20. Il signor Cohen (rev.02)
Jacob Cohen era da sempre un uomo previdente e anticipando l'andamento dei fatti, si era presentato in Azienda molto prima del consueto orario di lavoro.
Conosceva Ben troppo bene per pensare che il colloquio con la Pearson sarebbe stato un normale incontro tra un operativo e il suo superiore. La posta in gioco era alta e al signor Cohen era ormai chiaro che, per Adriel, Ben avrebbe fatto qualsiasi cosa.
Una volta uscito da casa Wigan, aveva mandato un messaggio ad Hellen, sua moglie, rassicurandola del fatto che sia padre che figlia stessero bene.
Si era poi diretto verso la sede centrale, dove aveva trovato la hall di ingresso presa d'assalto da vedenti e neutrali. Sapeva il motivo di quel raduno: pur essendo totalmente diversi tra loro, in quel momento, si ritrovavano tutti mossi dallo stesso proposito.
Gli agenti della sicurezza avevano permesso ai vedenti l'accesso alla zona ascensori per la salita al ventesimo piano, mentre i neutrali erano stati trattenuti all'ingresso.
Aveva cercato di tenere un profilo basso, per non dare troppo nell'occhio, ma mentre si era incanalato verso la zona ascensori, aveva capito che gli sarebbe stato impossibile.
Gli altri lo avevano riconosciuto e come succedeva da più di dieci anni, il loro atteggiamento nei suoi confronti restava ancora nettamente scisso in due fazioni: chi lo rispettava, come se fosse ancora a capo della sezione comportamentale e membro del Consiglio e lo salutava come dovuto e chi invece lo considerava alla stregua di un traditore, riservandogli solo sguardi di disprezzo.
Aveva atteso il suo turno e si era infilato nel primo ascensore disponibile.
Il suo ufficio si trovava al tredicesimo piano. Quella particolare mattina nel vano si erano stipate più persone del dovuto ma fortunatamente per lui, la salita non sarebbe stata troppo lunga.
Mancavano solo tre piani alla sua fermata quando aveva sentito una voce nota rivolgergli inequivocabilmente la parola:
"Questa volta il tuo ragazzo non sarà così fortunato."
Il signor Cohen era rimasto impassibile, calmo, come era nella sua natura.
Non si era voltato a cercare il confronto con il suo interlocutore e quando le porte si erano aperte alla sua fermata, con cortesia sia era fatto largo nella calca e scendendo si era limitato a dire: "Buona giornata anche a te Jonathan."
Il tredicesimo piano a quell'ora era completamente deserto.
Aveva percorso a passi lenti, mani in tasca, il lungo corridoio che terminava con il suo ufficio, ampio e circondato su due lati da grandi vetrate.
Si era poi seduto alla scrivania, dopo essersi slacciato il bottone centrale della giacca che era solito tenere sempre rigorosamente affibbiato.
Aveva chiuso gli occhi e si era preparato a sentire.
Conosceva perfettamente l'energia di Ben, la reazione che era in grado di stimolare nella sua, tanto che l'avrebbe facilmente riconosciuta anche in uno stadio gremito di persone.
Ogni vedente percepisce in modo proprio le energie che lo circondano, proprio come un normale ha una personale prima impressione di chi gli sta di fronte.
Jacob Cohen, in presenza di Benedict Wigan, aveva da sempre avvertito chiaramente la medesima sensazione: una richiesta d'aiuto gridata a squarcia gola da dietro un muro imbottito di falsa apparenza.
Forse era per quello che fin dall'inizio, anche dopo il disastro alla vecchia sede, lui non aveva mai smesso di prendere le difese di quel ragazzo dotato del terrificante dono di potersi appropriare dell'energia altrui. A tal punto che davanti al Consiglio e al signor H si era proposto di diventarne il tutore.
Ricordava ancora le reazioni degli altri membri del Consiglio di fronte alla sua specifica richiesta. Come Johnathan e Sui fossero rimasti scioccati mentre Jørgen e Makena lo avessero capito, forse perché più simili a lui oppure forse perché anche loro avevano potuto sentirlo per davvero.
