev.02)
Sam Mellow era chiuso in casa da tre giorni. A lavoro si era dato per malato e subito dopo aveva staccato il cellulare; non voleva avere a che fare con nessuno, di certo, non nell'immediato.
Quanto accaduto tre giorni prima in ufficio, era qualcosa di assolutamente inspiegabile eppure, anche se non sapeva come, era certo che quanto successo fosse dipeso da lui e da lui soltanto.
Da quando era rientrato da lavoro dopo quell'episodio, non era più riuscito a chiudere occhio, se non per un paio di ore a notte.
Trascorrendo così tanto tempo nel suo appartamento, si era reso conto di quanto fosse diventata sregolata la sua vita da quando Kelly l'aveva lasciato. In quei giorni di isolamento, si era finalmente accorto delle pile di piatti sporchi abbandonati in un cumulo nel lavello della cucina, dei cartoni della pizza impilati sul mobile dell'ingresso, dei vestiti sparsi per il salotto corredati da lattine di birra e bicchieri vuoti, che avevano contenuto alcolici che nemmeno ricordava di essersi versato.
Aveva amato Kelly, aveva dato tutto sé stesso per lei e dopo dodici anni trascorsi insieme, lei si era resa semplicemente contro di non amarlo più.
Sam sapeva di non essere l'uomo perfetto ma negli anni, passando da adolescente ad adulto, ne aveva fatti di passi in avanti per migliorarsi. Per lei, aveva anche iniziato un lavoro che mai avrebbe scelto: un impiegato è meglio remunerato di un grafico a corto di clienti paganti, gli aveva detto lei. Così, chiusa la sua infruttuosa attività, aveva intrapreso la carriera che lei aveva scelto per lui.
Per Kelly aveva cambiato anche abitudini. Aveva iniziato a mangiare meglio e ad andare in palestra, lui che era un cultore del divano post lavoro e del cibo spazzatura servito davanti alla tv del salotto.
Lei era decisamente l'opposto di lui, così splendida e perfetta, ma era proprio quello il motivo per cui Sam non poteva farne a meno: senza Kelly non riusciva più a vedere il bello che lei aveva tirato fuori da lui.
Se ne era andata da una settimana. Aveva mandato suo fratello Bob a prendere le sue cose: tutti i ricordi di una vita insieme gettati in freddi scatoloni che forse non avrebbe mai riaperto.
E quando Sam era rimasto solo in casa, senza alcuna traccia di lei a farne sentire la presenza, era in quel momento che dentro di lui qualcosa aveva iniziato a farsi sentire. Si sarebbe aspettato una sensazione di vuoto, tipica dell'abbandono, invece ciò che iniziò a muoversi in lui fu un insolito desiderio di vendetta che incredibilmente gli sembrò infondergli la forza di tornare a camminare a testa alta. Fece autoanalisi, per interpretare la propria reazione emotiva, rendendosi poi conto che, nonostante tutto, nonostante l'amore, era odio quello che lo alimentava.
Iniziò lentamente, partendo dal ricordo di Kelly, dall'analisi di tutti quelli che in lei aveva sempre visto come pregi, tramutandoli lentamente nei peggiori difetti, rendendola, poco alla volta, indigesta perfino al ricordo.
Quella sensazione iniziale di autocommiserazione, si era tramutata nella convinzione di doversi sentire superiore: non doveva niente a Kelly, anzi, era lei a dovergli molto. Lui per lei era diventato un uomo diverso, aveva rinunciato a tutto e lei lo aveva mollato senza pensarci due volte.
Il problema fu quando iniziò a vederla in particolari di altre donne che lo circondavano: una cascata di capelli ricci, il taglio di un abito troppo simile a quello che lui le aveva regalato, il modo di ridere, il tono della voce, il modo di guardarlo. Finì con il portare quell'odio nel posto in cui passava più ore al giorno, arrivando, senza rendersene conto, ad alimentarlo alla sola vista delle colleghe del suo stesso piano.
La situazione si era aggravata quando, esattamente tre giorni prima, aveva ricevuto un messaggio di Kelly, in cui lei gli chiedeva di poter riavere il costoso set di mazze da golf che gli aveva regalato.
Aveva sempre odiato quello che nemmeno riteneva annoverabile tra gli sport, ma si era annoiato in quelle lunghe attese al pascolo sotto il sole, solo per accontentare un capriccio di lei.
Un regalo poi non si poteva chiedere indietro: se Kelly lo aveva fatto significava che lo reputava meno di niente. Dopo aver lanciato il cellulare sulla scrivania, aveva lasciato salirgli quel bollore tossico fino al cervello, desiderando che lei riconoscesse le sue colpe perché lui era la vittima, lui meritava scuse, per un trattamento che non avrebbe mai augurato a nessuno.
