23. Il tarlo del sospetto (rev.02)

Sul piccolo terrazzo, posto nel lato nord del quattordicesimo piano, Regine Weber inspirava l'aria pungente di quel mattino, in sorsate lente e controllate.

Era riuscita a ristabilire quel ritmo rilassato dopo circa un paio di minuti in cui, il suo battito accelerato, le aveva reso impossibile respirare a pieni polmoni in modo così continuo.

Le mani strette alla ringhiera del parapetto avevano trovato, nel contatto con il freddo gelido del metallo, un aiuto a rimettersi in equilibrio seppure lo sguardo smarrito di Adriel Wigan, i suoi occhi verdi così espressivi, continuassero a tenere vivo in lei un senso di afflizione misto a mortificazione più che soffocante.

Non aveva osato chiedere nulla ai colleghi del ventesimo piano, esattamente per lo stesso motivo per cui non si era spinta a scendere fino alla stanza in cui si stava svolgendo l'interrogatorio tenuto dalla signora Pearson. Se Adriel aveva innescato in lei un moto di sentimenti così difficilmente controllabili, era certa che la sola vista di Benedict, avrebbe tramutato quel turbamento in un ciclone interiore che sarebbe stato impossibile mantenere nascosto.

Aveva scelto così di restare al piano che le era stato assegnato, dove confidava di riuscire a recuperare la compostezza che il suo ruolo le imponeva.

Confinando amaramente i propri sentimenti nell'intimità segreta dei ricordi, si impegnò a tornare la Regine che l'Azienda esigeva che fosse, contenuta e soprattutto fedele, allontanando da lei qualsiasi strascico di sospetto che, per un legame che non si sarebbe dovuto creare con i Wigan, avesse mentito di proposito circa la già avvenuta rivelazione della piccola Adriel.

Lo doveva a padre e figlia e soprattutto lo doveva a sé stessa. Un tradimento, lì dentro, non si pagava con un semplice ammonimento.

Si passò rapida le mani tra i capelli, piegando le ciocche laterali dietro le orecchie, in un movimento lento atto a recuperare la concentrazione.

Guardò dritto davanti a sé, lasciando che lo sguardo si infilasse nella linea sottile che separava tra loro la fila di grattaceli schierati davanti a quello in cui si trovava, riuscendo a intravedere lo spiraglio di luce ormai crescente.

Si voltò per tornare sui suoi passi e solo allora si rese conto di non essere sola. Non aveva sentito la porta aprirsi né passi incedere sul pavimento in pietra naturale.

Jørgen Larsen era a pochi metri dietro di lei, appoggiato alla ringhiera accanto all'uscita. Il bavero del cappotto alzato e una sigaretta accesa tra le labbra, gli occhi dal taglio sottile, di un grigio cupo, che la fissavano imperturbabili.

"Se ne sono andati. La situazione si sta normalizzando. Puoi fare altrettanto" le disse in tono pacato.

La donna non sapeva come rispondere: se era stato lì tutto quel tempo, di certo aveva sentito tutto di lei.

Il vedente parve intuire il motivo dietro il suo silenzio così riprese a parlare:

"Sono tutti concentrati sui Wigan. A nessuno interessa più sapere se hai mentito o meno."

Regine sorrise abbassando leggermente il capo a terra.

"È impossibile mentire quando si fa parte di una messa in scena in cui i protagonisti hanno la capacità di leggerti come un libro aperto."

"Il tuo turbamento è più che lecito. Sei stata costretta a fare una cosa contro natura: sedurre un uomo per capire se stava mentendo" disse gettando a terra il mozzicone ormai spento, "e stava mentendo a tutti, te compresa."

Quando Ben aveva tagliato il rapporto con lei, non aveva dato spiegazioni e Regine, dal canto suo, non era riuscita a capire cosa fosse successo, non potendogli chiedere apertamente spiegazioni senza scoprirsi realmente.

"È difficile essere veri quando ci possono sentire ancor prima di conoscerci. La paura di non venire compresi ci porta a cercare di nascondere quello che di noi reputiamo più incomprensibile. Ma a volte è proprio quel qualcosa che celiamo così avidamente, che potrebbe dare la chiave di lettura corretta" proseguì Larsen sistemandosi il bavero per proteggersi dall'aria ancora troppo fresca, gli occhi grigi fissi in quelli di lei.

"Benedict Wigan, come noi, nasconde una perdita irrecuperabile. Per questo entrambi lo abbiamo capito."

Regine si sentì punta sul vivo.

"Lui non poteva sapere" ribatté lei con slancio. "È un vedente è vero, ma ho soffocato quel dolore in anni di terapia. Non sfioro mai il ricordo di quanto ho perso perché sono consapevole di quello che potrebbe scatenare."

"Puoi seppellirlo sotto valanghe di buone intenzioni ma il dolore, quello vero, si lega all'anima e per quanti tentativi tu possa fare per levarlo, crea solo strappi che lacerano e non rimedi che curano" tuonò lui.

