40. Matt (rev.02)
Quando Virgil Bates e Jamie arrivarono davanti alla casa di Matt Robbins, erano da poco passate le sette del mattino.
Notarono del movimento, attraverso le tende color caffè, di quella che doveva essere la cucina: con molta probabilità, la signora Stephenson era intenta a preparare la colazione.
Lo strano episodio, avvenuto per mano del suo unico figlio, aveva ben più di una vaga attinenza con un altro, recentemente accaduto a pochi chilometri da dove si trovavano in quel momento: un ragazzo sulla trentina sembrava avesse accidentalmente istigato una decina di persone, senza però essere stato istigato a sua volta. Come per Matt Robbins, nessun vedente era intervenuto, perché nessun segnalatore aveva potuto cogliere l'istigazione che di fatto, non era avvenuta.
Eppure entrambi avevano condizionato rispettivamente compagni di classe e colleghi, senza perdere però il controllo di loro stessi. Ciò che era successo, ricordava molto la capacità tipica dei vedenti di influenzare, con le emozioni, gli altri che li circondavano; anche se, nei due casi specifici, il condizionamento sembrava essere andato decisamente oltre.
Virgil Bates, subito dopo essere stato informato dei fatti, si era ripromesso di indagare più a fondo, senza eccessiva premura però, forse perché il sospetto che si era insinuato in lui sin dal principio, gli era poi parso troppo assurdo per poter essere fondato. Ma la rivelazione di Adriel Wigan, quella sensazione così chiara che l'aveva attraversato unitamente all'energia di lei, aveva sortito l'effetto di una doccia gelata che, bruscamente, lo aveva costretto ad aprire gli occhi.
Dopo aver riequilibrato momentaneamente la situazione in città, affidando a Tessa il compito di gestire il supporto alle famiglie di neutrali colpite dall'energia della giovane Wigan, aveva percorso quasi duecento chilometri in auto, senza nemmeno una sosta, per arrivare fino a quella casa, allo scopo di vedere e sentire il giovane studente che aveva scatenato la convinzione di una guerra nelle menti dei suoi coetanei.
Durante quel viaggio di quasi tre ore, Jamie si era limitato a guidare, senza fare domande: aveva sentito nettamente la preoccupazione di Virgil Bates, che non nascondeva mai le proprie emozioni.
Era sempre trasparente, cristallino oltre ogni limite, sia emotivamente che verbalmente. Tra loro non c'erano mai stati segreti: il fatto che non avesse condiviso con lui la reale motivazione di quel viaggio improvviso, lo aveva portato a pensare che stesse ancora cercando la certezza al di là della supposizione.
Una supposizione che, a detta delle emozioni che stava provando, se concreta, avrebbe di certo rivelato una gravità di non poco conto, ne era sicuro.
Suonarono il campanello. Fu la signora Stephenson ad aprire. Sarebbe stato impensabile trovare una motivazione più che valida a giustificare l'intrusione di due sconosciuti alla loro porta, a quell'ora del mattino e mentire non era nelle corde di Virgil Bates.
Fu per essere fedele alla propria natura, che scelse di ricorrere alle sue particolari doti comunicative.
"Buongiorno signora" disse allargando il suo sorriso sornione.
La donna, istintivamente, chiuse la vestaglia a nascondere il pigiama che ancora portava indosso.
"Chi siete?" chiese sospettosa, saltando i convenevoli.
Chiederle direttamente di poter interloquire con il figlio minorenne, l'avrebbe di certo allarmata e portata a chiudere loro la porta in faccia. Perciò Virgil Bates fece l'unica cosa che avrebbe permesso a tutti loro di vivere serenamente quel colloquio inaspettato.
"Enarchè."
Pronunciò quell'unica parola con un soffio di fiato, senza abbandonare il buon umore con cui si era presentato.
In risposta, la donna parve bloccarsi per un istante, gli occhi fissi in quelli di lui, senza battere ciglio.
Cinque secondi di pausa, contò Jamie, stando accanto a Virgil. Lo sguardo a indagare quello di lei, perso apparentemente nel vuoto di una riflessione inesistente.
Dopo quel breve intervallo, la signora Stephenson tornò a chiudere e riaprire le palpebre in modo naturale e in un gesto di sommesso rispetto, abbassò il capo. Spostandosi poi di lato, invitò i due uomini a entrare.
"Dov'è il ragazzino?" le chiese Jamie chiudendo la porta dietro di sé.
"Al piano di sopra, in camera sua" rispose la donna con la stessa diligenza di un soldato. "Siete qui per quello che gli è successo a scuola, vero?"
Virgil Bates si limitò ad annuire. Lo sguardo già rivolto al corridoio che poteva intravedere alla fine delle scale che salivano al piano di sopra.