Quanto avrebbe pagato per sentirla supplicare il suo perdono...
Nell'ufficio open space che condivideva con una quarantina di colleghi, di norma, la confusione era all'ordine del giorno: il brusio delle conversazioni telefoniche, l'incedere ritmico e incessante delle tastiere, il vociferare tra le fila delle scrivanie così tutte uguali, fu improvvisamente sovrastato da qualcosa di mai sentito prima lì dentro.
Una ad una le colleghe di Sam si erano accalcate intorno alla sua postazione, le lacrime agli occhi, le voci rotte dal pianto. Tutte gridavano il suo nome implorandone il perdono.
Tessa Mars aveva appena ricevuto una strana chiamata da Virgil Bates: a casa di Matt Robbins, il ragazzino che aveva istigato tutta la sua classe, era accaduto ciò che il suo mentore aveva definito l'impossibile.
A una cinquantina di chilometri, lei e Billie J. stavano per incontrare un ragazzo che sembrava aver istigato, senza essere istigato, un consistente numero di colleghe.
"Non ci posso credere..." commentò ansimando il corpulento neutrale dalla pelle olivastra, "una cazzo di volta che vado in missione, deve proprio capitarmi il palazzo con l'ascensore fuori servizio?"
Tessa fermò il passo fasciato da un paio di stivali a zeppa in pelle lucida e si voltò verso il compagno.
"Sono solo tre piani J." disse con sconcerto, i grandi occhi neri immobili a fissarlo con disappunto.
"E dopo tutta questa fatica, chi ci dice che quello aprirà la porta?"
"Ma mi hai vista?" fece lei con fare da vamp, riprendendo la salita. "Nessuno può resistermi."
Billie J. si perse per un istante a osservare il movimento del fondo schiena di lei, avvolto nei leggins di pelle consunta. Forse, non aveva tutti i torti, si trovò a pensare.
"Mi stai guardando il culo?" gli chiese lei senza voltarsi.
"No!" rispose lui colto alla sprovvista, trattenendo uno sbalzo troppo evidente.
Tessa sorrise limitandosi a mostrare il dito medio.
"Cosa dobbiamo dimostrare esattamente con questo qui?" riprese poi Billie J. riferendosi all'inquilino del quarto piano.
"Vedere se anche lui è strano come quel ragazzino delle superiori" sembrò ripetere lei.
"E cosa dobbiamo fare esattamente?" chiese l'uomo una volta davanti alla porta di Sam Mellow.
"Lascia fare a me" gli rispose Tessa calma, facendogli l'occhiolino.
Dimostrava sicurezza, come suo solito, ma in quel momento, se Billie J. si fosse sforzato di sentirla, si sarebbe reso conto della tensione che albergava in lei.
Virgil le aveva detto quanto era successo a lui e Jamie durante l'incontro con Matt Robbins e aveva anche pronunciato un nome, il nome di qualcuno che lei non aveva mai avuto l'onore o la disgrazia di incontrare davvero, qualcuno di cui le era giunta la nomea ma che era impossibile potesse essere lì; per certo, non poteva essere in due posti, a chilometri di distanza, allo stesso tempo.
Suonò il campanello e attese. Suonò ancora, premendo il tasto più a lungo. Sapeva che lui era lì, lo sentiva.
Al terzo tentativo, udì una voce maschile intimare di andarsene. Sapeva cosa fare e per farlo poteva agire anche stando fuori dalla porta.
"Sam Mellow?" chiese senza però ottenere risposta. "So quello che ti è successo in ufficio."
Dopo qualche attimo di silenzio, risentì la voce maschile farsi avanti.
"Chi sei?"
Ora anche lui era, come lei, a pochi centimetri dalla porta.
"Non importa chi sono io, ma avrei bisogno di capire chi sei tu" riprese Tessa, una mano sul fianco, lo sguardo fisso al pavimento, in attesa di una risposta.
Inaspettatamente l'uscio si aprì di qualche centimetro e un occhio verde chiaro si intrufolò per sbirciare.
"Ti conosco?" chiese lui perplesso.
Tessa si raddrizzò esibendosi in tutta la sua presenza scenica; Billie J., prontamente, si nascose dietro l'angolo di modo da non inficiare il contatto instaurato dalla compagna.
"Non ci conosciamo, Sam. So solo quello che hai fatto alle tue colleghe."
"Io non ho fatto nulla!" esclamò il ragazzo spalancando di colpo la porta.