Era però riuscito a convincerli tutti e contro ogni aspettativa, era riuscito a convincere lo stesso signor H. In cambio aveva dovuto dare le dimissioni dal Consiglio, che ufficialmente aveva dovuto prendere le distanze da quella decisione avendo per natura l'interesse dell'intera comunità di vedenti.
Contrariamente a quanto inizialmente tutti si erano aspettati, compresi sua moglie e suo figlio maggiore, Jacob non si era mai pentito della decisione presa, anche se aveva significato sacrificare una posizione di un certo rilievo che si era guadagnato in anni di impegno e duro lavoro.
Aveva inoltre dovuto rinunciare al ruolo di responsabile della sezione comportamentale ma era stato giusto anche quel passo. Sarebbe stato un assurdo controsenso che colui il cui compito era garantire il rispetto dei protocolli da parte di tutti i vedenti, tollerasse, anzi prendesse le parti, di qualcuno che li aveva violati così pesantemente.
Hellen e suo figlio Elijah lo conoscevano e lo avevano capito. Ed erano rimasti dalla sua parte senza indugio, anche se Jacob non era mai riuscito a spiegare loro cosa effettivamente lo avesse spinto, a spada tratta, a difesa di quel ragazzo conosciuto solo poche ore prima di quel disastro.
In realtà il signor Cohen non era mai stato in grado di spiegarlo nemmeno a sé stesso. Ciò che aveva sentito quando Ben, dopo la fuga, gli si era consegnato in resa, restava la sensazione più sconvolgente che avesse mai avvertito in tutta la sua vita. Quel dolore, così vivido e pungente, gli si era trasmesso da una pura sensazione alla reale convinzione di averlo sempre portato dentro di sé, come se lui stesso lo avesse vissuto sulla sua pelle. Quel dolore e quella paura lo avevano talmente scosso che ancora oggi, quando ricordava quel momento, sentiva corrergli lungo la pelle il fremito provocato da quelle emozioni così radicate all'energia di Benedict Wigan.
Avvertiva chiaramente la forte concentrazione di energia a quello che doveva essere il ventesimo piano, luogo in cui avrebbe avuto luogo l'interrogatorio, come riconobbe le energie di Teresa Pearson e di Harvey Burt.
Burt avrebbe di certo cercato di far vacillare l'equilibrio di Ben ma confidava che il ragazzo sarebbe stato in grado di soprassedere ai suoi tentativi in modo, sperava, il più possibile contenuto; così come sperava avrebbe superato indenne la barriera nemica formata dai vedenti che lo stavano aspettando.
Aveva sentito arrivare Benedict e con lui Adriel. Non li aveva persi un attimo e quando erano stati divisi, aveva scelto di concentrarsi sul ragazzo, consapevole del fatto che se lei avesse avuto sbalzi significativi, di riflesso, l'energia di lui ne avrebbe mostrato i segni.
Aveva registrato gli sbalzi impercettibili ma per lui oramai facilmente identificabili che avevano percorso come fremiti l'energia di Ben.
Aveva sentito poi quelli di lei, a un certo punto chiaramente provocati di proposito da qualcuno che conosceva bene.
Non si era preoccupato seriamente fino a quando l'energia di Ben era diventata muta; allora gli si era gelato il sangue.
Aveva spalancato gli occhi e trattenuto il respiro. Aveva sentito l'energia di Adriel diventare spropositata nel nutrirsi dell'energia del padre. E ancora una volta, come era accaduto nel frangente in cui si era rivelata, aveva avvertito, sulla sua energia e sulla sua pelle, quella sfumatura impercettibile ma pungente, come una lama sottile che si insinua tra le scapole.
Era una sensazione nuova, diversa da qualsiasi sensazione che l'energia di qualunque vedente o istigatore gli avesse mai provocato, eppure più vicina alla seconda che alla prima.
Aveva avuto quel pensiero solo per qualche istante, spazzato poi via bruscamente dal fatto che l'energia di Benedict non gli era più stata percepibile.
Era scattato in piedi e si era lanciato verso la porta dell'ufficio per poi bloccarsi con la mano stretta sulla maniglia quando, seppur debole, l'energia del ragazzo era tornata a farsi sentire.
