18. Credere (rev.02)

C'era una sola cosa che Teresa Pearson non riusciva a tollerare: apparire debole. E quando si perde la propria sicurezza, stare così, in piedi, sull'orlo dell'incertezza, non aiuta a mantenere saldo il controllo delle proprie convinzioni.

In quel momento, era lì che si trovava, su quel bordo interiore, a lottare tra scegliere se convincersi di avere di fronte un uomo pericoloso e manipolatore oppure credere che quanto lui le aveva appena detto fosse la mera verità.

Assassino o martire? Chi era davvero Benedict Wigan? Poteva dargli corda e vedere fino a che punto si sarebbe spinto oppure tagliare il discorso una volta per tutte, obbligandolo a fare cosa, però? I suoi colleghi, dall'altra parte del vetro, erano davvero ancora vivi? E se le stava mentendo? Sarebbe stato inutile tentare la fuga da quella stanza, lui l'avrebbe annichilita ancora prima che fosse arrivata alla porta. Oppure, no? Forse davvero voleva solo avere la sua attenzione.

"Come faccio a crederle? Come posso pensare che quello che mi sta dicendo non sia solo un modo per sviare la conversazione da quanto successo la scorsa notte? In fondo eravamo qui per tutt'altro motivo. Mi sembra che stia cercando di trovare un modo di ottenere la mia approvazione e portarmi dalla sua parte. Sappia che non intercederò a suo favore con il Consiglio se è quello che crede."

"Non è assolutamente quella la mia intenzione. Non eviterò le conseguenze della mia scelta. Non le sto chiedendo di mettere una buona parola con il Consiglio per me, ma per Adriel. Deve sottolineare come tutto sia dipeso da me e quanto lei non c'entri. Devono vederla per come è realmente: innocente."

Fece una pausa per cercare le giuste parole.

"Lei ha figli, vero?" riprese poi.

"Come lo sa?"

"L'ha sorpresa il modo in cui ho parlato di Adriel, l'ho sentito. Ma non c'era solo sorpresa, c'era... comprensione. Lei sa cosa vuol dire proteggere qualcuno a tutti i costi. Condivide quello stesso desiderio di protezione perché lo ha provato anche lei."

"Ho una figlia di vent'anni."

Ben sorrise.

"Ha presente quell'attrazione invisibile che porta ai propri figli? Quell'istinto che dovrebbero avere tutti i genitori, intendo. Nei vedenti non c'è istinto ma solo certezza che va al di là di vedere in chi si ha creato tratti del proprio aspetto o del proprio carattere. È sentire una parte di sé con concretezza, sentirla vivere dentro un altro essere. È qualcosa di indescrivibile. Un vincolo inscindibile che non puoi smettere di percepire nemmeno con tutto l'autocontrollo di cui un vedente possa essere dotato."

I suoi occhi, nel pronunciare quelle parole così dense di significato, vibravano di una luce carica di sincerità e affetto.

"Lei ha la certezza che sua figlia è parte di lei perché l'ha creata, l'ha partorita, perché la ama ogni giorno che passa. Io ho la certezza che Adriel è mia figlia perché la sento ogni singolo istante come se fossimo una cosa sola."

Teresa Pearson continuò a fare l'unica cosa, che anni di esperienza, le avevano dimostrato essere la sola utile a capire realmente una persona: guardarla dritta negli occhi, vedente o normale che fosse e aspettare di vederci un grammo della sua vera essenza perché nessuno, nemmeno il miglior vedente, seppur capace di celare le proprie emozioni, poteva coprire del tutto quello specchio naturale dato dallo sguardo.

Gli occhi di Benedict Wigan erano limpidi. Non un battito di ciglia interruppe il loro contatto visivo, come se lui l'avesse capita e accettasse quel modo per farsi leggere da lei.

"Adriel non merita di essere trattata come un mostro" disse guardandola dritta negli occhi. "Perché non lo è."

La convinzione con cui pronunciò quelle ultime parole suonò stranamente forzata; sembrò quasi volesse convincere se stesso piuttosto che la sua interlocutrice.

"Non lo è" rimarcò subito dopo sottolineando l'asserzione con un tono più netto.

Odiò se stesso per essersi lasciato intimorire dall'idea, attecchita in lui solo poche ore prima, che forse Adriel si sarebbe rivelata ben più diversa da quanto non avesse fatto lui alla sua età.

Avrebbe dovuto prepararla in fretta a dominare quell'energia, prima che gli altri si fossero accorti della differenza.

Teresa Pearson rispose di slancio, prima che la ligia razionalità riprendesse il sopravvento sulla ragione del cuore. Forse poi se ne sarebbe pentita ma in quel momento l'istinto le disse di andare avanti.

"Cosa dovrei dire al Consiglio?"

