33. Il Consiglio (rev.02)

Michael Jones aveva preso il primo volo disponibile per rientrare in città. Mai si sarebbe potuto perdere un'occasione come quella: prendere Wigan con le proverbiali mani nel sacco, equivaleva alla possibilità di vendicare anni di rancore accumulato.

Sapeva bene che il protocollo prevedeva una precisa procedura: Benedict Wigan sarebbe stato interrogato dalla Pearson che avrebbe riportato al Consiglio le proprie impressioni e solo dopo attento confronto, sarebbe toccato loro esprimersi in un giudizio che, solo il signor H, eventualmente, avrebbe alla fine potuto confutare.

A lui però non interessava ascoltare il parere di nessuno, aveva già elaborato il suo personale giudizio: Wigan era insindacabilmente colpevole, senza alcun ombra di dubbio. Avrebbe pagato a caro prezzo quell'ennesima dimostrazione di insubordinazione e lo stesso avrebbe fatto la figlia, onde evitare che anche lei prendesse la stessa brutta piega insita nel padre.

Sapeva che Larsen e Makena, troppo in linea con il pensiero di Jacob Cohen, si sarebbero schierati in qualche modo a favore di Wigan, perciò avrebbe fatto leva sullo scetticismo di Sui e sull'ingenuità di Wheeler per portarli dalla sua parte e avere così la maggioranza.

Aveva preteso dalla moglie Melanija il resoconto dettagliato dei fatti e lei, sin nei minimi particolari, aveva descritto con devozione la situazione di panico scatenata dalla rivelazione della giovane Wigan.

Quando poi gli aveva riferito dell'onda di energia che Benedict aveva rilasciato in Azienda quella mattina, Michael Jones aveva smesso di ascoltare: l'idea che quel ragazzino si fosse esibito in quella dimostrazione sfacciata di superiorità, nonostante fosse sotto accusa, era una chiara e continua dimostrazione della sua convinzione di poterli tenere tutti in scacco. Ma questa volta le cose sarebbero andate diversamente, ne era fiducioso: Wigan avrebbe perso il vizio perché anche il lupo più indomabile può venire addomesticato con la giusta coercizione.

Entrò nella sala riunioni in grande stile, aprendo la porta di slancio, massaggiandosi marcatamente la protesi che aveva al posto della mano destra, di modo che tutti avessero bene in mente il ricordo di ciò che Wigan gli aveva fatto tredici anni prima.

"Michael!" esclamò Sui scattando in piedi.

Larsen, nel vederlo attraversare la sala con la stessa celerità di un treno fuori controllo, si limitò a un cenno del capo, spostando poi rapido lo sguardo su Makena che gli sedeva di fronte.

La donna dedicò al nuovo arrivato un sorriso caloroso, usando un poco della sua energia positiva per rimettere in equilibrio la lava di rancore, pericolosamente sull'orlo dell'esplosione, che sentì chiaramente ribollire in lui.

"Sprechi energia, Makena" disse collerico prendendo posto accanto alla moglie, "l'odio è un vizio che non riesco più a controllare da anni ormai."

"È comprensibile Michael, ma devi fare uno sforzo. Non possiamo abbassarci al suo livello" disse imperturbabile Sui Eikichi, lanciando poi un'occhiata torva al collega Jonathan Wheeler, seduto accanto alla signora Jones.

"Gli ho solo tirato un pugno!" esclamò l'uomo sulla difensiva. Come aveva previsto Jørgen Larsen, Jonathan Wheeler, un uomo robusto con un paio di baffoni aranciati, era stato effettivamente il primo a colpire Wigan non appena aveva raggiunto il ventesimo piano.

"È stata comunque una scarsa dimostrazione di autocontrollo, nonché un pessimo esempio" proseguì la signora Eikichi alludendo all'attacco perpetrato dagli altri vedenti ai danni del giovane accusato.

"Dimmi che ne è uscito per lo meno sanguinante" chiese famelico Jones al collega; la moglie gli strinse la mano sinistra come a trattenerlo.

"Ci siamo andati giù pesante" commentò in risposta l'uomo esageratamente tronfio.

