17. Ben (rev.02)
"Cosa le fa credere che resterò qui ad ascoltarla?" domandò la Pearson restando incredibilmente calma.
"Il suo difetto."
La donna strabuzzò gli occhi.
"È troppo onesta, soprattutto con sé stessa" spiegò lui con un sorriso bonario.
"Non ho fatto nulla per farle credere o sentire altro di me che non volessi farle vedere" tentò di giustificarsi lei.
"Ci sono lati di noi, che anche se nascosti dietro montagne di insofferenza, restano. Chi è bravo a sentirli non può non vederli. Lei mi si è presentata in tutta la sua algida autorità ma, dietro la montagna, teneva al sicuro un notevole tesoro. Non tutti riescono a essere così onesti, specialmente il sottoscritto."
"È davvero così bravo a leggere le persone?" si sorprese la Pearson inarcando le sopracciglia.
Ben sorrise per poi riprendere:
"In questo momento non si sente sicura e non intendo che ha paura di me, sono certo che non esista uomo in grado di spaventarla, ma non si sente sicura di quanto sapeva fino ad ora: non è più convinta delle informazioni a sua disposizione. Credeva di avermi inquadrato, ancora prima che mettessi piede in questa stanza, ma ora ha capito che in realtà non sono come gli altri credono che io sia."
"Non fa niente per sembrare diverso da come la dipingono... Se non quello che ha fatto per sua figlia" realizzò la donna ammettendo ad alta voce quanto aveva solo sospettato.
Ben sorrise di nuovo.
La Pearson avvertì una sensazione chiara, ora che erano soli.
Da normale poteva basarsi solo sull'osservazione e sull'intuito. Inizialmente si sentì sciocca e avventata nel sentire il suo interesse propendere verso la disponibilità ad ascoltare quanto lui avesse da dirle. Ma più lo osservava, più lasciava che lui le parlasse, maggiore diventava la sua convinzione che quello che ora aveva davanti fosse il vero Benedict Wigan.
"Sapevo che non avrei potuto evitare la rivelazione di Adriel. Ho solo cercato di prendere tempo. Volevo che lei continuasse a essere normale il più a lungo possibile e volevo cercare di risolvere la situazione con gli altri. Loro preferirebbero vedermi morto piuttosto che dalla loro parte durante uno scontro, ma non posso lasciare che l'Azienda si giri dall'altra parte anche con lei."
"Perché crede di suscitare tanto odio nei suoi colleghi?" chiese la donna pur sapendo già la risposta.
"Perché ho sbagliato."
"Continuare a sbagliare non aiuta."
"Non aiuta me, ma se posso aiutare lei, il resto non conta."
Non vacillò nel pronunciare quelle parole, i suoi occhi divennero più intensi nella fermezza di quell'asserzione.
Teresa Pearson non poté esimersi da uno sbalzo d'ammirazione.
"Perché tredici anni fa è scappato e ha perso il controllo?" chiese poi.
"Perché tredici anni fa sono venuti a prendermi?" ribatté lui.
"Aveva violato il protocollo, anche in quell'occasione" trovò naturale rispondergli.
"Loro non potevano saperlo, non ancora. Sono arrivati prima di scoprirlo."
La donna, basita, sul subito, rimase senza parole.
"Mi sta dicendo che la sua fuga è giustificata dal fatto che era stato portato qui contro la sua volontà?"
"L'unico modo che avevo per arrivare da Adriel e scappare di nuovo, era diventare più forte e sapevo che lasciandomi istigare ci sarei riuscito."
L'onestà delle sue risposte non smetteva di affascinarla: se come aveva ammesso era difficile per lui essere sincero, il fatto che nell'intimità di quella conversazione propendesse solo alla verità, le fece capire chiaramente chi aveva di fronte.
"Non era la prima volta che si lasciava istigare?"
"Nessuno ha la percezione del proprio istigatore, mentre lui, o lei, seppur stando nell'ombra, percepisce tutto del nostro lato umano: emozioni, ricordi. Era la prima volta che cedevo, nonostante io lo senta spingere dentro di me ogni singolo giorno..."
"È per questo che sono venuti a prenderla, perché tra i vedenti è il più potente."
"No" la corresse lui, lo sguardo tagliente "Sono venuti perché sono il più pericoloso."