"Che cosa crede che sia stato, mari?" proseguì la donna.
"Spero vivamente di sbagliarmi, anche se..." rispose Bates turbato. "Quel che temiamo più di ogni cosa, ha una proterva tendenza a succedere realmente."
Virgil Bates aveva la capacità di comunicare con gli istigatori, senza doverne stimolare il risveglio attraverso la sua energia. Poteva far palesare il lato nascosto di ognuno in qualsiasi corpo, in qualunque momento, senza dover approfittare di sbalzi di livello o energie indebolite.
Mari, nella lingua degli istigatori, equivaleva all'umano "maestro" ed era quello l'appellativo con cui i neutrali si rivolgevano a uno tra i più longevi abitatori del Limbo.
Seguirono entrambi la signora Stephenson lungo le scale, lasciando poi che fosse lei a parlare per prima.
"Matt?" chiese la donna dando un paio di colpi di nocche sulla porta socchiusa. "Ci sono dei signori qui che vorrebbero parlarti. Riguardo a quanto successo a scuola l'altro giorno. Possiamo entrare?"
La donna non attese di cogliere una risposta e aprendo la porta li invitò a seguirla.
La stanza era la prevedibile tana di un quattordicenne all'apparenza normale: vestiti sparsi in ogni angolo, pile di videogiochi e fumetti, avanzi di bibite vuote mal nascoste sotto il letto, il tutto condito da un vago sentore di fumo.
Matt Robbins stava accanto alla finestra, braccia incrociate sopra l'ampia t-shirt che gli arrivava al ginocchio, pantaloni decisamente larghi per la sua costituzione minuta. A Virgil Bates sembrò poco più che un bambino; sentendolo, percepì solo reale preoccupazione, nient'altro.
"Io non ho fatto niente!" si difese ancor prima che i due sconosciuti potessero parlare.
"Non siamo qui per accusare nessuno, men che meno te, Matthew" lo tranquillizzò Bates alzando le mani in una sorta di resa. "Mi chiamo Virgil e lui è il mio collaboratore Jamie. Non siamo qui per accusare né per giudicare, ma abbiamo bisogno di capire meglio come sono andate le cose."
"Perché vi interessa?"
"Perché è successa una cosa simile a un altro ragazzo, più grande, non molto lontano da qui."
Matt era dubbioso.
"Io... non ho ancora capito cosa è successo davvero!"
"Forse, posso provare a spiegarti. Ma per poterlo fare, ho bisogno che tu mi dica, esattamente, ciò che ricordi dell'istante prima che la tua classe perdesse il controllo."
Matt gettò una rapida occhiata alla madre, che con un cenno del capo lo invitò a parlare liberamente.
"La prof aveva estratto il mio nome per un'interrogazione a sorpresa e...mi ha fatto domande sull'unico capitolo che avevo fatto fatica a studiare. Sulsubito sono andato nel panico. Ho cominciato a pensare a quante me ne avrebbedette mia madre se avessi preso un brutto voto. Ero certo che sarebbe andata peggio che male. I miei compagni mi guardavano con le loro facce sollevate perché l'avevano scampata, mentre io avrei voluto sprofondare..."
Virgil Bates ascoltava con estrema attenzione il resoconto del ragazzino. I suoi occhi ne indagavano l'animo mentre l'energia stava cercando qualcos'altro, una sensazione che lui conosceva troppo bene, che aveva da poco risentito e che pregava di non sentire lì, in quel momento.
Allargando un sorriso sincero, lo spronò a continuare nell'esternazione di quel ricordo.
"Non so spiegare bene cosa... perché sia successo, ma... a un certo punto, ho smesso di avere paura. Non so come è stato possibile perché io stavo ancora pensando al peggio eppure..." si bloccò fissando l'angolo sinistro della propria visuale a cercare le parole migliori per poi esclamare scettico: "È assurdo! Mi prendereste per pazzo o peggio, per un bugiardo!"
"Matt!" lo redarguì la madre.
"Cosa hai sentito Matt?" lo incalzò Virgil avanzando di un passo in avanti.
Il ragazzo tenne lo sguardo inchiodato al pavimento, gli occhi che si muovevano freneticamente da destra a sinistra, l'indecisione incalzante perfettamente leggibile.
"Ho pensato di non essere più in classe. Ho come avuto un flash, un ricordo della sera prima quando... giocavo a un videogame invece di studiare" confessò Matt aspettandosi la reazione furiosa della madre che però, inaspettatamente, non si fece sentire.
La signora Stephenson mantenne la sua posizione accanto a Virgil, gli occhi carichi di preoccupazione; la stessa che il ragazzo ora poteva chiaramente leggere anche in quelli dell'uomo di colore che era rimasto sulla soglia. Solo il suo interlocutore aveva un'aria diversa, che lo metteva a proprio agio.