Jørgen Larsen si lasciò scappare un sorriso soffocato.

"Che hai dai ridere, Larsen?" chiese Jones voltando lo sguardo sull'uomo che gli sedeva accanto.

"Jonathan ha sempre la tendenza a esagerare" commentò lo scandinavo guardando Makena dritto davanti a sé piuttosto che rivolgersi a Jones che teneva il volto a pochi centimetri dal suo. "Credo invece che sia stato Wigan ad andarci giù pesante, dato che gli è bastato farsi sentire per mettere tutti a tacere."

Il ricordo di quella sensazione di forza, mista a dominanza, che aveva percosso l'intero edificio, freddò per un istante coloro che avevano presenziato all'evento; tutti eccetto Jones.

"Peccato che io mi sia perso il momento allora" tagliò corto Jones abbandonandosi allo schienale, "ma avrò di certo un posto in prima fila quando sarà giudicato colpevole e dato in pasto ai suoi nemici."

"E chi sarebbero, di grazia, questi nemici?" chiese Makena appoggiando i gomiti sul tavolo e incrociando le lunghe dita affusolate tra loro.

"Noi vedenti."

"Parli per te allora, Michael. Non ho mai considerato Benedict Wigan un nemico e non inizierò a farlo oggi" rispose la donna serenamente.

"E tu parli per Cohen, Makena."

La donna sorrise, come se si aspettasse quella contro risposta. Larsen sorrise a sua volta.

Sui Eikichi, come era solita, si tenne pronta a fare da mediatore.

"Parlo per i fatti, Michael. Non ho mai avuto problemi a lavorare con Ben Wigan. Ha sempre fatto ciò che è di dovere per un vedente e a volte, anche molto di più..." Pronunciò quell'ultima frase con rammarico, che solo Larsen poté cogliere però.

"Non intendo voltargli le spalle solo perché ha commesso una scelta dettata dal cuore" concluse la donna diventando seria.

"Credevo che la Pearson non avesse ancora riportato i dettagli del loro colloquio?!" finse stupore Jones, muovendo lo sguardo incredulo tra i colleghi. "La teoria del falso amore paterno, dove l'hai pescata?"

"È la motivazione più razionale" si affrettò ad inserirsi Larsen. "Perché altrimenti avrebbe nascosto la rivelazione della figlia, se non per proteggerla?"

"Proteggerla?! E da cosa?" chiese Wheeler spalleggiando apertamente il pensiero di Jones. "Anche i nostri figli si sono rivelati e hanno iniziato l'addestramento. Perché per lei dovrebbe essere diverso?"

"Perché è stato diverso per Ben Wigan e lui temeva che sarebbe stato lo stesso per sua figlia" rispose Makena.

"Già, Benedict Wigan è stato ed è diverso" asserì la signora Eikichi con un doppio cenno secco del capo. "Non conosco i dettagli della sua rivelazione ma la parola diverso credo sia la più adatta a definirlo: il suo potere di assorbimento, l'estensione smisurata della sua energia e... del suo istigatore."

"Sua figlia ha già dato dimostrazione di avere lo stesso potenziale, non intendo stare con le mani in mano ad attendere che anche lei riveli il suo mostro nascosto!" sentenziò collerico Jones.

"Anche noi siamo diversi, a modo nostro" ribatté Makena. "Abbiamo un'estensione energetica maggiore rispetto alla media dei vedenti, con l'aggiunta di doti spiccate nel percepire determinati lati delle emozioni..."

"Ma i nostri istigatori sono finiti nel Limbo in quelle rare occasioni in cui è capitato che venissero rivelati. Per Wigan non è stato lo stesso. Non puoi fare finta di non vedere!" esclamò Sui Eikichi.

"Emarginare lei come avete fatto con lui, pensi sia la soluzione?" domandò Larsen.

"L'Azienda ha emarginato Ben Wigan, noi abbiamo solo seguito il protocollo" ribatté Jones.

"Noi siamo l'Azienda, noi abbiamo scelto di voltargli le spalle" sentenziò rapida Makena.

Calò improvviso il silenzio, dovutamente imposto dalla riflessione che quell'affermazione aveva indotto.

