51. In campo (rev.02)

Margaret era uscita di corsa. Non ricordava nemmeno se aveva chiuso o meno la porta dietro di sé. Si trovava in un particolare stato mentale che la faceva sentire sospesa, come se solo il suo corpo fosse rimasto dove lo aveva lasciato. La mente dissociata dalla realtà in cui esso camminava.

Aveva passato gli ultimi dodici anni della propria vita con Adam, il ragazzo del quale si era innamorata a vent'anni e che, più tardi aveva sposato; lo stesso con il quale stava progettando, da un anno oramai, di allargare la famiglia.

Quel giorno era rientrata a casa prima dal turno. Il signor Perkins, il titolare dell'ufficio per cui lavorava, entusiasta per i risultati ottenuti nell'ultima campagna di vendita, aveva concesso a tutti i membri del team fautore del miglioramento, di cui faceva parte anche lei, una mezza giornata libera.

Margaret aveva così guadagnato inaspettatamente del tempo, che avrebbe ritagliato per sé e per preparare più tardi, con calma, una cenetta romantica per due.

Quando aveva fatto per inserire la chiave nella serratura di casa, si era stupita nel trovarla già aperta. Aveva riconosciuto il mazzo di chiavi di Adam pendere dalla toppa, ma non aveva trovato strano che fosse rincasato prima. Succedeva spesso, ultimamente, che lavorasse anche da casa; in fondo, la sua posizione manageriale glielo permetteva.

Aveva chiamato il suo nome ma senza ottenere risposta, così aveva seguito il rumore inconfondibile dello scroscio della doccia fino alla porta del bagno.

Solleticata dall'idea di fargli una sorpresa, si era tolta le scarpe e aveva iniziato a slacciarsi la camicia. La porta era socchiusa, le servì solo una leggera spinta per aprirla.

Il vapore le aveva confuso la vista per qualche istante, ma le sue orecchie avevano sentito in modo inequivocabile, fin da subito, i gemiti provenire da dietro il box doccia in vetro, all'angolo del bagno.

Non aveva pensato a niente né il suo cervello era stato in grado di inviare un qualche segnale alla bocca per darle la parola.

Aveva visto la sagoma di lui unita a quella di una donna, che non aveva voluto riconoscere.

Senza rendersene conto, aveva smesso di respirare, mentre lenta, era tornata sui suoi passi.

Si era dimenticata di rimettere le scarpe, ma aveva ripreso con sé la borsa.

Aveva percorso il corridoio, lo stesso che qualche istante prima aveva attraversato con trepidazione. Era uscita dalla porta e aveva iniziato a camminare.

Quando sentimenti come rabbia, odio, frustrazione, dolore si fondono in una sola persona, la sua energia diventa ammaliante, come un faro nella tempesta più buia che possa scatenarsi in mare.

Gli istigatori sentono il profumo di un pot-pourri di umori tanto invitante, addirittura a chilometri di distanza. Più è attraente la fonte, maggiore sarà il numero di istigatori che saranno disposti a istigarla.

Margaret aveva ripreso un barlume di lucidità e aveva deciso di andare dalla sorella che abitava a nord della città. Scelse di prendere la metro nell'ora di punta, senza ovviamente accorgersi che il fuoco che le bruciava dentro e spingeva per uscire, aveva già creato un seguito di una decina di istigatori che a vista le stavano dietro.

Non si avvicinarono a lei prima che fosse entrata nel vagone del treno. Pazientarono, perché sapevano che sarebbe stato molto più soddisfacente innescare una reazione a catena che, partendo da lei, avrebbe poi coinvolto altri predisposti ignari viaggiatori.

Margaret si lasciò cadere sul primo sedile libero, i piedi neri del colore dell'asfalto. La donna di mezza età che le sedeva di fronte, distolse per un attimo l'attenzione dalla sua lettura per rivolgere una fugace occhiata di dissenso.

La ragazza accanto a lei invece, non notò quel dettaglio, ma sentì perfettamente la causa del suo stato interiore.

"Uomini..." si lasciò sfuggire, in apparenza distratta "Un giorno ti dicono che ti amano alla follia, che non potrebbero vivere senza di te e il giorno dopo li trovi nelle braccia di un'altra o peggio di un altro..."