"Mi sono lasciato andare alla sensazione di essere nel gioco" disse poi guardando tornando su Virgil. "Adoro essere là, anche se è solo un gioco ma mi sento... più forte, più sicuro. Mi sento meglio."
"E cosa si fa in questo gioco?" domandò Bates.
"Si combatte, come una vera guerra ma... è solo un gioco!" spiegò Matt nervoso. "Non so perché loro si sono comportati così, i miei compagni intendo. Era quello che avevo in mente io ma solo per sentirmi meglio. Loro... non ha senso!"
Quanto accaduto, non era decisamente un'istigazione ordinaria né un condizionamento qualunque.
Virgil Bates poteva chiedere agli istigatori di agire, ma qui, nel caso di Matt, nessuno aveva chiesto ma solo segretamente ordinato, per il tramite di un emozione intima rubata a un innocente normale qualsiasi; forse, però, non del tutto qualsiasi.
"Se volessi rifare quanto hai fatto a scuola..."
"Io non ho fatto niente! Perché deve essere colpa mia?!"
"A quanto pare sei stato l'unico a restare immune al condizionamento" disse secco Jamie avanzando deciso verso il ragazzo. "Non è proprio un caso, no?"
"Jamie" lo fermò Virgil con tono pacato.
"Perché non usi il tuo potere e la facciamo finita?" gli chiese l'amico impaziente. "Chiamalo e chiedi a lui direttamente, che aspetti?"
Virgil Bates conosceva fin troppo bene Jamie, sapeva quanto facilmente poteva passare dalla quiete alle maniere spicciole se si sentiva costretto o messo alle strette e in quel momento, la paura di non sapere, era una morsa crescente che lo attanagliava.
Virgil spostò lo sguardo su Matt che lo fissava stranito, gli occhi lucidi, l'ansia palpabile che saliva.
"Non posso" disse l'uomo con tono sorprendentemente arrendevole.
Jamie si accigliò in volto, le labbra serrate in un impeto di nervosismo misto a confusione.
Anche l'istigatore risvegliato nel corpo della signora Stephenson parve non capire.
"Non funzionerebbe" sentenziò Virgil scuotendo la testa, il sorriso ora tirato, poi, rivolgendosi al ragazzo chiese: "Vero?"
Non si accorsero di nulla. Non avvertirono nemmeno nell'angolo più recondito della memoria, il ricordo dei fatti che seguirono a quel momento fino a quello che stavano vivendo in quel preciso istante.
Il sole era già alto e picchiava sull'asfalto, costringendoli a socchiudere gli occhi per il riverbero. L'auto correva a velocità sostenuta. Jamie teneva la mano destra salda sul volante, la sinistra appoggiata alla portiera dal finestrino abbassato. Virgil percepì l'aria calda accarezzargli il viso e solo in quel momento riuscì a connettersi nuovamente al proprio pensiero.
Lo stesso sembrò fare Jamie che, senza dare uno sguardo nello specchietto retrovisore, inchiodò di colpo.
Il navigatore dava meno di un'ora alla città da cui erano partiti alle prime luci del mattino. Avevano percorso quella stessa strada dall'asfalto grigio chiaro appena un paio di ore prima eppure, guardando increduli il display della vecchia utilitaria, realizzarono che dall'incontro con Matt Robbins erano passate già quasi quattro ore.
"Come cazzo siamo ritornati in macchina?!" chiese Jamie visibilmente scosso, sporgendosi verso il compagno di viaggio, ad esigere una risposta.
"È un meccanismo di difesa" sussurrò Virgil dopo una riflessione che ormai si sarebbe rivelata superflua.
"È stato il ragazzino?! Ci ha condizionato? Ma in che modo? Lui era..."
"Era nervoso, spaventato. Voleva che ce ne andassimo e ci è riuscito."
"Non ha senso!" esclamò Jamie lanciando in aria le mani. "Se ci avesse condizionato in modo normale, ci avrebbe solo trasmesso la sua paura! Come cazzo ha fatto a convincerci ad andarcene?!"
Virgil Bates rimase muto. Inspirò a pieni polmoni l'aria estiva che gli arrivava dal finestrino. La luce del sole allo zenit lo accarezzava attraverso il parabrezza. La luce, pensò, è qualcosa di talmente vitale a cui non era pronto a rinunciare.
"Non è stato Matt."
"Non può essere stato il suo istigatore, nessuno di noi ha quella capacità!"
"Nessuno... di noi."
Gli occhi blu di Virgil Bates tremarono, ma non per l'emozione bensì al concretizzarsi definitivo di quel sospetto che ormai lo aveva scavato dentro.
"Kyrios..."
Fu il nome che uscì dalle labbra di Jamie prima che il fiato gli si fermasse in gola.
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