Fu inaspettatamente Melanija Jones a riprendere la parola.

"Credete davvero che l'abbia fatto per amore di sua figlia?"

"Quando provi il vero dolore, fai di tutto per evitare quella stessa sofferenza alle persone che ami."

Jørgen Larsen pronunciò quell'affermazione con una profondità disarmante e palpabile; tutti compresero l'origine di quell'intensità.

"Nessuno le avrebbe torto un capello!" esclamò Jonathan Wheeler alzando le braccia sopra la testa.

"Ne sei così sicuro?" gli domandò di rimando Makena.

"Adriel è una ragazzina! Una vedente adolescente che come i nostri figli si è finalmente rivelata. Chi e perché le avrebbe dovuto fare del male?" li interrogò Sui con accento marcato.

"Anche Benedict era un ragazzino quando è arrivato qui, eppure nessuno si è fatto remore a permettere che venisse torturato" sentenziò Larsen, sfoderando uno sguardo terribilmente accusatore.

Jones scoppiò di rimando in una sonora risata.

"Stronzate, Larsen! Ha meritato ogni centimetro delle cicatrici che si porta addosso e Dio solo sa quanto avrei voluto tenere in mano il bisturi che gli ha aperto in due il braccio!"

Lo sbalzo di livello di Jones fu un'eco d'ira vendicativa che li colpì così forte da nauseare.

"Ha fatto la stessa cosa tredici anni fa. Per proteggere lei" disse Larsen, forzandosi a tenere gli occhi al centro del tavolo.

"Ha ucciso per farlo" proferì Melanija Jones prendendo la parola.

"Avrebbe potuto fare lo stesso oggi, ieri, in qualsiasi momento, ma non l'ha fatto. Ha solo rallentato un processo inesorabile. Ha preso tempo, per lei" ribatté Makena calma.

"Ma non ha senso!" commentò Wheeler scuotendo la testa.

Makena sorrise, irradiando un tepore confortante che smussò, seppur momentaneamente, l'impeto di tutti.

"Le ha dato la possibilità di essere normale. È stato un grande dono" aggiunse.

"Un dono inutile!" la contraddì diretto Jones.

"Avete mai pensato che i vostri figli potrebbero morire durante uno scontro?" chiese Larsen voltando finalmente lo sguardo sui coniugi Jones e poi su Wheeler e Sui che sedevano accanto a loro. "La morte è la conclusione del destino di tutti, ma il nostro lavoro riduce di molto la prospettiva di una vita lunga e serena. Dubito non abbiate mai fatto questa riflessione. Se fosse possibile, non vorreste che i vostri figli fossero diversi?"

La realtà si palesò davanti ai loro occhi come un raggio di luce in una stanza totalmente buia. Le parole di Jørgen Larsen li spinsero a materializzare quella possibilità che purtroppo, non era poi così remota. L'idea di perdere un figlio, era una prospettiva che i vedenti cercavano di tenere il più lontana possibile dal pensiero, anche di più della consapevolezza di non uscire sempre illesi dagli scontri. I lineamenti di Sui e Melanija si addolcirono, lo stesso fece lo sguardo di Wheeler; solo Michael Jones parve rimanere esteriormente e interiormente fermo nelle proprie convinzioni.

"Io vorrei essere diverso, ogni dannato giorno" confessò apertamente Larsen. "Perché se non fossi stato un vedente, gli istigatori non mi avrebbero attaccato e le mie figlie non sarebbero morte in quello scontro."

"Quanto è successo alla tua famiglia è stato un orribile incidente, Jørgen" disse compassionevole la signora Jones. "Wigan invece ha agito di proposito, contro i principi della nostra Azienda! Tredici anni fa si è auto istigato per essere ancora più devastante e sai perfettamente quello che ha fatto alla mano di Michael!"

Jørgen Larsen aveva provato il dolore più nero e toccato il fondo così a lungo che si era rassegnato a vivere rasentando la superficie della vita. Poche cose ormai erano in grado di scalfire la sua integrità così forzatamente tenuta insieme dall'inerzia; la menzogna era una di quelle.

