39. L'Istigatore (rev.02)

Lo sentirono anche loro, anche Adriel e Max percepirono quell'energia sinistra farsi largo in crescendo in un punto non troppo distante dall'appartamento in cui si trovavano.

Un fremito percorse la schiena di Max. Da quando era uscita per rispondere alla segnalazione che lei aveva ricevuto, Billie non si era ancora fatta sentire: è vero, forse non voleva disturbarle, immaginando stessero ancora dormendo, ma non le aveva inviato nemmeno un messaggio. Un terribile sesto senso si impadronì di lei.

Si alzò dal letto per recuperare il cellulare ma Adriel la trattenne afferrandole la mano.

"Non lo senti?" le chiese, gli occhi pieni di terrore.

"È solo un'impressione" tentò di sminuire la ragazza mal celando troppo in fretta la propria preoccupazione.

"È Ben" proferì Adriel con un soffio di voce.

"Non è Ben" ribatté Max scuotendo il capo, sicura nell'asserzione.

"L'ho sentito. Nell'incubo che ho fatto prima. Lo sento anche adesso, Max..." gli occhi sgranati in cerca di un chiarimento. "Perché provo... odio?"

Max era stranita da quell'affermazione proferita con tanta convinzione.

"Sei... confusa" cercò di spiegarsi. "Quello che senti ti spaventa, l'incubo di prima ti ha terrorizzato, è normale che tu ti senta in questo modo."

"È normale che tu abbia paura?" ribatté Adriel stringendo maggiormente la presa.

"Io non..." tentò di rispondere Max, rendendosi però conto che Adriel aveva ragione.

"Cosa sta succedendo là fuori?" le chiese poi seria la ragazzina.

"Non lo so, ma devo andare a vedere" le rispose Max sciogliendosi delicatamente dalla presa.

"Vengo con te!"

"Assolutamente no, Adriel. Potrebbe essere pericoloso."

"Infatti! Non andare da sola!"

"Tesoro, sarai più al sicuro qui."

"Ma potrei esserti d'aiuto!"

"Potresti, ma potresti anche essere d'intralcio" spiegò Max amorevolmente.

"Trova Billie e torna. Non andare da lui" le chiese Adriel tremendamente seria.

"Perché non dovrei cercare Ben?" le chiese Max sedendosi di nuovo accanto a lei.

"Non...non lo so..." disse Adriel prendendosi la testa tra le mani.

"Che ti succede, Adriel?" domandò Max preoccupata da quell'improvvisa e strana reazione.

"Ma davvero tu non la senti?!" esclamò Adriel in preda al panico crescente. "È una sensazione insopportabile! Più la sento, più mi sento bruciare dentro!"

La ragazzina prese a contorcersi nel letto, stringendo braccia e gambe, come a volersi proteggere da una forza invisibile.

"Non è il calore di Ben! È orribile!"

"Adriel!" gridò Max cercando di tenerla ferma.

Il vecchio Opal, il cancellatore della famiglia Robbie, fece improvviso la sua apparizione sulla soglia della stanza. Come di consueto indossava il solito cappello a tesa larga che lo faceva assomigliare a uno sceriffo del far west.

Max ne percepì subito la presenza, distogliendo per un attimo l'attenzione da Adriel.

"Signor Opal, che ci fa qui?"

L'uomo dai lunghi baffi grigi, non disse nulla. Schioccò rapido il pollice e l'indice, cancellando il ricordo di quel brusco risveglio dalla mente di entrambe, portandole così ad addormentarsi nuovamente l'una accanto all'altra.

Fu come il collassare di una diga: con la stessa veemenza l'energia di Ben travolse ogni cosa.

Nessuno dei vedenti, ancora padroni del proprio io, capì, perché nessuno di loro poteva riconoscere Ben dietro quella sensazione di insostenibile superiorità che li colpì con la violenza di un uragano.

Sdraiato in mezzo a una strada ormai deserta, ferito in più punti, Elijah sentì quei rami neri attraversargli corpo e mente. Il brivido che provò fu il gelo che immaginò essere proprio degli ultimi istanti di vita. Trattenne il respiro, certo di essere alla fine. Quando quelle spire si allontanarono da lui, senza arrecargli danno o dolore, respirò la sensazione di vivere come non aveva mai fatto prima.


