30. Elijah Cohen (rev.02)

Era incredibile come quella città non riuscisse mai a dormire del tutto. Nonostante l'ora, un numero sorprendente di persone già brulicava operoso lungo le principali arterie cittadine.

Non aveva mai usato davvero la bici per raggiungere i luoghi delle segnalazioni; quello era stato solo il diversivo, l'espediente, che aveva utilizzato per dare veridicità al suo lavoro di copertura.

Era uscito e rientrato di casa per anni con quella mountain bike verde limone, solo per far credere ad Adriel che fosse un corriere, quando in realtà ci faceva solo un centinaio di metri, per poi nasconderla dietro il cassonetto di un vicolo a fondo chiuso. Il pensiero che d'ora in avanti non avrebbe più dovuto seguire quella routine, gli diede un insolito sollievo.

Prese la metro, confondendosi tra la folla dei pendolari. Appena ebbe occupato un risicato spazio tra le porte scorrevoli e un paio di studenti che ipotizzò essere delle superiori, sentì un'energia simile alla sua. Tra la folla accalcata in piedi, oltre la spalla di un uomo distinto intento chissà come a leggere il giornale, notò due occhi fissi inchiodati su di lui.

Sentiva che la donna che gli stava dedicando tutta quell'attenzione era una vedente. Non la conosceva, come non conosceva la maggior parte degli altri, ad eccezione di quei pochi che si sentiva di definire amici, ma percepì chiaramente il suo disprezzo ferirlo più dello sguardo con cui lo stava trafiggendo.

Ben si sentì in dovere di distogliere il suo, fissando le porte del treno che avvertiva scorrere veloce sotto i suoi piedi, fino a quando queste si aprirono: sapeva che non avrebbe sopportato il peso di quel giudizio ancora per molto, perciò scelse di scendere, nonostante mancasse ancora una fermata alla sua destinazione.

Avevano ragione, gli altri, a provare per lui quello che stavano provando e che in fondo avevano sempre provato. Aveva preferito sembrare quello che non era, invece di essere vero, perché sapeva che per loro sarebbe stato più facile odiarlo piuttosto che provare a comprenderlo.

Aveva fatto quella scelta volutamente e consapevolmente, ma nonostante gli anni fossero passati, ancora non si era abituato al loro giudizio.

Adriel non era complicata come lui. Lei era semplice nel suo essere vera e incredibilmente spontanea.

Non gli aveva mai mentito, Ben ne era certo, anche perché lo avrebbe sentito. Per avere solo tredici anni ed essere cresciuta senza la giusta guida e con il poco che lui era riuscito a offrirle, era straordinariamente altruista.

L'Azienda tratteneva buona parte del suo stipendio, come risarcimento ai danni provocati sulla 7ma, incidendo parecchio sulle sue finanze. Con i turni cui era costretto, gli era sempre stato impossibile fare un secondo lavoro e quello che guadagnava, tolte le spese, lo aveva sempre messo da parte per lei, nella consapevolezza che ogni giorno sarebbe potuto essere l'ultimo per lui.

Aveva rischiato la pelle in più di un'occasione e nei primi anni che era in città, aveva anche segretamente sperato che un colpo imprevedibile ricevuto alle spalle o un'onda di energia fuori controllo, mettessero fine al suo dolore. Ma ogni volta che rincasava dai Cohen, c'era lei a fargli comprendere il senso di quella vita così sfortunatamente sofferta. Quella sensazione, che solo Adriel era in grado di regalargli, aveva la rara e inspiegabile capacità di dargli un senso di completamento; qualcosa a cui lui, ormai, non sarebbe più stato in grado di rinunciare.

Si fidava di Max e confidava nella sicurezza ostentata da Adriel, ma era pienamente convinto che a scuola, gli altri, non le avrebbero reso vita facile.

Si ripromise per tanto di sistemare in fretta la situazione sotto il ponte tra la Sicomore e la House e di fare poi un salto alla scuola di lei, giusto per sincerarsi che tutto fosse in equilibrio.

Mentre camminava svelto, confondendosi tra la folla di normali, si infilò in bocca una sigaretta, rallentando per un attimo i pensieri: quella mattina Adriel, in Azienda, aveva rivisto Regine.

Si era trattenuto da farle domande, quando a casa di Max, gli aveva detto di essere stata in sua compagnia.