Non voleva essere così nervoso ma faticava a non esserlo. Non aveva idea di come stessero andando le cose quattro piani sopra di lui né di quello che stessero facendo ad Adriel al di là della porta dietro cui era sparita, in compagnia della Weber, ormai quasi trenta minuti prima.
Chiuse gli occhi e prese ad inspirare in modo profondo e più lento possibile.
Riuscì a respirare lentamente solo per i primi tre tentativi, dopo di che i pensieri negativi presero il sopravvento e l'idea che il peggio dovesse ancora venire, diede il via a un crescendo d'ansia scandito da soffi particolarmente rumorosi.
La donna biondo platino alla reception si mise a fissarlo stranita: non si vedeva tutti i giorni un omone di quella stazza preda della stessa iperventilazione di una donna in fase preparto.
"Stai bene Mac?" gli chiese la Anderson ritirando il cellulare.
Pattinson continuò a bere il suo caffè osservando il proprio responsabile tra un sorso e l'altro.
"Voi la fate facile, sapete controllarvi a comando, ma io sono troppo emotivo in certi momenti."
"Si sta comportando benissimo" gli disse la donna appoggiandogli una mano sul braccio.
"Il suo livello di energia è rimasto costante da quando è entrata. Se la sta cavando più che bene, direi."
"Dopo tutti questi anni di lavoro dovresti essere più bravo nell'autocontrollo" gli disse Pattinson ironico. "Specie quando si tratta di loro."
"Non ci posso fare niente, è più forte di me. Loro hanno quella cosa... Una sensazione che mi trasmettono... Di calma incredibile, che quando manca, tutto mi si rimescola dentro..." cercò di spiegare l'uomo mentre si massaggiava le mani. "Quando sono preoccupato per loro sento mancare quella calma e vado nel panico. Sembra una cosa assurda dato che non li frequento tutti i giorni, anzi. Eppure è così..."
I due vedenti sentirono chiaramente, attraverso di lui, la sensazione di calma cui si riferiva e che il ricordo aveva fatto riemergere distintamente. Era una sensazione decisamente lontana da quella che Ben aveva volutamente trasmesso loro e agli altri fin da quando aveva messo piede in Azienda quella mattina.
La grande porta di accesso al reparto scientifico si aprì e Adriel e Regine si palesarono una accanto all'altra.
Macallan scattò in piedi. Notando poi l'aria serena della ragazzina, riuscì a tramutare facilmente l'ansia in sollievo.
"La signorina Wigan è a posto. Potete riportarla da suo padre" comunicò loro la donna.
Adriel sorrise a Macallan sentendolo: la possibilità di sentire in quel modo le permetteva di poter conoscere gli altri in modo molto più rapido e profondo di quanto avesse mai potuto fare fino a quel momento. Lui le piaceva, era sincero.
Fece poi per voltarsi verso Regine ma lei era già ritornata su suoi passi, sparendo rapida dalla loro vista.
Era scappata in fretta, per non dare il tempo alle emozioni di palesarsi: non poteva farle sentire ad Adriel ma soprattutto non poteva farle vedere alla Anderson e a Pattinson.
Il sapere che lui si trovava così vicino, solo qualche piano sopra di lei, la costringeva a pensare a quanto lo avrebbe voluto rivedere. Quel pensiero si trascinava l'intimità di ricordi così carichi di emozioni che, lette dalle persone sbagliate, l'avrebbero di certo messa in una posizione difficile da giustificare.
Era stato sufficiente incrociare lo sguardo di lei, indugiare su quegli occhi verde scuro, per rivedere quelli di lui fissi nei suoi e sentire il colpo al cuore che tanto aveva temuto di sentire.
Avrebbe voluto poterle parlare, avrebbe voluto spiegarle come avesse ingannato suo padre, su ordine dell'Azienda, fino a fargli abbassare la guardia, per capire se lui stesse nascondendo o meno l'energia di lei. Avrebbe voluto dirle e farle sentire quanto davvero le dispiaceva averlo ferito. Ma soprattutto avrebbe voluto farle sentire quanto lei avesse sofferto e stesse ancora soffrendo, vittima del suo stesso gioco, perché perdendo il controllo aveva commesso l'irrimediabile errore di innamorarsi di lui.
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