13. Teresa Pearson (rev.02)
C'erano cinque vedenti accanto a lui ma non riusciva a sentirne nemmeno uno.
Loro sapevano che per poter assorbire le energie doveva necessariamente sentirle, perciò si erano preparati a riceverlo nell'unico modo che permettesse loro di non avere punti deboli: annullando le proprie emozioni e rendendo così letteralmente invisibile l'energia interiore.
Ben non si sorprese più di tanto della cosa. Dopo la prima volta, sarebbe stato da incompetenti non preventivare quella mossa giocando d'anticipo.
"La signora Pearson insiste per restare da sola con te" disse Burt facendogli strada, verso la porta alla fine del corridoio. "Crede possa essere più empatica nel dialogo...Un'altra convinta di poterti capire."
Ben colse il riferimento al signor Cohen.
"Purtroppo quel merito non l'ho ancora riconosciuto a nessuno." Ribatté il ragazzo con marcata superbia.
"Sarai anche bravo a fingere, ma io lo sono altrettanto a sentire" disse Burt, poi, strattonandolo rapido per il braccio, lo tirò a sé per sussurrargli all'orecchio "Non sei l'unico ad avere delle abilità particolari qui dentro..."
Ben serrò le mascelle mantenendo il controllo.
"Comunque..." riprese prendendo le distanze, di modo cha anche gli altri potessero sentire "Saremo nella stanza accanto alla vostra, pronti ad intervenire, in qualsiasi modo, se fosse necessario."
Harvey Burt aveva la capacità di intimorire anche solo per le inflessioni che dava alla sua stessa voce: il modo in cui pronunciò quelle parole provocò i brividi a più di uno tra i presenti.
Ben mantenne saldo il controllo; lo conosceva bene, sapeva quanto fosse un freddo calcolatore. Con gli anni gli era diventato difficile leggerlo e proprio il non poterlo prevedere lo rendeva nervoso, anche se, di contro, era particolarmente abile a non darglielo a vedere.
Lo guardò sistemarsi la giacca e ricomporsi nell'impeccabile immagine che si era costruito; una facciata a quella interiorità pericolosa che solo lui conosceva bene.
Con un impercettibile cenno del capo, Burt diede il via a procedere: furono così gli altri quattro a scortare Ben fino alla fine mentre lui sparì silenziosamente dentro la stanza accanto.
Quando aprirono la porta, Ben si trovò in un dejà vu.
Dall'altra parte del tavolo però, questa volta, non c'era il signor Cohen ma una splendida donna di colore, fasciata in un elegante tailleur color panna.
"Levagli quelle manette." ordinò con voce calda e incredibilmente suadente non appena li vide entrare.
L'uomo che lo teneva per il braccio, non se lo fece ripetere due volte. Gli levò le manette e dopo aver atteso un cenno della donna, uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.
Ben rivide una scena che lo aveva avuto per protagonista tredici anni prima; per un istante soffermò lo sguardo sul grande vetro riflettente che divideva la stanza da quella in cui immaginava si trovasse Burt.
"Sono Teresa Pearson." Si presentò lei venendogli incontro e tendendogli la mano. Ben ricambiò la stretta.
"Lieta di conoscerla finalmente di persona."
Il ragazzo la osservò attentamente: doveva avere al massimo una cinquantina d'anni e da vicino constatò che era davvero molto bella.
"Prego, si accomodi signor Wigan." Lo invitò caldamente indicando l'unica sedia libera al tavolo di fronte alla sua.
Ben si sedette, seguendola con lo sguardo riprendere la propria postazione dal lato opposto: i fianchi, nella longuette che indossava, ondeggiarono sensualmente in modo naturale.
"Sono spiacente per l'accoglienza" disse poi notando la ferita sul labbro del ragazzo. "Ma credo sappia già che, quanto successo qualche ora fa, non è passato inosservato."
