35. L'ippopotamo rosa (rev.02)

Adriel riuscì a prendere sonno anche se a fatica.

La prima immagine che focalizzò nel sogno, fu un enorme ippopotamo rosa. La sua mente ricordava dove e quando lo aveva visto: era piccola, ancora una bambina. Le era piaciuto talmente tanto quel viso paffuto con le guancia rosa acceso e il sorriso con l'innaturale rossetto fuxia che, molto probabilmente, le era rimasto scolpito in testa.

Nel sogno si guardava le mani, scoprendole bambine. Anche la sua altezza non era quella attuale poiché vedeva tutti dal basso verso l'alto: una distesa di gambe apparentemente uguali che veloci le passavano accanto.

Girò lo sguardo a sinistra, alzando il nasino all'insù.

Max le teneva la mano. Era più giovane di adesso. Portava ancora i capelli rasati quasi a zero. Aveva un sorriso enorme ogni volta che abbassava lo sguardo e le dava la sua attenzione. Sentiva in lontananza le sue parole.

Erano alle giostre del grande parco dove le strade tra gli alberi erano coperte di ghiaia bianca che al sole dava fastidio agli occhi.

Era concentrata su Max e il suo entusiasmo quando sentì quel calore famigliare e d'istinto girò la testolina dalla parte opposta.

Vide la sua manina destra avvolta in quella grande e delicata di lui. Alzò gli occhi, risalendo il braccio famigliare, fino al viso: Ben le sorrideva, in un modo così bello e intenso da rendere superflua qualsiasi parola.

Erano tutti e tre felici. Lo sentiva.

Non percepiva rumore intorno a sé, anche se il parco era gremito di adulti e bambini che si accalcavano intorno alle attrazioni, in file disordinate in attesa del proprio turno.

Vide le mani di Ben afferrarla per la vita e sollevarla verso l'alto e si sentì ancora più felice una volta in sella al cavallo dalla criniera rosa e la nuvola viola dipinta sulla parte alta della coscia.

Era felice che tutto girava intorno mentre lei cavalcava. A ogni giro di giostra, si sbracciava per farsi vedere da loro, che uno accanto all'altra, con ampi movimenti delle braccia, dovevano salutarla a gran voce.

Sentiva solo loro, non con le orecchie ma dentro.

Sentiva sé stessa, incredibilmente leggera, molto probabilmente per l'emozione.

Un giro, un altro e un altro ancora, fino a quando loro non furono più dove li aveva lasciati.

Il silenzio, che aveva fatto da sottofondo fino a quel momento, un pacato cullare di emozioni, divenne a poco a poco tangibile, una morsa fredda e niente fu più piacevole.

Non li sentiva più; sentiva solo il terrore crescerle dentro.

Fu allora che cominciò a sentire. Sentì le grida disperate di mamme e papà, gli stessi che aveva visto sorridere durante i giri della giostra, lo sguardo ai figli, bambini che come lei si stavano divertendo su quel carosello pieno di colori.

Il terrore rese tutto grigio intorno a lei, eccetto il rosso del sangue che iniziò a brillare, infastidendo gli occhi molto più dei sassolini bianchi delle strade del parco.

Vide bambini a terra, feriti, immobili. Non vide come erano caduti, non lo ricordava.

Vide un papà saltare sulla giostra e prendere il suo bambino tra le zampe del pony che aveva cavalcato allegro fino a un istante prima. Lo sentì urlare, lo vide scuotere il suo corpicino ma non ricordò di averlo visto svegliarsi.

Sentì le grida di tutti, quel suono iniziò a darle fastidio. Chiuse gli occhi e lasciò le redini per portarsi le mani alle orecchie.

Improvvisamente si sentì afferrare alle spalle. La paura passò per un istante quando si rannicchiò nell'abbraccio di Ben per poi riapparire pulsante quando vide il sangue rosso vivido scendere sul viso di lui.

Non la guardava più, non sorrideva più. Era arrabbiato mentre la stringeva al petto.

Sentiva la gente urtarli; Ben spingeva per portarla lontano. Apparve Max. Anche lei aveva smesso di sorridere ed era arrabbiata.

Lui la staccò da sé per darla a lei ma lei non voleva lasciarlo. Piangeva e con le unghie si teneva alla sua maglietta.

Vide il viso di lui, serio, non accennare minimamente a guardarla, nemmeno mentre lei lo chiamava per nome.

Lo vide parlare con Max, non sentiva ma capiva che stavano gridando. Max scuoteva la testa, piangeva.

Girò gli occhi e vide la luce per la prima volta. C'erano mostri che lanciavano luce dalle mani e colpivano le mamme e i papà degli altri bambini.

Sentì Ben accarezzarle la testa. Lo vide correre verso quei mostri e fare come loro; una luce forte uscirgli dalla mano.

Max la stringeva a sé, proteggendole la nuca con il palmo, a farle da schermo, ma lei voleva vedere e rabbiosa si liberò da quel gesto amorevole.

Ben creò una luce talmente grande che per un attimo divenne cieca; fu come se per una frazione di secondo il sogno si fosse bloccato in sospeso.