Margaret ascoltò, senza guardare in faccia la sua interlocutrice e senza chiedersi il perché stesse dicendo proprio a lei quelle parole.

Ma aveva dannatamente ragione, pensò.

"Non meritano niente, nemmeno una goccia delle nostre lacrime. Sai cosa si meritano, invece?" aggiunse la sconosciuta avvicinandosi all'orecchio di Margaret: "Tutto l'odio di cui siamo capaci..."

Ha ragione, pensò nuovamente Margaret. Dopo tutto quello che aveva fatto per lui, le camicie stirate in modo impeccabile, la casa sempre tirata a lucido, la spesa dopo interminabili turni di lavoro. Le cene che aveva preparato con amore e poi gettato nel bidone dei rifiuti perché lui all'ultimo le aveva detto che non sarebbe rientrato per tempo perché impegnato a concludere un lavoro in scadenza. Quante di quelle volte si era davvero fermato in ufficio e quante invece si era concesso lo svago di un'uscita con quella? Mentre lei amorevolmente lo attendeva sul divano?

Da quanti tempo andava avanti quella farsa? Giorni, settimane, anni? E lui era stato entusiasta all'idea di fare un figlio con lei!

Cosa diavolo era lei per lui?! La stupida moglie? Quella da prendere in giro mentre con quella godeva di tutto ciò che, secondo lui, lei non era più in grado di dargli?

Che diavolo, no! Pensò Margaret furiosa.

Lei poteva dare tutto quello ma evidentemente lui non era degno di lei, di meritarsela.

Sentì la rabbia salirle alla testa, la vista annebbiarsi, le orecchie farsi sorde.

La sua rabbia divenne incredibilmente tangibile ai presenti nel vagone, o meglio, divenne visibile alle energie sopite di tutti, accedendo in ognuna lo stesso sentimento.

Gli istigatori nel vagone non dovettero fare altro che dar loro una spinta: rabbia per un torto a lavoro, per un tradimento, per un errore imperdonabile commesso, rabbia per invidia o gelosia.

In breve, su un solo vagone in cui erano saliti una decina di istigatori, il loro numero era già raddoppiato. 

L'orologio di Ben iniziò a emettere il cicalino il cui significato ora era perfettamente chiaro anche ad Adriel.

Ben guardò l'indirizzo, lasciandosi poi scappare un moto di perplessità.

"Qualcosa non va?" domandò lei cogliendo la sfumatura sul suo volto.

"Istigatori sulla linea 45 della metro, all'altezza di Park Avenue..."

Adriel fece mente locale sulle tappe della linea 45.

"Ma è lontanissima da dove siamo noi adesso..."

Ben capì immediatamente la situazione.

"L'hanno inviata a me non perché sono il più vicino ma perché non si tratta di un numero ridotto di istigatori" spiegò alla ragazzina, mentre sul cellulare si affrettava a visualizzare la rete delle fermate della metropolitana cittadina.

"Quanti possono essere?" domandò lei, dapprima incuriosita.

"Minimo una ventina" rispose lui calmo.

"Venti?! Da affrontare tu, da solo?!" esclamò lei alzando il tono.

"Non saranno solo venti quando arriveremo alla fermata più vicina" proseguì lui ritirando il cellulare nella tasca posteriore dei jeans.

Adriel deglutì con uno sbalzo di agitazione che lui percepì, rammaricandosi di aver dato quella risposta con così troppa leggerezza.

"Tranquilla, non ci metteremo molto e se mi sarai d'aiuto ci metteremo ancora meno. Vieni!"

La incitò così a seguirlo nel traffico di persone che a quell'ora affollava i marciapiedi. Volutamente non le diede il tempo di fare altre domande; meno pensava a quello a cui stavano per andare incontro, più facile sarebbe stato per lui gestire e risolvere la situazione che si apprestavano ad affrontare.

Adriel teneva il passo senza staccare gli occhi da Ben, che la precedeva. Non riusciva a sentirlo in quel momento. Forse lui non voleva palesare la propria preoccupazione per non aumentare la sua oppure essendoci abituato, per lui quella sarebbe stata l'ennesima proverbiale passeggiata.

Qualche minuto dopo, Ben rallentò un istante e la invitò ad affiancarsi a lui.

"Come già sai, meno tempo impieghi per arrivare al punto della segnalazione, minore sarà il numero di istigatori che dovrai affrontare."