Regine sapeva che anche Jørgen Larsen aveva vissuto la sua stessa perdita; provò un moto di comprensibile affinità che lui percepì sentitamente.

"È per questo che ho suggerito a H di mandare te e non qualcun altro a conoscerlo più da vicino."

L'udire quell'ammissione la lasciò incredula.

"Perché sapevo che lui non avrebbe potuto non sentire" proseguì Larsen spostando lo sguardo oltre il parapetto, verso la luce. "Due ferite che sanguinano cercano sollievo istintivamente l'una nell'altra. Si ha la convinzione che il fardello della sofferenza sia meno pesante se condiviso e così è stato anche per voi."

Regine rimase a contemplare il viso rilassato dell'uomo, illuminato dai raggi del mattino, seguendone poi il movimento, fino a quando fu alla sua spalla.

Larsen poggiò le mani sulla ringhiera ma senza guardare di sotto. Regine fece altrettanto, rimanendo in silenzio al suo fianco.

"Non immaginavo che anche lui potesse soffrire così tanto" disse poi lei flebile.

"Chi conosce il vero dolore non è solito vantarsene."

"Tutto quello che mi ha raccontato di lui e di sua figlia... Tutto, mi era sembrato così vero."

"E lo era."

"Come fai a esserne così sicuro?"

"Lo sapeva fin dall'inizio di non averti incontrata per caso. Non è mai stato uno sprovveduto. Se avessimo mandato una donna meramente affascinante, se la sarebbe portata a letto, senza troppi convenevoli e l'avrebbe allontanata subito dopo. Ma in te ha visto la possibilità di alleggerire quel fardello, per questo ha continuato."

Regine riconobbe a sé stessa di essersi comportata allo stesso modo, pur non sapendo nulla di quel lato tetro che Ben, a dire di Larsen, celava nel profondo. Eppure, istintivamente, doveva averlo percepito, perché era andata oltre la missione, oltre al conoscerlo intimamente quel tanto che bastava per capire se stesse mentendo ai suoi superiori.

Aveva trovato in lui un conforto che non provava da anni, quel calore umano, vero, che può alleviare più di qualsiasi terapia.

L'uomo allora percepì cosa ancora impedisse alla donna di mettere in pace il proprio turbamento.

"Non ti ha allontanata perché ha capito il tuo scopo" le dissevoltandosi a guardarla. "Ti ha allontanata quando ha capito che si stava innamorando di te."

Prima di raggiungere il ventitreesimo piano, dove i cinque membri del Consiglio erano in attesa del suo resoconto, Teresa Pearson urgeva di un confronto con quella che forse, era l'unica persona che davvero conosceva Benedict Wigan.

Raggiunse rapida il diciannovesimo piano attraverso le scale e prese diretta l'ascensore per il tredicesimo.

Jacob Cohen la riconobbe ancor prima di sentire i suoi tacchi incedere in modo deciso lungo il corridoio, fino alla porta del suo ufficio.

La donna bussò e lui la invitò a entrare.

"Hai sentito tutto immagino" disse lei saltando i convenevoli.

"Sentito sì, ma non con le orecchie, altrimenti non avrei fatto in tempo a cancellare la registrazione" rispose pacatamente l'uomo facendole cenno di sedersi di fronte a lui.

La Pearson si sorprese a quella rivelazione; la furbizia di lui la fece sorridere.

"Il Consiglio a breve saprà che ho ultimato il colloquio con Wigan. Si aspettano un rapporto. Solo che Wigan mi ha confuso le idee."

"Tipico di Ben, dire una cosa per non farne vedere un'altra" rispose l'uomo scuotendo il capo.

"È stato sincero invece. Fin troppo, per questo sono confusa. Accetta le conseguenze della sua decisione preoccupandosi solo che la figlia venga vista dal Consiglio come totalmente estranea ai fatti."

"Tipico di Ben anche questo" rispose l'uomo lasciandosi andare ad un mezzo sorriso. "Sapeva di non poter nascondere la rivelazione di Adriel troppo a lungo. Sapeva che prima o poi l'avremmo scoperto e una volta scoperto l'avremmo ascoltato."

"Vuoi dire che aveva pianificato tutto? Tu ne sapevi qualcosa?" chiese lei sinceramente sorpresa.

L'uomo sorrise di nuovo, questa volta con maggiore soddisfazione.

"No e non mi stupisce. Ha sempre fatto così. Mettermi davanti al fatto compiuto incurante delle conseguenze."

"Ci hai visto giusto però, con lui intendo. Non è come lo avevano descritto" disse poi la donna addolcendosi. "È incredibilmente bravo a mascherare i sentimenti che prova realmente. Tu come lo hai capito?"

"Come fai a fidarti di una persona?" le chiese lui in risposta.