Billie aveva creato un portale, per sopperire alla scomparsa di quello di Ben. Lottava ancora con accanimento su un gruppo di istigatori cui era riuscita a bloccare la fuga. Stava per marchiarne un altro quando l'onda del portale oscuro si abbatté su di loro. Vide quei nodosi rami neri avvinghiarsi sui corpi degli istigatori, stringerne la carne fino a provocare loro dolore, cosa che un portale normalmente non era in grado di fare.

La ragazza si bloccò: le grida di quelli che fino a poco prima erano i nemici, erano strazianti richieste di aiuto.

Ma quale vedente poteva aver creato un portale simile? I rami si fecero sempre più sottili fino a penetrare gli istigatori. Orecchie e occhi furono invasi da quell'energia densa, le bocche soffocarono riempite da quella forza violenta.

Erano i nemici sì, ma Billie provò pietà per loro. Si vergognò della sua impotenza, ma quell'energia nera era così schiacciante da togliere ogni sicurezza, rendendola incapace di agire.


Gli aveva augurato spesso le peggio cose, odiando il dover rischiare ogni volta la pelle ma mai avrebbe voluto davvero che fosse inflitta loro una pena simile.

Un occhio gonfio e chiuso per via di un colpo mal incassato, l'altro spalancato impossibilitato a staccarsi da quella scena: una tortura, ecco cosa stavano infliggendo quei rami sconosciuti al gruppo di istigatori cui era riuscito a tenere testa fino a un attimo prima.

Tom si reggeva sui gomiti, le forze erano allo stremo ma la rabbia che gli provocava quello spettacolo macabro gli diede la spinta a rimettersi in piedi.

Stavano soffocando, quei poveretti stavano soffocando. Le mani a tenersi la gola in cui più di un ramo si era introdotto forzatamente, gli occhi accecati in egual modo, le orecchie sorde.

"Bastardo!" si trovò a gridare Tom con tutta la voce che aveva in corpo.

Intorno a lui non c'era anima viva ad eccezione di quella decina di mal capitati, uomini e donne normali solo qualche attimo prima, costretti a subire quella violenza.

L'uomo si trascinò fino all'istigatore più vicino, allungando la mano, nella vana speranza di riuscire a strappare quei rami impazziti. Non ebbe bisogno di aggiungere altri sforzi che con la stessa rapidità con cui apparvero, quelle serpi nere si ritrassero tornando da dove erano arrivate.

"Cosa diavolo sono?" domandò Jørgen Larsen al signor Cohen.

L'uomo aveva perso una lente degli occhiali dalla spessa montatura, ma con l'occhio buono scorse lo sguardo intorno a sé.

Lui, quella sensazione, l'aveva scolpita, radicata sotto la pelle. Riconobbe subito il creatore di quel groviglio di rami scuri ma scelse di celarne l'identità.

Quel portale apparso dal nulla, dalla foga dirompente, avvolse tutti gli istigatori, bloccandoli in una morsa senza pietà.

Le grida di dolore si soffocarono in fretta quando l'energia sconosciuta riempì loro le bocche, spezzandone il fiato.

In un guizzo un ramo enorme balzò fuori dal groviglio che strisciava ai loro piedi e risalì il fianco dell'edificio fino all'ultimo piano.

Harvey Burt era già dentro l'ufficio di H, perché sapeva che era Ben l'origine di quel potere devastante. Il fascino del suo istigatore non smetteva di ammaliarlo e ancora una volta, come una sirena, lo aveva attirato pericolosamente a sé.

Pattinson e la Anderson, alle sue spalle, erano increduli mentre la signorina Scarlett, balzata in piedi, era corsa accanto a loro.

Solo H aveva mantenuto saldo il controllo e quando il gigantesco ramo si allargò a coprire l'intera vetrata, oscurando la luce nella stanza, allungò una mano, appoggiandola al vetro su cui l'energia oscura si stava allargando.

Nessuno dei presenti poté vederlo in viso; nessuno vide i suoi occhi farsi lucidi per l'emozione.

Ben richiamò a sé, con la rapidità di uno schiocco, ogni centimetro delle ramificazioni, strappando letteralmente da ogni corpo cui si erano avvolte, l'istigatore rivelato.