"La verità. A breve Burt riprenderà il suo autocontrollo ed entrerà da quella porta. Avrà di certo capito quello che ho fatto perciò sarà parecchio incazzato. Gli altri in quella stanza non ricorderanno nulla del loro blackout temporale. Tutta la colpa deve essere mia. Adriel era all'oscuro di tutto: è innocente."

La Pearson mantenne lo sguardo saldo in quello di lui poi aggiunse seria:

"Non le assicuro niente. Ora rimetta tutti a posto."

Negli occhi di lei, Ben lesse decisione e irremovibilità; dentro, sentì disponibilità e interessamento.

"Grazie" disse lui.

Nella stanza d'osservazione i quattro vedenti ripresero conoscenza. Ci misero quasi un minuto a riprendere il filo temporale. Nell'angolo più in ombra della stanza, un uomo di colore incredibilmente elegante li convinse, senza farsi vedere, che il tempo fosse andato avanti normalmente anche per loro e che non si fossero persi nemmeno una parola del tête – à- tête che si stava svolgendo davanti ai loro occhi.

Scelsero nuovamente le scale per tornare al ventesimo piano.

Ora che aveva raccolto nuove informazioni, Adriel aveva un sacco di domande che le frullavano per la testa. Di certo, la prima su cui avrebbe interrogato Ben, sarebbe stata utile a meglio definire l'iter di allenamento che le era stato presentato come la normalità per un vedente ma che in fondo, per adesso, a lei, che si reputava normale, tanto normale non era sembrato.

La seconda domanda sarebbe stata senza dubbio su Regine: perché aveva finto di non conoscerla? Cosa le aveva fatto Ben di così grave?

Forse, era solo una persona molto sensibile e il fatto di essere stata scaricata in così poco tempo e magari anche senza troppe spiegazioni, poteva essere il giustificativo alla sua reazione distaccata.

Eppure, in un paio di momenti, Adriel aveva percepito un moto d'affetto, giusto un guizzo, anche se ben leggibile, come la sensazione amorevole che dà una carezza sulla guancia.

La Anderson e Pattinson entrarono nella stanza d'osservazione. Nel corridoio invece, Macallan prese posto accanto a lei sul basso divanetto dai colori freddi posto accanto alla porta.

Lo scozzese avrebbe dovuto seguire l'interrogatorio ma tenne fede alla parola data a Ben e scelse così di restarle accanto.

Era nuovamente nervoso e lei se ne accorse.

"Mi devo preoccupare?" gli domandò con un mezzo sorriso.

"No! No! Perché?" cercò di mascherare lui, poi ricordandosi delle capacità di lei. "Dimenticavo che anche tu mi leggi dentro... Andrà tutto bene vedrai."

"Non ne sei convinto, ma grazie per lo sforzo" ribatté lei sincera. "Gli faranno del male?"

"Non lo so."

La ragazza si fece coraggio e porse la domanda che aveva per la testa da più di un'ora:

"Cosa è successo tredici anni fa?"

Macallan si soprese ma con tono pacato tentò una risposta:

"Credo sia giusto che sia tuo padre a parlartene."

Adriel aveva il presentimento che quella domanda sarebbe stata una delle tante a cui Ben non avrebbe dato risposta o almeno non nell'immediato; tentò perciò di ottenere qualche dettaglio.

"Non credo lo farà o almeno... Non lo farà adesso. Ma sono in ballo e da quanto dice devo imparare in fretta. Aiutami a capire, ti prego."

Nonostante l'apparenza, Macallan era sempre stato un gigante dal cuore d'oro, pronto ad aiutare gli altri. Aveva un debole per i bambini: a lungo aveva desiderato un figlio ma non trovando la persona giusta, aveva adottato i figli degli altri, primi tra tutti i figli del signor Cohen.

Di sicuro lei non ne aveva memoria ma quando Ben abitava a casa Cohen, l'aveva tenuta in spalla molte volte e spesso aveva giocato con lei sul tappeto del salotto, innamorandosi sin da subito dei suoi occhi incredibilmente espressivi.

Ora lei lo stava fissando, con quegli stessi bellissimi occhi, implorando il suo aiuto.

"Tredici anni fa tu e tuo padre siete arrivati qui per la prima volta" sputò tutto d'un fiato.

"Siamo arrivati da dove?"

Macallan si stupì nuovamente della domanda: un conto era non rivelare ad Adriel la sua vera natura ma perché mai Benedict le aveva tenuto nascosto anche quel particolare?

"Abitavate a circa 200 km da qui, sulle montagne."

"E perché ci siamo trasferiti?" chiese lei incuriosita e sorpresa allo stesso tempo.

Macallan capì che erano ben più di uno i particolari che Ben aveva volutamente omesso alla figlia.

"In realtà siamo stati noi dell'Azienda a venirvi a prendere, per cui, tecnicamente, non avete scelto di trasferirvi", poi anticipando la prossima domanda di lei si affrettò a specificare, "non risponderò alla prossima domanda, sul perché siamo venuti a prendervi. Su questo spetta a tuo padre darti una risposta. Ti basti sapere che aveva violato più di un protocollo... Vizio che non ha perso con gli anni" concluse ironico indicando la sala interrogatori.