"Quella dannata notte, Michael è stato il primo a raggiungere i laboratori sulla 7ma. Non credo abbia mai detto come mai, mentre tutti davamo la caccia a Wigan, lui si trovasse da tutt'altra parte..." incalzò tagliando con lo sguardo l'arroganza finora palesata di Jones.

"Cosa diavolo c'entra questo?"

"Rispondi Michael, per favore" pretese la signora Eikichi nel calzante ruolo di mediatore.

"Era logico che andasse là a riprendere la figlia!"

"Non è stato logico per nessuno, non poteva esserlo e lo sai anche tu" proseguì Larsen con fermezza.

"Cosa vorresti dire?" domandò sorpreso Jones.

"Volevi usare Adriel per convincere Benedict a placarsi. Ma hai esagerato e quando l'hai avuto di fronte, lui ha perso il controllo per davvero."

"Usare?" ripeté incredula Melanija Jones passando lo sguardo stranito dal marito a Larsen.

Makena era impassibile. Wheeler confuso. Sui Eikichi tremendamente attenta.

"Era già fuori di sé!" si giustificò immediatamente Jones. "Tenevo la bambina sì, ma solo per metterla al sicuro da lui!"

"Non ti avrebbe polverizzato la mano né distrutto l'intero palazzo se tu non avessi allarmato il suo istinto paterno" proseguì Larsen scandendo ogni singola parola.

"Istinto paterno?! Non ricorda nemmeno il nome della madre della sua bastarda, come puoi credere che provi qualcosa per quella ragazzina? Ma andiamo, siamo seri! Ci ha preso in giro, l'ha sempre fatto e continua a farlo. Noi non dovremmo nemmeno essere qui a perdere tempo per lui! Là fuori la situazione è cambiata, è in campo che dovremmo essere e dove anche io vorrei essere se quel figlio di puttana non mi avesse reso monco!" esclamò Jones al culmine della rabbia mostrando la protesi dove ci sarebbe dovuta essere la sua mano destra.

"L'amore fa fare cose folli, e lo stesso vale per l'odio e per l'invidia. Si può essere brutalmente onesti o terribilmente bugiardi se mossi da uno di questi sentimenti: Wigan, per amore, non è stato onesto sulla rivelazione di sua figlia. Tu, per l'odio che provi nei suoi confronti, hai mentito."

"Mentito?! Io?!" si sfogò Jones scattando in piedi e afferrando di colpo Larsen per il braccio costringendolo ad alzarsi a sua volta.

"Makena!" si trovò a gridare la signora Eikichi chiedendo alla collega di intervenire per sistemare lo sbalzo di livello creatosi, ma la donna parve non sentire, tenendo lo sguardo fisso e rilassato sui due uomini.

Melanija saltò in piedi afferrando il braccio del marito. Wheeler fece altrettanto ma Larsen, con un gesto inequivocabile della mano libera, gli fece capire di fermarsi.

"Michael!" lo strattonò Melanija.

L'uomo colse perfettamente lo sbalzo di turbamento della moglie.

"Perché tenevi la bambina?" gli chiese poi sovrastando il silenzio improvviso che si era venuto a creare.

Michael Jones lasciò la presa su Larsen, abbassando lo sguardo sul tavolo davanti a sé.

"Perché tenevi la bambina?" tornò a ripetere la donna.

"Per proteggerla" ribadì lui con meno slancio.

Il ricordo, così forzatamente stimolato, fu costretto a tornare a quella notte.

Jones rievocò nella mente la corsa fino alla nursery allestita di fortuna: sulla schiena i brividi alla percezione di lui a pochi metri di distanza, la sensazione dell'aria che a contatto con l'energia devastante del giovane Wigan si era fatta densa.

I suoi occhi terribili alla vista della figlia in fasce tra le braccia di uno sconosciuto.

No, non fu il suo gesto ma quello che gli permise di sentire a togliergli il controllo. Ciò che Ben lesse in Jones fu il coraggio di diventare peggiore, di riuscire a fare qualcosa di orribile senza provare rimorso.

In quel momento però, nel ricordare, lì tra gli altri membri del Consiglio, Michael Jones provò una sensazione totalmente diversa: vergogna.