Le avrebbe voluto chiedere come le era sembrata, se avesse sentito qualcosa trapelare da lei, se avesse avuto modo di parlarle. Tutte domande che, a ripensarci, sarebbero state inutili da porre: se Regine teneva al proprio ruolo, l'unico modo per salvarsi era negare la verità su ogni cosa, dal sapere dell'avvenuta rivelazione di Adriel alla natura dei sentimenti che la muovevano verso di lui.

Ben aveva sperato di incontrarla quella mattina: doveva sentirla, ne aveva dannatamente bisogno.

Vide il ponte in lontananza, in meno di una quindicina di minuti l'avrebbe raggiunto.

Si fermò però sul bordo del marciapiede, voltandosi indietro, verso dove era venuto.

Elijah Cohen era immobile a pochi metri da lui. Erano anni che non lo vedeva ma non si soprese nel ritrovarlo troppo magro per la sua altezza, esattamente come se lo ricordava. Gli occhi intensi del padre lo guardavano con apprensione, mentre i capelli biondo scuro, ereditati dalla madre, erano lunghi e scomposti come li aveva sempre visti.

"Hai intenzione di restare lì o intendi avvicinarti?" gli domandò Ben alzando il tono per sovrastare la confusione del traffico.

Il ragazzo strinse le spalle nella giacca scamosciata che aveva indosso, esibendo quel tic involontario che era solito lasciarsi scappare quando era nervoso; Ben lo conosceva molto bene.

Lo guardò avvicinarsi scansando gentilmente i pedoni che proseguivano dritti spediti per la loro strada, senza premurarsi di evitarlo; Elijah era sempre stato così, troppo buono e spesso tanti ne avevano approfittato.

Diametralmente l'opposto di Ben, sia caratterialmente che fisicamente, durante gli anni dell'adolescenza, in cui avevano vissuto insieme a casa Cohen, Elijah aveva tratto giovamento dalla sicurezza di Ben mentre quest'ultimo aveva tentato di imparare la calma dal maggiore dei figli di Jacob Cohen.

Quando l'ebbe di fronte, Ben si rese conto che era cresciuto ulteriormente dal loro ultimo incontro; doveva aver raggiunto il metro e novanta, perciò fu costretto ad alzare lo sguardo per colmare quella differenza di dieci centimetri abbondanti.

"Che ci fai qui, Cohen?"

"Beh... un ciao per iniziare non sarebbe stato male..." ribatté l'altro con tirato sarcasmo.

Ben aspirò profondamente il tiro, prima di gettare a terra il mozzicone, rivelando una punta di nervosismo; in fondo, però, Elijah era nel giusto, perciò riassestò il proprio equilibrio prima di rispondere.

"Hai ragione, ricomincio" riformulò, ma con tono palesemente forzato. "Ciao Cohen! Come te la passi? Come mai da queste parti?"

Elijah gli lanciò un'occhiata di disapprovazione che a Ben ricordò in modo impressionante quelle ricevute troppo spesso dal signor Cohen.

"Per una volta che mi parli, dopo anni in cui mi ignori, fallo alla Benedict, almeno!" ribatté serio il ragazzo, "Mandami a fare in culo, senza tutte queste scene!"

Ben strabuzzò gli occhi per l'inaspettata risposta.

"Cohen!" esclamò poi dandogli una pacca decisa alla spalla, "Non ti ho mai mandato a fare in culo! Perché cazzo dovei farlo adesso?"

"Beh, dalla tua energia non traspare decisamente rilassatezza, quindi... desumo che la mia apparizione non abbia fatto altro che accentuare il tuo buon umore..."

"Cazzo..." si lasciò scappare Ben mentre infilava in bocca una nuova sigaretta, scuotendo la testa. "Puoi non essere così tanto Cohen?"

Il ragazzo di rimando assunse un'espressione stupita.

"Non essere sempre così dannatamente pacato!" spiegò Ben riprendendo a camminare. "Se tu mi avessi risposto come ti ho risposto io poco fa, ti avrei mandato a fare in culo e senza chiedertelo!"

"Ma tu sei tu e io sono io" si affrettò a rispondere Elijah standogli al passo. "Io non riesco a essere stronzo come te, con gli amici!"

Ben si bloccò di scatto, incurante delle persone che gli stavano camminando alle spalle e che nella distrazione mattutina, lo urtarono scusandosi in modo spiccio.

"Cosa hai detto?" gli chiese levandosi di scatto la sigaretta dalle labbra.