Ben continuò a fissarla senza battere ciglio. Sapeva che non era una vedente ma capì subito che doveva essere una donna particolarmente tenace e astuta. Di certo, per ricoprire il ruolo di responsabile della squadra di coordinamento, quelli dovevano essere requisiti imprescindibili, unitamente a una spiccata dose di autocontrollo.
Era a conoscenza del fatto che i normali che lavoravano per l'Azienda venivano addestrati ad avere un muro a schermatura dei propri sentimenti: quello della Pearson era gelido come il marmo e immaginò altrettanto solido; Ben, però, amava le sfide.
Di contro, lei sapeva di cosa era capace un vedente e farsi leggere, era l'unica soddisfazione che non poteva permettersi di dargli.
"A essere del tutto onesta, non è passato inosservato nemmeno lei" proseguì la donna con tono carezzevole. "Come avrà già capito, non sono una vedente, non sono abituata a sentire come fate voi, ma la sua energia, poco fa, mi ha davvero impressionata. È chiaro con chi abbiamo a che fare." Sottolineò con un sorriso malizioso.
Ben ricambiò in egual modo, cogliendo il forzato tentativo di lusinga. Si chiese, però, a quale scopo l'avesse palesato. Molto probabilmente lo stava testando e lui avrebbe fatto lo stesso.
"Non c'è bisogno che mi indori la pillola. Sono abbastanza egocentrico da riconoscere da solo il mio potenziale" disse con fare marcatamente beffardo, poi, incrociando le braccia al petto aggiunse: "La prego, venga al punto."
La donna abbassò momentaneamente lo sguardo e si lasciò scappare un sorriso, questa volta di compiacimento.
"È esattamente come l'avevano descritta: affascinante e sfacciato."
In un contesto differente, Ben avrebbe apprezzato il complimento, ma in quella stanza tutto andava soppesato.
"Purtroppo non amo fare le cose di fretta" riprese lei mantenendo il viso rilassato, "Seguire un percorso preciso, rispettandone rigorosamente le tappe, fa arrivare alla meta con molta più soddisfazione, non trova?"
"Dipende se il percorso e la compagnia sono piacevoli, ma credo che in questo caso di piacevole ci potrà essere solo la compagnia." Commentò lui senza staccarle gli occhi di dosso.
"Mi spiace deluderla, ma al termine di questo colloquio troverà la mia compagnia tutt'altro che piacevole."
"Potrei trovarlo eccitante." La provocò lui.
"Temo che non lo sarà affatto." Concluse lei spezzando il discorso.
"So che lei è un tipo diretto, sbrigativo, che agisce senza perdere troppo tempo in superflue riflessioni. Purtroppo però, le comunico, che il nostro incontro sarà tutt'altro che breve e indolore."
"Non si preoccupi, ho un altissima soglia del dolore e sono in grado di mantenere la concentrazione abbastanza a lungo da tenere il filo di un discorso. Ha la mia piena attenzione, perciò, può smetterla con i convenevoli. Mi illumini sulle conseguenze delle mie azioni" la sfidò Benedict sporgendosi in avanti "Come ha ben detto, sono un tipo sbrigativo."
"Non c'è fretta signor Wigan, questo è solo un colloquio. Non spetta a me decidere quali conseguenze avranno le sue azioni. Sarà il Consiglio a esprimersi. Prima però, il signor H ha chiesto espressamente di verificare la veridicità delle accuse. Nella sua magnanimità, le concede il beneficio del dubbio."
Ben sorrise. Sapeva che H era tutto fuorché magnanimo ed era sicuro che doveva aver già deciso come fargli pagare quello sgarro.
H era un uomo di apparenza, così come l'Azienda che dirigeva da più di trent'anni. Ma le apparenze vanno sorrette per reggersi in piedi ed evidentemente la Pearson era la donna giusta per svolgere questo compito.