Quei rami tornarono carichi di energia, gonfi di una luce dorata pulsante. Con la stessa celerità con cui si erano allargati, si ritirarono confluendo tutti, uno dopo l'altro, nel petto di Ben che in piedi, braccia spalancate, era pronto a ricevere il bottino di quella razzia.

Chiuse gli occhi e sentì: l'onda che lo colpì fu di una potenza devastante ma nonostante ciò, non vacillò di un millimetro.

La sete che lo pervase era qualcosa di insaziabile. Quell'energia era spropositata ma non poteva perdersene nemmeno una goccia, consapevole, pur non sapendo perché, che solo attraverso di lui, quelli sarebbero tornati nel Limbo; come se lui stesso fosse il portale per la loro prigione.

Eve aveva le lacrime agli occhi, le gambe paralizzate. Un istigatore non poteva fare una cosa del genere, e nemmeno un vedente. Eppure Ben aveva appena dimostrato di esserne capace. Avrebbe fatto lo stesso anche a lei? Di certo non sarebbe rimasta per lasciargli il tempo di decidere.

Doveva approfittare di quel momento, ora che era saturo di energia. Indietreggiò lentamente senza togliere lo sguardo dal viso appagato di lui che, a occhi ancora chiusi, pareva crogiolarsi nella meraviglia di quel momento.

Fu costretta a voltarsi solo quando si scontrò con qualcosa. Sobbalzando si voltò di scatto, riconoscendo all'istante l'uomo in nero che le aveva fatto da muro.

Zephir la degnò di uno sguardo apatico, scansandola poi con delicatezza.

La donna, stranita, osservò il cancellatore, apparso dal nulla, incedere verso il proprio vedente.

Nonostante non fosse in sé, istintivamente, Ben lo percepì. Aprì gli occhi rabbioso ma Zephir fu più rapido:

"Enarchè" pronunciò il cancellatore con tono profondo.

In risposta, Ben parve bloccarsi per un istante, gli occhi fissi in quelli di lui, senza battere ciglio.

Eve trattenne il respiro, subito dopo Ben riprese il controllo.

Un conato di vomito lo costrinse a piegarsi su sé stesso; quando si rimise in piedi era sconvolto.

Si passò tremante l'avambraccio sulla bocca, muovendo lo sguardo frenetico intorno a sé, come se cercasse di capire o ricordare.

La fissò per qualche secondo, per poi portare l'attenzione sul suo cancellatore.

"Sei... sei stato tu?" chiese con voce spezzata, il viso pallido, la mano ancora tremante passata sul volto. "Tredici anni fa... sei stato tu a farmi tornare normale?"

Zephir mantenne inalterata la propria espressione, come solo un cancellatore era in grado di fare.

Non disse niente, non rispose, scatenando la reazione di Ben.

"Perché me lo hai fatto fare?" alzò il tono andandogli incontro. "Potevi fermarmi, in qualsiasi momento, perché mi hai fatto diventare un mostro?"

Le lacrime scesero sul viso di Ben, seguendo quei solchi invisibili che Zephir conosceva bene. Pur non potendo provare ciò che Ben stava provando, il cancellatore sapeva perfettamente cosa una persona sente quando le lacrime scendono dagli occhi. Era stato Ben a spiegarglielo, tanti anni fa, la prima volta che lo aveva visto piangere.

Zephir era sempre stato curioso delle emozioni umane e Ben gli aveva insegnato a riconoscerle. Lacrime significavano dolore, rabbia, paura, tristezza ed era certo, che in quel momento Ben, stesse provando tutte quelle emozioni. Sapeva anche che una di quelle, il dolore, se scava dentro è capace di dare terreno fertile alle altre.

C'era solo un rimedio che poteva usare per impedire che anche quel dolore attecchisse nell'animo della persona a cui si era legato di più nella sua infinita esistenza.

Fissò con maggiore intensità gli occhi nero pece in quelli spauriti del suo vedente.

Ben, colto alla sprovvista da quell'impossibile manifestazione di dispiacere, capì però troppo tardi quanto stava per accadere.

Zephir alzò la mano destra e portò indice e pollice a incontrarsi. Le dita schioccarono e ogni creatura vivente, nel raggio di chilometri, dimenticò all'istante quanto accaduto nelle ultime ore. 

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