Aveva tratto un respiro più che di sollievo, di rinascita. Qualcosa, sette piani sopra di lui, era successo. Non aveva potuto esimersi dal verificare di persona e una volta arrivato al ventesimo piano ne aveva avuto la certezza.
Non c'era traccia dei Wigan né di Macallan. Gli altri presenti invece erano stati bloccati in un rallentamento temporale forzato.
"Detto tra noi, lo fa così spesso?" aveva chiesto al cancellatore della famiglia Wigan che aveva trovato in attesa accanto a Burt.
Zephir era rimasto muto e impassibile.
"Benedict intendo, chiederti così spesso di usare il tuo dono a discapito del proto..." poi notando l'irremovibilità sul volto del cancellatore aveva ceduto, "lascia perdere."
"Lo ha colpito con un pugno?" aveva domandato poi notando l'insolita piega sulla guancia destra di Burt mentre gli era passato accanto.
Il cancellatore si era limitato a sollevare le spalle.
Il signor Cohen sapeva che tra Ben e Zephir c'era un rapporto particolare, decisamente diverso dall'asettico vincolo che di norma univa il cancellatore alla famiglia di vedenti che seguiva. Zephir copriva e spalleggiava il ragazzo, assecondandone le richieste anche quando queste andavano contro i rigidi protocolli aziendali.
Seppur incapace di provare emozioni, il signor Cohen era convinto che Zephir, per certi aspetti, fosse il miglior amico di Benedict.
Evitò di chiedere dettagli circa la spiegazione che avrebbe inculcato ai rimasti per giustificare la dipartita improvvisa dalla scena di Ben ed Adriel e andò dritto al punto che maggiormente urgeva di una risposta.
"Cosa ti ha chiesto di cancellare?"
Zephir, come ogni altro cancellatore aveva due soli difetti: non saper provare emozioni e non essere capace di mentire.
Teresa Pearson non si era resa conto dei circa dieci minuti di esistenza che non aveva vissuto a causa del blocco temporale subito dai presenti al ventesimo piano; per lei, come per i suoi colleghi, Burt incluso, il colloquio con Wigan si era concluso regolarmente.
Macallan aveva scortato il ragazzo, accompagnato dalla figlia, all'uscita, senza problema alcuno. Ora spettava solo a lei fare un sunto della situazione ai membri del Consiglio.
Uscendo dalla stanza incrociò Harvey Burt intento a massaggiarsi la mascella come se avesse sbattuto con forza contro qualcosa.
"Tutto bene Harvey?" gli chiese notando il suo malumore.
"Certo Teresa" rispose lui alzandosi in piedi e passandosi rapido una mano sui capelli, "tutto è andato per il meglio."
"Già..." disse lei inquadrandolo con una punta di sospetto. "Ho abbastanza informazioni per fare rapporto al Consiglio e non intendo perdere tempo. Prima chiuderemo questa grave situazione meglio sarà."
"Sono perfettamente d'accordo con te" asserì lui mellifluo. "Vuoi che ti accompagni?"
La donna trovò strana la proposta ma declinò con garbo.
"Ti ringrazio ma non occorre. L'unica seccatura saranno i vedenti dietro l'angolo che fremono per avere informazioni."
"Prendi le scale di servizio. A loro ci penserò io."
"Grazie."
L'aveva guardata muoversi a passo sicuro verso la porta d'uscita, senza voltarsi. Ammirava quella donna ma solo quel tanto che bastava per farle credere di essere ben disposto ad accettala come suo superiore.
Sapeva cosa aveva fatto Wigan. Sapeva che si era ritagliato uno spazio di dialogo da solo con lei, approfittando della sua debolezza.
Ora non doveva far altro che recuperare il tempo perso ma temeva che Ben non fosse stato così stupido da lasciare traccia di quel tête-à-tête.
Ordinò alla Anderson e a Pattinson di occuparsi dei vedenti dietro l'angolo; lui aveva cose più importanti cui pensare.
Lasciò che anche gli altri vedenti uscissero dalla stanza d'osservazione. Si diresse poi verso il pc usato per monitorare i colloqui e scorse rapido a ritroso lungo la registrazione dell'ultima ora.
Bloccò un paio di volte il video e altrettante lo fece ripartire, ma del colloquio privato tra Wigan e la Pearson non c'era traccia.
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