Mentre l'ascoltava, Ben tentava di sentirla, insinuando la propria energia sempre più vicina a quella di lei. Immaginò che per seguire le regole di H dovesse essere una donna estremamente ligia al dovere, meticolosa. La persona perfetta per ricoprire un'alta carica lì dentro. Non riusciva a leggerla ma la sua energia, di rimando, gli dava una sensazione insolita, come se, oltre a quell'algida facciata ci fosse altro; lei però era decisamente brava a tenerlo nascosto.
"Di cos'altro dobbiamo parlare se non del fatto che ho nascosto la rivelazione di mia figlia?" Chiese con falsa noncuranza.
"Dell'eliminazione di ben ventuno neutrali, ad esempio." Ribatté lei con tono perentorio.
Ben sapeva perfettamente che era quella l'accusa per cui non avrebbe potuto trovare scusanti. Aveva sottovalutato il potere di Adriel e a causa della sua superficialità, degli innocenti erano stati coinvolti.
Quella era un'aggravante che non avrebbe ammesso sconti di pena, ne era consapevole. Nonostante sapesse che sarebbe stato l'argomento centrale di quella conversazione, sentirselo dire in modo così diretto, seppure da una persona sconosciuta, fu un colpo che incassò senza riuscire a difendere il fianco.
"Ha perso la parola?" Chiese lei rincarando la dose.
Ben la fissò per un istante, abbandonando subito l'aria contrita, indossando nuovamente la rilassatezza con la quale le aveva stretto la mano.
"Ho infranto il protocollo, lo so, altrimenti non sarei qui adesso." Riprese prontamente.
La Pearson non stette al gioco.
"Credo che lei, meglio di me, sappia che ci troviamo in un periodo storico particolarmente delicato. Gli istigatori aumentano mentre voi siete in costante inferiorità numerica. Il gap è grave e pericoloso. Rischiamo di perdere un equilibrio precario che potrebbe non essere più recuperabile. I neutrali sono alleati fondamentali nella lotta agli istigatori. Con la sua mossa, è in gioco la solidità di un'alleanza che dura da secoli."
Ben era in difficoltà. Le parole della Pearson non potevano essere più vere.
"È solo colpa mia, lei non c'entra." Disse.
"Certo che è colpa sua. Lei non ha minimamente pensato alle conseguenze della sua scelta: si è privato di energia riducendo il suo contributo operativo, ha posticipato l'inizio dell'addestramento di sua figlia e ha creato i presupposti per una faida insanabile."
"Parlerò personalmente con Virgil Bates."
"Non credo servirà a qualcosa. Il signor Bates l'ha supportata fin troppo in questi anni. Non sarà facile, nemmeno per lui, giustificare il suo voltafaccia alla comunità dei neutrali."
"Voltafaccia?"
"Come lo definirebbe, altrimenti? Un affronto simile alla comunità che l'ha sempre sostenuta da quando è arrivato in città. Ha ricevuto più di una volta supporto da parte dei neutrali durante i suoi interventi e a sua volta, ha combattuto in loro difesa, sebbene questo aspetto non sia richiesto dal protocollo aziendale. Ha persino avuto partner sessuali di conclamata natura neutrale. Loro si sono aperti completamente e lei li ha colpiti alle spalle."
Teresa Pearson era dannatamente brava. Non vacillò nemmeno per un secondo mentre pronunciava quell'accusa intrisa di mortificazione e umiliazione che avrebbero dovuto gravare sulla coscienza del suo interlocutore fino ad annichilirlo del tutto.
Ben però aveva imparato a odiare determinati stati d'animo capaci di renderlo remissivo. Così negli anni, era riuscito a rendersi più forte ogni volta che un'emozione avrebbe potuto soffocarlo come una valanga irrefrenabile.
Nella stanza accanto, Harvey Burt sperò, per una frazione di secondo, di sentire l'insofferenza alla resa farsi strada nell'animo di Wigan. La delusione, contratta a fatica, fu la reazione che invece provò personalmente nel percepire la sicurezza montante della sua nemesi.