"Si, lo avevi già detto, ma non mi hai spiegato il perché."

Ben sorrise, da sempre apprezzava la curiosità della figlia.

"Di solito l'istigazione parte da un unico istigatore, che individua una fonte istigabile in uno o più normali vulnerabili. Gli basta un minimo scambio di energia per dare il via all'istigazione."

"Non deve fare entrare l'energia nel corpo del normale?"

Quella parola, normale, ad Adriel sembrava sempre stonare; in fondo gli altri non erano così diversi da lei.

"Se il normale è già ben predisposto è sufficiente uno scambio di parole" rispose il padre riprendendo la corsa.

"È così facile istigare le persone?"

"Piuttosto sono le persone che si mettono facilmente nella condizione di perdere il controllo ed essere istigate" le disse mentre attraversavano la strada, evitando al volo un paio di taxi che avrebbero avuto la precedenza.

"La seconda cosa che dovrai imparare, sarà nascondere le emozioni. La paura è particolarmente leggibile e se ti fai sentire debole, loro potrebbero approfittarne."

"Anche gli istigatori sanno leggere le emozioni?" si stupì lei affiancandolo.

"Sì, più mantieni l'equilibrio meno sarai leggibile. Anche se fin da subito ci vedranno come diversi..."

"Vuoi dire che possiamo nascondere le emozioni ma non il fatto di essere vedenti?"

"Sì, esatto!"

Adriel avrebbe continuato con le domande, ma Ben accelerò il ritmo della corsa e lei, decisamente poco allenata, scelse di risparmiare fiato per poter proseguire senza restare troppo indietro.

Arrivarono all'ingresso della fermata che il ragazzo aveva individuato sulla mappa e altrettanto rapidi scesero le scale verso il livello sottostante.

Incrociarono parecchie persone tra studenti, lavoratori in giacca e cravatta, mamme con figli, anziani con il carrellino della spesa al seguito; chi saliva e chi scendeva quella stessa scala che portava ai binari a cui loro erano diretti.

Adriel trovò surreale pensare che di lì a breve, la vita normale di quelle persone avrebbe incrociato la vera realtà che solo a loro vedenti era dato vedere.

Quando arrivarono al binario, trovarono la banchina gremita di persone, tanto che, dal punto in cui si trovavano, faticavano ad avere la visuale libera sul binario.

"Ci sono troppe persone."

Sentì dire a Ben.

"Per evitare di peggiorare la situazione ci conviene mettere al sicuro tutta questa gente" le disse come a proseguire la lezione iniziata poco prima.

"E come facciamo? Non possiamo chiedere uno a uno di lasciare la stazione! E poi con quale scusa?!"

"Ovvio" confermò lui. "Abbiamo poco tempo. Dovremo essere più incisivi."

"Terremoto?"

La voce di Zephir si palesò improvvisa alle loro spalle, facendo trasalire Adriel.

"Ma quando sei arrivato?!" esclamò lei sgranando gli occhi.

"Io non vado mai via" rispose lui sorridendo in quel suo modo strano.

"Direi di sì" confermò Ben senza voltarsi. "Io creo la sensazione, tu la convinzione."

La ragazzina non capì assolutamente a cosa i due stessero alludendo, ma la sicurezza con cui pianificarono la cosa le diede adito a pensare che non fosse la prima volta che la mettevano in pratica.

Adriel vide Ben concentrarsi fissando un punto indefinito poco davanti a sé e subito dopo l'avvertì: un'onda, simile a quella che aveva liberato in Azienda facendo tremare i vetri del palazzo, partire dal suo corpo e propagarsi per tutta la lunghezza della stazione.

Tutti i presenti avvertirono la tremenda sensazione: la terra sotto i loro piedi si stava muovendo. All'inizio le persone si guardarono l'uno con l'altra, in silenzio, chi spaurite chi indifferenti. Poco dopo, alcune di queste si mossero rapide verso l'uscita, in una calca via via più disordinata.

Fu in quel momento che Adriel notò l'intervento di Zephir: gli scettici, che non si erano fatti intimorire dal terremoto indotto e che parevano non voler rinunciare a quel treno da prendere, in file ordinate si diressero verso la scala che li avrebbe riportati in superficie. Il loro cancellatore aveva inculcato in tutti che quelle avvertite fossero scosse di terremoto convincendoli così che il posto più sicuro fosse all'aria aperta; luogo da raggiungere però rigorosamente senza correre ed evitare il panico.