"Interrogavamo tuo padre proprio in quella stessa stanza e lui a un certo punto ha deciso che ne aveva abbastanza. Ha assorbito l'energia dei presenti, me compreso e si è dato alla fuga. All'epoca nessuno di noi sapeva della sua capacità di assorbire l'energia... A dire il vero non sapevamo nemmeno che in una cittadina sperduta tra i monti ci fosse un vedente come lui."

Era la prima volta che Adriel sentiva parlare di un luogo legato alle sue origini.

Quella città era da sempre stata la sua unica casa e ora invece scopriva che c'era stato un prima di cui lei aveva fatto parte. Suo padre non le aveva mai raccontato molto, solo che i suoi nonni, i genitori di Ben, erano morti: forse abitavano anche loro in quella cittadina. E sua madre? Abitava là anche lei?

"Cosa è successo poi?" lo invitò a proseguire avida di informazioni.

"Beh... a dire il vero ci sorprese tutti. Una volta uscito da qui, invece di sparire, si è diretto ai laboratori dell'Azienda, nella vecchia sede che si trovava sulla 7th strada."

"Perché?"

"Per venire a prendere te."

Tredici anni fa lei doveva avere solo qualche mese. Ben aveva quindici anni ed era diventato padre suo malgrado. Aveva sempre saputo di essere venuta al mondo per sbaglio e apprendere che lui avesse dimostrato di tenere a lei fin da subito, cosa che non immaginava minimamente, in quel momento, le fece un enorme piacere.

"Il nostro errore fu di dividervi. Lui reagì in modo... sbagliato. Perse il controllo e fu devastante."

Il ricordo dell'episodio scatenò nell'uomo un brusco cambio d'umore che arrivò ad Adriel come uno schiaffo.

"L'Azienda gli mandò contro tutti i vedenti della città e lui non ci andò leggero. Era fuori controllo, non si fermava di fronte a nessuno, doveva venire da te ad ogni costo" poi tornando a guardala in viso aggiunse, "voi due avete gli stessi occhi, quel giorno però i suoi erano diversi. Non sono un vedente, non posso sentire come sentite voi ma...Poco prima che riuscissero a prenderlo, incrociai il suo sguardo e... Mi diede i brividi."

"Quel giorno... Durante la fuga... Ha... Fatto del male a qualcuno?" azzardò lei trattenendo poi il fiato.

"Sì."

La risposta le gelò il sangue. Com'era possibile che suo padre fosse capace di tanto?

"Per questo gli altri vedenti lo trattano così?"

Lo scozzese si limitò ad annuire.

Adriel timorosa porse l'ultima domanda.

"Una volta preso cosa gli hanno fatto?"

"Sinceramente, non me la sento di raccontartelo."

"Gli hanno fatto del male?"

Il silenzio di lui fu una chiara e agghiacciante risposta.

Nel bagno posto all'estremità opposta del corridoio, Harvey Burt fissava la sua immagine riflessa nello specchio.

Il battito cardiaco lentamente era tornato normale, così come il respiro. Del sudore freddo che pochi minuti prima aveva avvertito sulla fronte, erano rimaste solo alcune gocce.

Si chinò sul lavandino e si rinfrescò nuovamente il viso. Sollevando il busto lasciò che le gocce d'acqua gli scorressero lungo il volto; gli occhi fissi sul riflesso di sé stesso allo specchio.

Era certo l'avesse fatto apposta. Wigan l'aveva provocato, sfruttando l'effetto che la sua energia aveva su di lui.

Quell'energia è dannatamente assurda, pensò. Non si avvicinava nemmeno lontanamente alla sensazione che aveva provato tredici anni prima quando lo aveva incontrato per la prima volta. La sua energia era cresciuta con lui, in modo esponenziale.

Non aveva dimenticato l'effetto che il primo incontro con Benedict Wigan aveva avuto su di lui ma sentire la potenza e la purezza emanate dal Wigan adulto, era qualcosa che ogni volta aveva la capacità di stravolgere completamente ogni sua aspettativa.

Quell'onda di energia lo aveva attraversato scuotendogli l'anima. Un effetto simile a quello che provava ogni volta che si faceva di energia di istigatore, anche se molto più intenso.

Anche la figlia aveva un non so che di interessante. La sua energia non era pura come quella del padre ma aveva un particolare sottofondo capace di attirare l'attenzione; non sapeva dire di cosa si trattasse esattamente ma quella sensazione lo incuriosiva e attraeva parecchio.

Sentì finalmente l'energia di lei nel corridoio.

Si aggiustò il nodo della cravatta e si passo le mani tra i capelli rigorosamente ingellati all'indietro per sistemare un paio di ciuffi fuori posto e si diresse verso la sala interrogatori, pronto a mettere in atto una personale vendetta.

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