"A questo punto, direi che il discorso possa dirsi concluso" disse Ben lasciandosi andare contro le schienale e alzando le mani in segno di resa. "Di cos'altro vuole parlare? Non ha fatto altro che sbattermi in faccia fatti di cui ero già perfettamente a conoscenza e di cui anche voi tutti eravate già al corrente. Qual è il vero motivo di questa farsa? Mortificarmi? Mi spiace per quello che è successo ai neutrali, me ne pento e sono pronto a scusarmi pubblicamente ma non rimpiangerò mai l'aver ritardato la rivelazione di mia figlia."
"Forse non le è chiara la gravità della situazione."
"Capisco perfettamente la gravità della situazione, per questo trovo ridicola questa assurda parentesi."
"Parentesi? Si tratta di una chiara trasgressione al protocollo dell'Azienda per cui lavora, ma forse non le è ancora chiaro il suo ruolo qui dentro."
"Certo che mi è chiaro: sono il miglior vedente che avete. Tredici anni fa mi avete messo un guinzaglio che però, da solo, non serve se non si è in grado di educare chi lo porta. L'unica soddisfazione che potete avere è la convinzione di potermi controllare ma se siamo qui, ora, è evidente che è solo una convinzione."
Ben pronunciò quella frase rivolgendosi alla sua immagine riflessa allo specchio che li separava dal loro pubblico nascosto; colse l'impercettibile sbalzo di rabbia di Burt provenire dalla stanza accanto e svanire rapido come era apparso.
La Pearson rimase impassibile nel volto e nelle emozioni. Nulla trapelò da lei. Temeva che proseguendo per quella linea avrebbe potuto innescare un crescendo di sentenze a cui il suo interlocutore avrebbe di certo ribattuto a tono, con la probabilità che a lungo andare lei si sarebbe emotivamente scoperta. Non voleva essere debole, non se lo poteva permettere nella sua posizione, perciò decise di bruciare le tappe.
"Ha consapevolmente nascosto la rivelazione di sua figlia Adriel. Difficile che la cosa passasse inosservata a lungo quando si è l'unico vedente in città in grado di gestire una media di quindici interventi al giorno. Il sistema ha notato il calo nella sua media impeccabile costringendoci a fare delle verifiche."
Ben non si scompose, mantenne lo sguardo fisso, gli occhi verde scuro non vacillarono di un millimetro davanti alla realtà messa a nudo.
La donna mantenne la calma e scrutò in profondità il suo interlocutore.
Durante l'addestramento aveva imparato a leggere le persone: il modo di muoversi, inclinare la testa, direzionare lo sguardo potevano dire molto di chi si aveva di fronte. Non aveva mai smesso di guardarlo negli occhi, fin da quando aveva messo piede nella stanza, stando attenta allo stesso tempo a non essere leggibile più del necessario.
Aveva scelto fin da subito quali emozioni dargli e quali tenere ben celate. Tutto quello che sapeva di lui l'aveva letto dai fascicoli che altri avevano redatto. Si era preparata al peggio, a trovarsi di fronte un uomo insofferente, carico d'odio verso tutti e tutto ciò che apparteneva all'Azienda.
Aveva vacillato per un istante, quando prima di incontrarlo aveva avvertito il moto della sua energia attraverso il tremore dei vetri dell'edificio.
Si era velatamente sorpresa quando aveva percepito un'inaspettata sensazione di quiete vedendolo entrare. Riconobbe fin da subito che aveva uno sguardo disarmante che andava però ben oltre il fascino e l'effetto puramente fisico; ti leggeva dentro, ti sentiva e si faceva sentire.
Era a conoscenza di quanto avvenuto tredici anni prima, per mano di Wigan, all'interno della vecchia sede sulla 7th, nonostante all'epoca non fosse ancora operativa presso la sede centrale. Il fascicolo parlava chiaro: parole forti come instabile, fuori controllo, estremamente pericoloso erano più volte ripetute tra le righe di un rapporto sviluppato in due pagine scarse.