Non vedeva più gli altri, vedeva solo lui ma era diverso Era come se sapesse che era cambiato pur essendo uguale.

Non aveva più paura di tutto il resto; in quel momento aveva paura solo di lui.

Il sogno divenne più difficile da seguire. Le sequenze erano flash, come di ricordi.

Vide le mani di lui sporche di rosso. Sentì la sua furia tremenda. Vide il viso disperato di Max. La sua bocca che gridava, le lacrime che le scendevano lungo le guance.

Incredibilmente percepì l'umido, come se una di quelle lacrime fosse davvero arrivata a toccare il suo viso di bambina; o forse stava piangendo e non riusciva a capirlo.

Sentì la stretta di Max farsi più salda. Vide il suo braccio stendersi davanti a loro, palmo aperto. Vide la luce uscire rapida, quasi invisibile. D'istinto portò lo sguardo su di lui. Gridò, ne era certa, quando lo vide cadere a terra colpito alla testa dalla luce di zia Max.

Si svegliò gridando. Non le era mai successo, non aveva mai fatto un sogno così realistico da sentirlo vero.

Era madida di sudore, le mancava il respiro, tutta l'aria che aveva in corpo incanalata in quel grido.

"Che succede piccola?!" esclamò Max entrando nella stanza con un balzo invidiabile a un felino. "Stai bene?"

Sedendosi a bordo letto, Max istintivamente l'abbracciò forte come aveva fatto molte volte in quegli anni.

"È stato solo un incubo..." spiegò lei per rassicurarla, la voce rotta, le mani tremanti a portarsi le ciocche dei capelli dietro le orecchie in un chiaro gesto di nervosismo. "Ma era così vero! Potevo sentire quello che provavo e quello che provavano gli altri! Non mi era mai successo prima! C'entra perché adesso mi sono rivelata?"

Max le si strinse accanto, infilandosi poi sotto le coperte: "Di norma, nei sogni, non si possono sentire le emozioni degli altri, nemmeno se si è un vedente. Ma se il sogno è frutto di un ricordo allora è possibile."

Posò le labbra sulla nuca di lei mentre con la mano le accarezzava la guancia.

"Ma non è da tutti, sono pochi i vedenti abbastanza sensibili da riuscirci, mi sa che tu sei una di quelli..."

Lo spavento stava scemando, sebbene le immagini del sogno pareva avessero lasciato una traccia indelebile nella sua mente. Adriel si portò l'unghia del pollice sinistro alle labbra e fece mente locale. Pensare l'aiutava a riequilibrarsi, lo stava iniziando a capire.

"Mi stai dicendo che non stavo sognando ma ricordando qualcosa che mi, anzi ci è successa?"

"Ah... quindi c'ero anch'io?" domandò Max incuriosita.

"Tu e Ben. Però non ricordavo di essere stata in quel posto fino a quando non l'ho visto in sogno... e anche adesso, se cerco di ricordare, mi tornano alle mente solo le cose che ho appena sognato, nessun dettaglio in più..."

Max si fece seria ma sapeva di dover proseguire.

"Devi sapere che l'energia funziona meglio del nostro cervello. Mentre la mente immagazzina immagini, l'energia raccoglie emozioni. E le emozioni sono legate ai ricordi. Perciò può essere successo che qualche episodio recente ti abbia scatenato emozioni che hanno fatto riaffiorare un ricordo del passato. Quando dormiamo è più facile che succeda perché la nostra energia si rilassa."

Adriel ripensò al turbinio di emozioni che l'aveva scossa nelle ultime ore; era difficile identificare la causa che aveva portato la sua energia a ricordare quel fatto specifico.

"È stato orribile..." disse poi quasi sussurrando, negli occhi le immagini di quanto aveva appena rivissuto. "Credo fosse la prima volta che vedevo gli istigatori."

"Cosa hai sognato esattamene, Adriel?" le chiese Max prendendole la mano. La ragazzina sentì la sua preoccupazione.

"Ero una bambina, eravamo in un parco dove c'erano le giostre... c'era la statua gigante di un ippopotamo rosa... forse, qui in città?"

Max sapeva perfettamente cosa era accaduto quel giorno, ma lasciò che fosse lei a raccontare.

"Mi stavo divertendo sulla giostra dei cavalli quando... non so esattamente come è successo... ricordo le grida, i bambini a terra... il sangue, ero... terrorizzata."

Max le passò il braccio per cingerle le spalle:

"È successo quando avevi cinque anni. Eravamo al parco che si trova a nord di South Street. Un gruppo numeroso di istigatori è comparso all'improvviso colpendo i bambini che erano con te sulla giostra."

"Credevo che noi potessimo sentire gli istigatori..." puntualizzò Adriel perplessa.

"Solo se siamo concentrati" ammise Max con rammarico. "Quel giorno tu eri così felice che io e Ben ci siamo lasciati contagiare dal tuo buon umore..."

Adriel sentì nuovamente quella sensazione di leggerezza ed entusiasmo che aveva provato nel sognare l'inizio di quel ricordo.