"Ho solo detto la verità, quello che penso." Rispose Elijah, rosso per l'imbarazzo, levandosi dal flusso di marcia e mettendosi di fronte a Ben. "Non puoi negare l'evidenza. Hai tagliato i ponti con tutta la nostra famiglia. Ho capito adesso, lo hai fatto per Adriel, e hai fatto la cosa giusta, ma almeno una telefonata, quattro chiacchiere dietro una birra ogni tanto... abbiamo passato ore a parlare quando eravamo alle superiori!"

"Hai detto bene: quando eravamo alle superiori. Prima che tutto diventasse tremendamente complicato e pericoloso, cazzo!" ribatté Ben scansandolo di colpo e proseguendo lungo la sua direzione.

"È sempre stato complicato per te, Ben!" proseguì Elijah accelerando il passo per raggiugerlo.

"Bravo, hai detto giusto. Per me non è cambiato niente. La mia vita è sempre stata una complicazione e continua irrimediabilmente a esserlo! Il problema è stato quando è diventato pericoloso per voi" continuò Ben senza voltarsi a guardarlo.

"Ma nessuno di noi ti hai mai chiesto di andartene o smettere di parlarci!"

"Non avevo bisogno che me lo diceste a parole."

"Ma... nessuno ti ha mai fatto sentire un problema!"

"Sì, forse!" rifletté rapido Ben. "Già mi ci sentivo di mio."

"Non avresti dovuto sentirti così..." disse Elijah senza nascondere il proprio rammarico.

"Disse quello che mi aveva appena dato dello stronzo" ribatté secco Ben pur sentendo la sincerità nel ragazzo.

"Non lo pensavo veramente."

"Lo so."

"Ho solo provato a essere meno Cohen, ma mi è uscito male e ti ho offeso, scusami."

"Smettila di scusarti! Hai fatto centro invece... me lo sono meritato" ammise Ben incontrando finalmente lo sguardo di lui. "Come hai fatto a trovarmi?"

"Macallan. Mi ha raccontato di questa mattina. Sapevo che eri da Max, stavo per suonare quando ti ho visto uscire e ti ho seguito."

"Perché?"

"Perché non avevo un cazzo da fare stamattina all'alba e ho pensato di farti una sorpresa" rispose il maggiore dei Cohen sarcastico. "Secondo te perché, stupido idiota?"

Ben si morse la lingua, in un guizzo di imbarazzo.

"Eravamo preoccupati, tutti noi: io, mia sorella, mia madre. Mio padre stamattina non ci ha dato buone notizie, temevamo il peggio in Azienda."

"Il peggio deve ancora venire, motivo per cui mi devi stare alla larga" disse Ben irremovibile mentre svoltava rapido a destra per poi attraversare una delle vie principali.

"Non sarà così facile liberarti di me. Ora che Adriel è una di noi non hai più motivo di tenere le distanze, anzi, potremmo tornare a frequentarci come una famiglia" disse carico di entusiasmo Elijah senza perdere il passo.

Famiglia. La spensieratezza con cui pronunciò quella parola gli arrecò un pungente fastidio. Avrebbe voluto condividere con lui quello slancio ma sapeva che il passato e i suoi errori non gli permettevano di crogiolarsi in quell'immagine felice.

Giunti sul marciapiedi dal lato opposto, Ben afferrò il ragazzo per la manica della giacca, costringendolo a mettersi di lato, spalle al muro.

"Li ho fatti incazzare, Cohen. Ho tirato la corda fino a quando si è spezzata. H troverà uno dei suoi modi perversi per farmela pagare e non voglio dover scegliere questa volta. Perciò tu e la tua famiglia dovete starmi alla larga!"

Faccia a faccia, gli occhi verde scuro di Ben piantati nei suoi: fu preoccupazione quella che Elijah vide chiaramente.

"Non può farlo... di nuovo" commentò poi con un filo di voce.

"E chi lo dice? Tu?" lo sfidò Ben stringendo istintivamente la presa sulle sue braccia.

Elijah, inchiodato, non riuscì ad aggiungere altro.

"Questa volta, voglio poterlo guardare in faccia e accettare le sue condizioni senza battere ciglio" proseguì Ben senza mollare la presa, "Ma per farlo, non devo avere punti deboli, mi hai capito?"

Lo liberò dalla stretta dandogli un colpo che lo portò a sbattere contro il muro.

Elijah sapeva che Ben aveva ragione, purtroppo. Lo avrebbe aiutato al volo e con ogni mezzo se avesse saputo come. Si sentiva impotente e la mortificazione fu il sentimento preponderante che si scatenò in lui.