I Wigan non erano originari di quella città ma non esisteva traccia né riferimento alcuno al perché lui e sua figlia si fossero trasferiti lì, lui quindicenne e lei appena nata, senza l'accompagnamento di una figura adulta né era reperibile il dettaglio di quello che era avvenuto dopo la sua fuga e successiva cattura.
Quell'insolito vuoto l'aveva lasciata perplessa, insinuando in lei il sospetto che quella carenza fosse voluta. Ma perché?
Non si era fatta troppe domande, di fronte a un ordine era abituata a eseguire. Ottenere il risultato era il suo unico scopo ma la mancanza di chiarezza l'aveva indirizzata al sospetto che qualcosa fosse stato volutamente tenuto nascosto.
Lo scrutò a fondo e incredibilmente seria riprese il discorso.
"Lei non è uno stupido, non mi serve leggerla per capirlo. Per quasi due anni, ha lavorato a pieno ritmo con energia ridotta, indebolito e quindi vulnerabile, rischiando la propria vita, pur di coprire l'energia crescente di sua figlia con la sua. La voleva tenere nascosta, andando chiaramente contro il regolamento." La donna tentò di cogliere un cenno di risposta e il silenzio di Ben le fu più che utile per concludere.
"Voleva distogliere il più a lungo possibile l'attenzione da lei e ci è riuscito, persino quando le abbiamo mandato la signora Weber... "
Questa volta fu Burt, al di là del vetro, aa cogliere il suo sbalzo di livello; le sue labbra si allargarono istintivamente in un sorriso di compiacimento.
Ben sapeva cosa aspettava di leggergli dentro, a stento trattenne lo sbalzo provocato dall'immagine di Regine Weber nella sua mente; sperò inutilmente che lui non lo avesse avvertito.
"Non capisco però perché non farcela vedere subito, perché ritardare il suo ingresso nel mondo dei vedenti e creare i presupposti per arrivare all'esplosione incontrollata di questa notte? Non poteva evitare che anche lei lo diventasse..."
"Se anche glielo dicessi, non capirebbe... non adesso."
"Ci provi, cos'ha da perdere?" Lo invitò la donna mostrandosi ben disposta all'ascolto.
Il ragazzo la scrutò intensamente, andando a cercare oltre il nocciola brillante dei suoi occhi, in profondità.
"Non volevo che anche Adriel avesse terra bruciata intorno come è stato riservato a me" disse poi. "Per questo ho cercato la sua attenzione e ora credo proprio di averla."
In quel momento, mentre parlava del desiderio di evitare alla figlia la stessa emarginazione che gli altri vedenti avevano riservato a lui, si stava facendo sentire anche da lei. Non sapeva come ma anche lei, come se fosse una vedente, poteva sentire quanto quella volontà fosse mossa da affetto e dedizione sinceri verso una figlia che, stando a ciò che era scritto nel suo fascicolo, aveva concepito senza volerlo.
Si scambiarono un lungo sguardo, mal celante, da entrambe le parti la ricerca inaspettata di una profonda intesa.
A pochi centimetri dal vetro, Harvey Burt osservava la scena, braccia incrociate al petto, occhi puntati su Wigan. Sapeva cosa lui stesse cercando di fare: trovare una breccia nel muro emozionale che la Pearson era abilmente riuscita a costruirsi.
Se fosse riuscito a trovare anche solo uno spiraglio, a creare un legame emotivo con lei, quel muro di certezze che reggeva la base delle convinzioni della donna si sarebbe sgretolato poco alla volta, ne era certo.
E se lei avesse creduto alle sue parole e cambiato modo di vedere i fatti, sarebbe stato un problema.
Doveva mantenere il controllo e limitarsi a osservare. Ma se fosse stato necessario sarebbe dovuto intervenire.
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