"Se non conosco abbastanza la persona, direi che valuto le sue azioni."

"Le azioni sono difficili da utilizzare come metro di giudizio. Bisognerebbe essere certi del perché di un'azione prima di tutto, per poi, forse, poterla utilizzare applicata alla persona che l'ha compiuta. Spesso però, dietro un'azione, ci sono motivi complessi e difficili da comprendere. Una sola azione potrebbe inficiare la valutazione della persona e quindi portarci sulla strada sbagliata per la sua interpretazione" spiegò l'uomo con un sorriso bonario. "L'unico modo per potersi fidare di qualcuno è rischiare e dare a quella persona la possibilità di guadagnare la nostra fiducia. Se ci si ferma alla prima impressione, alla prima azione che questa persona appena conosciuta ci ha mostrato, si può vedere un lupo travestito da agnello ma anche non vedere l'agnello nascosto sotto il pelo del lupo. Non mi sono fidato di Ben dall'inizio ma ho subito capito che meritava la possibilità di farsi vedere per quello che era veramente: un ragazzino terrorizzato e confuso dagli eventi in cui noi lo avevamo trascinato."

"Quindi, è vero. È stata l'Azienda a portarlo qui, contro la sua volontà dunque..."

"Ben aveva le sue colpe ma l'incarico di ritirare un pacco prezioso arrivò prima che lui compisse la sua violazione."

"Fu H a ordinarlo immagino. Perché?"

"Gli ordini si eseguono e nessuno, fino a quando arrivammo sul posto, aveva idea di quello che avremmo trovato."

"Che accadde poi?"

"Li separammo, lui e Adriel. Quello fu un ordine diretto, dato da H in persona, che si era scomodato a venire con noi a duecento chilometri da qui, per essere certo che prendessimo quel ragazzo e lo portassimo a destinazione."

"Non ha senso..." commentò la donna del tutto confusa.

"No infatti e per me non ce l'ha ancora adesso" l'assecondò lui alzando le mani dalla scrivania. "Era come se H sapesse... Come se sapesse che se li avessimo divisi, tutto avrebbe avuto inizio. Come se volesse che Ben ci mostrasse di cosa era ed è realmente capace, come se lo stesse testando."

"Perché hai avuto quell'impressione? Lo hai sentito, forse?"

Il signor Cohen scosse la testa chiudendo gli occhi per un istante.

"H è molto bravo a non farsi leggere ma nonostante la distruzione che Ben ha causato e il male fisico che il nostro CEO ha preteso che gli venisse inflitto, per H, Ben è rimasto fondamentale."

"Il suo potere" spiegò lei, "è insostituibile, lo ha ammesso lo stesso Wigan."

"Il suo potere è unico e terribile ma è come se fosse destinato ad essere qui..." rifletté l'uomo a voce alta.

"Non è un caso che sia andato a prenderlo..." si unì la donna alla riflessione.

"Non esiste il caso, Teresa. Tutto segue uno schema. Anche l'aumento spropositato del numero di istigatori nella nostra città, non è un caso" aggiunse lui tremendamente serio.

"Pensi possa relazionarsi con Wigan? In che modo?"

"Loro aumentano, il potere di Ben è al culmine e Adriel si rivela dimostrando chiaramente di poter essere anche più potente di suo padre."

"Un buon segno allora. Avremo una maggiore difesa" disse lei con slancio.

Quella era la prima riposta sensata che Jacob Cohen avrebbe potuto dare alla sua interlocutrice, se non avesse sentito ciò che aveva sentito percependo l'energia di Adriel al culmine della sua rivelazione, né capito che Benedict gli aveva mentito alla domanda sulla madre di lei.

"Sentire gli altri, capire quello che provano, rende particolarmente riflessivi" riprese apparentemente virando l'argomento. "Ho sempre avuto l'innata tendenza a voler capire, prima di tutto. Credo sia questo il motivo per cui non sono quello che si definisce propriamente un uomo d'azione. Mia moglie dice che sono un uomo d'altri tempi, all'antica. In effetti ha ragione e la cosa non mi dispiace perché ho imparato che è nell'attesa della riflessione che si scoprono interessanti elementi da aggiungere alla conclusione. "

"Non... la pensi come me. Che dubbi hai, Jacob?" domandò la Pearson visibilmente preoccupata.

Il signor Cohen sapeva che se insinui il tarlo del sospetto, per certo, inizierà a scavare, lento ma in profondità e anche il legno più robusto, se consumato dall'interno con devozione, alla fine collassa su sé stesso.

Sperava solo di arrivare in fretta alla soluzione di un rompicapo che da tredici anni ormai gli arrovellava il cervello.

"Un passo alla volta, Teresa" disse poi tornando ad allargarle il bonario sorriso che lo contraddistingueva. "Parla apertamente con il Consiglio. Forse potrebbe essere la volta buona in cui anche loro capiranno."

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