"Abbiamo abbassato la guardia e loro ne hanno approfittato."

"Perché i bambini? incalzò Adriel. "Perché li hanno colpiti per far loro del male e non per istigarli?"

"Per indebolire gli adulti. Se vedi fare del male a tuo figlio, non puoi non avere uno sbalzo di livello."

"Volevano istigare gli adulti e hanno..." Adriel sbiancò, "c'ero anche io su quella giostra, perché non mi hanno colpita?!"

Max sospirò.

"Nessun istigatore sano di mente ti colpirebbe, con tuo padre nei dintorni e nel pieno delle sue capacità."

Un brivido le percorse la schiena: la paura che lui le aveva trasmesso in quel sogno, quando lo aveva visto con le mani sporche di sangue, era qualcosa di tremendo che non voleva risentire.

Max lesse il turbamento nel suo sguardo.

"Cosa ti spaventa così tanto, tesoro?" le chiese delicatamente.

"Ben"

Era proprio quella la risposta che Max temeva di sentire.

"All'inizio sentivo quella sensazione di sicurezza che solo lui riesce a trasmettermi ma poi è... cambiato" di scatto si voltò verso Max. "Avete litigato. Gridavate l'uno all'altra qualcosa, ti ho vista piangere quando lui si è allontanato e poi..."

Improvvisamente l'avvertì, la sensazione che aveva scatenato il ricordo che si era liberato in quel sogno.

La paura di averlo perso, la stessa che aveva provato in Azienda solo poche ore prima, era la medesima che ora ricordava di aver provato in quel parco, anche se era solo una bambina e ancora non sapeva ciò che in realtà era destinata ad essere.

"Tu, lo hai colpito..." disse incredula. "Perché?!"

Max lasciò che avvertisse il proprio senso di colpa. Non fece niente per nasconderlo, voleva condividerlo con lei, anche sapendo di essere nel giusto.

"Quasi tutti i bambini furono feriti gravemente. La loro energia umana si stava indebolendo troppo rapidamente e il loro istigatore avrebbe preso il sopravvento. Sarebbero sopravvissuti ma diventando irrimediabilmente istigatori. Tuo padre ha fatto qualcosa che tu non dovrai mai fare. Sapeva quali sarebbero state le conseguenze ma lo ha fatto lo stesso... sai che è una testa di cazzo" sdrammatizzò strappandole un sorriso. "Ha assorbito le energie istigatrici in quei bambini, per ridurle e metterle in equilibrio nuovamente con la parte umana, per mantenerli normali ma... così facendo ha creato uno squilibrio nella sua energia a vantaggio del suo istigatore."

La breve pausa che si ritagliò fermò l'aria.

"Lui... lui non riesce a controllarlo e quando succede non è più... non è più Ben."

Adriel fu scossa da un breve ma pungente moto interiore, una sorta di onda invisibile ma tangibile che da Max arrivò a lei fino ad attraversarle la bocca dello stomaco. Una morsa di tristezza mista a dolore. Avvertì un nodo alla gola e le lacrime salirle agli occhi.

Osservò il profilo di Max, la sua mascella serrata, lo sguardo trascinato in quel ricordo che avrebbe fatto di tutto per dimenticare. La osservò a lungo sentendo su di sé quella stessa impotenza che percepiva in lei.

"Normalmente per liberare un vedente dal proprio istigatore, si fa come per i normali" riprese Max tornando a dedicarle piena attenzione, "si usa un portale che agisce attraverso il marchio che abbiamo sul palmo ma... con Ben, il portale non funziona."

La ragazzina era confusa.

"Non sappiamo perché ma su di Ben non ha effetto. Eravamo già preparati, sapevo cosa avrei dovuto fare ma mi rifiutai di farlo, per questo ricordi di averci visto alzare la voce... speravo di non dover arrivare a tanto ma quando lui è cambiato ho dovuto farlo."

Adriel rivide il sangue sulle mani di lui e sentendo Max aggiunse un dettaglio al ricordo: rivide Ben scagliarsi contro uno degli istigatori, incurante dei colpi e afferrarlo poi al collo con entrambe le mani. Il colpo che liberò a bruciapelo fu letale. Fece lo stesso con un secondo istigatore prima che arrivasse il colpo di Max a fermarlo.

"Lo colpii alla testa, era l'unico modo che avevo per fermarlo, in quel momento. Sapeva cosa rischiava, ma è così che avrei dovuto fermarlo se fosse successo. Mi fece giurare che l'avrei fatto se ce ne fosse stato bisogno."

Adriel avvertì un tremore nella sua voce, fu allora che si accorse degli occhi velati di lucido.

Le strinse la mano, sentiva il suo dispiacere radicato.

Max cercò di scrollare di dosso quel momento, passando rapida l'avambraccio sugli occhi.

"So esattamente quello che hai provato stamattina quando sei morta dentro pensando di averlo ucciso" aggiunse appoggiando la guancia sulla nuca di lei. "Gli ci sono voluti tre giorni per uscire dal coma. A me è mancata l'aria per ogni secondo che è passato."

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