"Io penso che ti ricordi esattamente quello che hai fatto, altrimenti non avresti reagito così" lo pizzicò lei mettendo una mano sullo stipite, di modo da impedirne un'eventuale chiusura. "Se fossi stato normalmente istigato, ricorderesti solo la sensazione provata, ma non avresti il ricordo preciso di quanto successo."
Sam Mellow parve sorvolare sul senso di quell'asserzione tanto convinta.
"Io non ricordo invece, non c'è niente da ricordare" ribatté cercando di esibire altrettanta fermezza.
"Cos'hai combinato alle tue colleghe?" insistette lei. "Dicono che piangessero implorando il tuo perdono. Fai a tutte lo stesso effetto?"
"Non so chi tu sia, né cosa tu voglia da me" rispose Sam in propria difesa. "Ti ha mandato qualcuno dell'ufficio?"
"Perché dovrebbe? Chi dice che sei stato tu?"
"Come?! Lo hai appena detto tu!"
"Io?! Magari è stato solo un attacco di isteria di massa oppure tutte avevano le loro cose. Io non penso che sia stato tu."
Sam rimase basito.
"O per lo meno, non tu direttamente" disse Tessa fissandolo dritto negli occhi, con un profondo sguardo indagatore. "Forse è stato chi ti porti dentro..." aggiunse poi con un bisbiglio.
Sam Mellow divenne incredulo.
"Tu hai qualche problema" le disse poi facendo per chiudere la porta.
"Non ho la capacità di farti rivelare ma posso provare a istigarti..." lo provocò lei piazzandosi oltre lo stipite, "così potrò parlare con il tuo amico..."
"Vattene da casa mia!" esclamò Sam spingendola a retrocedere.
Si ritrovò convinto che quello doveva essere uno scherzo. Qualche collega, o il fidanzato di qualcuna delle ragazze che avevano perso la testa in ufficio, doveva aver mandato quella tipa strana a prendersi gioco di lui. Probabilmente aveva un registratore nascosto o peggio una videocamera con cui stava riprendendo la scena: Sam Mellow nuovamente vittima di una donna. Perché era quello che dovevano aver pensato tutti in ufficio, quando le sue colleghe lo avevano umiliato supplicando il suo perdono senza motivo. Tutti pensavano che lui fosse un idiota. Le donne lo pensavano. Compresa quella bionda dal profilo greco che ora bloccava la sua porta. Avvertì nuovamente l'odio avvampargli le guance e riempirgli le orecchie. Desiderò il peggio e il peggio fu quello che accadde.
Billie J. reggeva tutto il peso con la mano destra; la sinistra inchiodata alla ringhiera del parapetto.
Quando Tessa guardò in alto e si rese conto di essere trattenuta per il braccio sinistro dall'uomo, d'istinto scattò la testa verso il basso: solo allora si accorse di essere sospesa nel vuoto della tromba delle scale.
"Billie!" si trovò a gridare agitandosi di colpo e afferrando il braccio del compagno con la mano libera.
"Non ti agitare!" gridò lui con uno sforzo immane.
Billie J. era paonazzo: nonostante la stazza, sostenere il peso della donna stava diventando impossibile.
"Cerca di puntare i piedi sul muro!" le gridò in uno slancio, staccando il busto dalla ringhiera e portando le spalle in direzione opposta.
In un moto di imprecazioni, Tessa riuscì a puntare gli stivali e a sollevarsi fino a gettarsi al sicuro oltre la balaustra.
"Che cazzo è successo?!" domandò poi frastornata.
"Che cazzo hai fatto?" le chiese in risposta il compagno soffocandola tra le sue braccia.
Ancora più confusa, la donna si liberò dalla presa dell'energumeno; lo sgomento che lui le lesse negli occhi, palesava la nebbia più assoluta.
"Il tizio ha chiuso di colpo la porta e tu ti sei letteralmente gettata dalle scale!"
Tessa era sconvolta.
"Se non ti avessi afferrato al volo..." proseguì lui passandosi una mano sul volto pallido, "Dio!"
Tessa mosse lo sguardo sulla porta dell'appartamento di Sam Mellow. La porta chiusa. Non riusciva più a sentirlo.
"Come lo hai capito? Come hai fatto a prendermi in tempo, eri nascosto dietro l'angolo, non potevi vedere..."
"Ho sentito Tessa" proseguì lui con fare concitato, "ti ho sentito pronunciare il suo nome e ho capito."
La donna sforzò la mente nel ricordare. L'attimo prima del buio le guizzò davanti agli occhi.
Kyrios, era il nome che le sue labbra avevano sillabato, prima che una volontà senza controllo la costringesse a gettarsi nel vuoto.
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