"Puoi smetterla adesso, Michael. Siamo arrivati al punto" disse Larsen con tono incredibilmente calmo.

L'uomo strabuzzò gli occhi, non comprendendo sul subito il significato di quelle parole.

"Ora è chiaro a tutti su quale Wigan hai puntato il palmo della mano quella notte."

Lo sbalzo fu avvertito con intensità anche dagli altri e ciò che per Jørgen Larsen era sempre stato in primo piano, nella parte più segreta dell'animo di Jones, finalmente fu chiaro a tutti.

Da uomo calmo e riflessivo qual era, il signor Cohen decise di attendere pazientemente il verdetto del Consiglio stando in disparte, nel suo ufficio al tredicesimo piano.

Gli operativi del nucleo da lui coordinato, quello focalizzato sulla gestione dell'addestramento e della crescita delle nuove leve, stavano iniziando a occupare le loro postazioni; quella che era iniziata come una giornata di cambiamento stava lentamente riprendendo i connotati tipici della routine.

Non appena Teresa Pearson era uscita dal suo ufficio, aveva chiamato sua moglie Hellen per aggiornarla e rassicurarla sullo stato di Adriel e Ben.

Tutta la famiglia Cohen nutriva per loro un profondo affetto ma Hellen, in particolare, pur essendo l'unica a non essere una vedente, era riuscita a creare con entrambi un legame più forte e intimo.

Forse perché, in fondo, aveva sopperito per tutti e due alla mancanza di una figura materna, o forse perché era naturalmente buona a tal punto che non serviva essere un vedente per capirlo.

Il signor Cohen aveva la convinzione che con lei Ben riuscisse a essere sé stesso.

Aveva spesso invidiato il rapporto speciale che si era instaurato tra i due, fatto più di scambi di sguardi che di parole.

Lui si era sforzato a lungo di capire quel quindicenne apparentemente introverso, aveva tentato di coglierne le sfaccettature emotive, giocando tra l'essere permissivo e disponibile a diventare severo e irremovibile. Con Ben però, sin da subito, si era reso conto che il vecchio metodo del bastone e della carota non poteva funzionare: era come se l'odio che aveva scatenato negli altri, gli si fosse riversato contro rendendolo insofferente al mondo.

Nonostante avesse la capacità di fargli perdere la pazienza spesso e volentieri, il signor Cohen non si era mai pentito della sua scelta perchè quel buono, che solo lui era riuscito a vedere, si manifestava ogni volta che Ben passava del tempo con Hellen: l'attenzione che le riservava quando lei gli spiegava come prendersi cura di Adriel, la mortificazione che gli leggeva dentro quando era lei a rimproverarlo, la spensieratezza con cui lo sentiva ridere delle sue battute, la riconoscenza che gli vedeva negli occhi quando la guardava. Era come se, per Ben, Hellen rappresentasse la salvezza da un buio che aveva dentro; il faro cui anelare per poter finalmente respirare.

Non aveva mai mentito a sua moglie, ma quella volta aveva dovuto fare un'eccezione. Fingere di essere convinto che tutto si sarebbe concluso nel migliore dei modi lo aveva però infastidito; il non sapere cosa sarebbe toccato in sorte a Ben non lo lasciava del tutto tranquillo. Aveva tentato di risparmiare a Hellen quel peso pur essendo certo che lei avrebbe intuito il suo maldestro tentativo di minimizzare. In fondo, lo conosceva da più di trent'anni e mentire non era proprio nelle sue corde.

Il telefono squillò ridestandolo da quei pensieri. Identificò subito l'interno da cui proveniva la chiamata. Sollevata la cornetta riconobbe immediatamente la voce di Anna Dillon.

"Signor Cohen!"

Il tono allarmato lo scosse di colpo.

"Sta succedendo qualcosa di terribile!" aggiunse rapida senza prendere fiato.

"Anna, ti prego, cerca di calmarti" tentò di rassicurarla lui nonostante percepisse onestà dietro quel tono. "Cosa è successo?"

La sentì espirare con forza, nel tentativo di alleggerire la tensione.

"Deve venire a vedere!" esclamò la segnalatrice perdendo del tutto il controllo.

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