"Incredibile..." bisbigliò la ragazzina osservando quell'evacuazione calma e pacata, "come ci riesci?"

"La paura rende le persone suggestionabili" rispose l'uomo in nero.

"Adriel!' la richiamò la voce di Ben. "Il treno arriverà tra pochi minuti, dobbiamo essere pronti."

La ragazzina annuì e scattò rapida al suo fianco.

"C'è ancora una cosa che dovresti sapere."

Cosa ci poteva essere ancora? si trovò a domandarsi, pronta al peggio.

"Quando si viene istigati per la prima volta, l'istigatore non si risveglia subito. L'energia umana tenta di resistere. Si crea una sorta di conflitto interiore che tende ad accentuare il lato violento e irascibile delle persone. In quella fase, non possiamo ancora intervenire con il marchio perché l'energia dell'istigatore non si è ancora del tutto rivelata. Dobbiamo aspettare che si riveli completamente prima di agire."

"E come facciamo a capire quando succede?" chiese lei allargando frettolosamente le mani.

"Solo un istigatore è in grado di riconoscere un vedente e sapere cosa può fargli: quando smetteranno di lottare tra loro e correranno nella nostra direzione, quello sarà il segnale che la trasformazione è completa."

Adriel sgranò gli occhi e spalancò involontariamente la bocca.

"Cosa?!"

Ben volutamente non diede troppo peso alla sua reazione. Si portò al centro della banchina e dopo aver osservato le distanze dal binario, posizionò il palmo sinistro a terra e lasciò che la sua energia scorresse attraverso il suo braccio, fino ad allargarsi sul pavimento grigio sotto i suoi piedi.

Adriel osservò l'intensità dorata dei rami snodarsi per una decina di metri a coprire in una forma circolare la superficie della banchina. Guardò le ramificazioni fitte scivolare in volute eleganti che si incrociavano tra loro. Quando raggiunsero l'estensione che Ben ritenne sufficiente, staccò la mano da terra e questi, dopo un ultimo bagliore, scomparvero alla vista.

"Hai visto fino a dove ho esteso il Portale?" le chiese il ragazzo tremendamente serio. "Fino a quando ci resti dentro, sarai al sicuro. Cercherò di tenerli il più possibile lontano da te, nel caso non ci dovessi riuscire, sei libera di farti prendere dal panico."

Adriel inizialmente trovò assurda quell'ultima affermazione ma poi capì.

"Portale di Famiglia... è un Portale di Famiglia!"

"Brava, impari in fretta" fece lui ammiccandole.

La voce registrata, che uscì dagli altoparlanti, annunciò l'arrivo imminente del treno.

La sua velocità iniziò a propagarsi lungo la galleria di sinistra, provocando una serie di rimbombi in crescendo. L'aria iniziò a muoversi intorno a loro.

Adriel scattò rapida dietro una delle colonne laterali che rientravano nell'estensione del Portale, liberando così il campo attorno a Ben.

Al riparo, ne osservò il profilo rivolto verso il centro del binario. Era tremendamente concentrato, come un atleta ai blocchi di partenza prima di una gara o forse, dato quello che si prospettava, lo trovò più simile a un soldato dietro la trincea, prima di sferrare un attacco. Non riusciva a sentire cosa provasse, poteva solo immaginarlo.

Lo vide inspirare profondamente, quando il treno, sbucando dalla galleria, iniziò a rallentare.

Lo vide inspirare una seconda volta, con la stessa calma e profondità, senza battere ciglio. Rimase fissa sul suo sguardo, anche quando sentì lo stridere dei freni sfilare lungo la banchina. Quello era decisamente lo sguardo di chi sa cosa sta per affrontare, ma non ha la certezza di come andrà a finire.

Ben percepì il crescente d'ansia alla sua sinistra, si voltò e le sorrise ammiccando ancora una volta.

"Andrà tutto bene, piccola."

Sentì il suo calore, ma questa volta non fu sufficiente a rassicurarla completamente perché quando tutti e sei i vagoni del treno si aprirono all'unisono, Adriel capì che nulla le avrebbe impedito di farsi prendere dal panico.

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