"Non serve che tu ti senta così" disse Ben leggendolo poi poggiandogli le mani sulle spalle aggiunse "Basto io."

Elijah fissò lo sguardo in quello dell'amico, percependo e leggendovi la sincerità più assoluta. Con un rapido scatto lo avvicinò a sé abbracciandolo stretto.

"Mi sei mancato" gli disse con calore.

"Anche tu" ricambiò Ben lasciandosi finalmente andare a un sorriso. "Non ti ricordavo così sdolcinato" aggiunse poi con fare ironico.

"Io invece ti ricordavo esattamente così stronzo" ribatté l'amico a farne il verso e riprendendo le distanze.

Fu il cicalio acuto dell'orologio – segnalatore di Elijah a interrompere quella rimpatriata.

"Il ponte tra la Sicomore e la House" lesse il ragazzo.

"È là che sto andando" disse Ben sorpreso. "Non mi mandano mai un supporto."

"Forse stai perdendo colpi. Andiamo!" lo invitò Elijah accelerando il passo. "Come i vecchi tempi!"

Ben, perplesso, iniziò a correre.

Il ponte sospeso tra la Sicomore e la House era una costruzione di inizi novecento, in cui il ferro la faceva da padrone.

Con più di mille metri di lunghezza, collegava la sponda est con quella ovest del fiume che tagliava in due la città.

Lungo la riva occidentale, sotto la gigantesca arcata della struttura, negli anni, si era andato infittendo un campo di fortuna, costituito da tende logore, arrangiamenti in cartone e teli, ripari per la comunità dei senzatetto.

Gli istigatori sempre più spesso battevano la zona, cercando di istigarne un numero sempre maggiore, per rendere così impossibile ai vedenti riportane la totalità allo stato normale.

L'Azienda era a conoscenza dell'alto tasso di istigazioni eppure da un paio d'anni a quella parte, era solita inviare la segnalazione solo a Benedict che, complice la penuria di energia cui si era costretto in quell'arco di tempo, aveva faticato e non poco a mantenere a un livello accettabile il numero di normali che trovavano rifugio là sotto.

Stavano correndo quando svoltarono l'angolo che immetteva sulla House; da lì avrebbero potuto finalmente vedere il primo pilone del ponte, dove si aspettavano di trovare un campo pullulante di istigatori. Ciò che sentivano era un'energia pulsante e in crescita.

Trovarono le tende di fortuna, i carrelli della spesa colmi di cianfrusaglie utili, i bidoni in metallo arrugginito usati la notte come bracieri, i teli consunti necessari a ripararsi dal freddo. Trovarono una città nella città ma nessuna traccia degli abitanti.

Fermi, al centro esatto di quella bidonville, iniziarono a muovere lo sguardo a trecentosessanta gradi: li sentivano eppure, davanti ai loro occhi, non vi era anima viva.

"Ma cosa diavolo..." si lasciò scappare Elijah setacciando rapido una fila di baracche. "Io li sento, qui..."

"Anche io" asserì Ben controllando il lato opposto, ma dietro gli spessi cellophane che andò a scostare non trovò persone.

"Non possono essere spariti!" esclamò Elijah alzando i palmi al cielo.

D'istinto voltarono entrambi lo sguardo a seguire la pendenza naturale che il terreno, privo di asfalto, assumeva nel protendersi verso la riva del fiume. Vi era un dislivello artificiale creato per accedere più facilmente a una banchina in disuso. Da dove si trovavano, il loro occhio non poteva andare oltre, ma sapevano che, al di sotto di quella struttura, il camminamento scendeva di almeno tre, quattro metri.

Si guardarono l'un l'altro.

"Li sento chiaramente, sono lì sotto... Ma perché?" sussurrò Elijah. "Sanno che li sentiamo."

"E loro sentono noi..." commentò Ben tenendo lo stesso tono, avvicinandosi maggiormente verso il bordo, orecchie tese. "Non possono pensare di attaccarci di sorpresa..."

"Ma se non vogliono attaccarci, che diavolo fanno là sotto?" domandò Elijah grattandosi distrattamente una guancia.

Ben rimase illeggibile anche se l'energia istigata che percepiva era decisamente superiore a quella che si sarebbe aspettato.

"Aspettiamo o attacchiamo noi?" chiese perplesso Elijah.

Nessuno dei due ebbe però il tempo di ponderare una risposta, perché la prima mossa passò in mano all'avversario.

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