06 - Difficile da digerire (rev.02)

Harvey Burt si era svegliato di soprassalto come se un terremoto l'avesse scosso nel letto in cui dormiva.

Aveva spostato lo sguardo da un lato all'altro del loft posto al quindicesimo piano del lussuoso palazzo in cui abitava. L'appartamento non aveva pareti esterne ed era delimitato su tre lati da enormi vetrate attraverso cui era possibile godere di un panorama incredibile della città. Si era diretto rapido verso una di queste e aveva spinto l'occhio oltre il buio della notte alla ricerca di qualcosa.

Una sensazione incredibilmente attraente lo aveva strappato dal sonno per farsi sentire in tutta la sua sconvolgente potenza. Prima di quel momento, solo un'energia era stata in grado di provocare alla sua una reazione simile; questa però era di un livello superiore.

Eve si girò nel letto e percependo lo spazio vuoto al suo fianco aprì gli occhi, cercando con lo sguardo nella stanza. Individuò la sagoma nuda di lui nella penombra mentre le dava le spalle, ancora intento a cercare nel vuoto sotto i suoi piedi.

"Harvey, che ti prende? Stai bene?"

L'uomo sorrise.

"Mai sentito meglio."

Sebbene fosse notte inoltrata, il taxi che Max aveva chiamato per Adriel e Ben arrivò in pochi minuti. L'uomo alla guida accostò e non poté non notare il taxi parcheggiato per metà sul marciapiede, quello che Adriel aveva guidato, per come aveva potuto, fino al 134 di Saint Louis Street. Né poté non notare i corpi sparsi a terra sul prato di fronte all'ingresso della bifamigliare.

Il tassista, un uomo di mezza età dall'aria stranita, scese incredulo dall'auto e a bocca aperta e occhi sgranati contemplò la scena.

La calma e la compostezza con cui i suoi passeggeri si avvicinarono e presero posto sul sedile posteriore contribuirono ad aumentare la sua comprensibile confusione.

"Che diavolo è successo qui?!" Chiese sconvolto rivolgendosi a Max che gli era più vicina.

"Non è successo niente qui."

A rispondere fu l'uomo in nero che Adriel aveva incrociato in ospedale.

La ragazzina si sorprese nel vederlo lì anche perché, fino a quel momento, non si era accorta della sua presenza.

Aveva un volto inespressivo e pronunciò quelle parole con un tono decisamente piatto.

Il tassista lo guardò per un istante negli occhi poi, assumendo un'espressione simile alla sua, del tutto apatica, divenne immediatamente calmo e tornò a sedersi al posto di guida senza nulla aggiungere.

"Che gli è successo?!" Esclamò Adriel balzando dal sedile posteriore e rivolgendo lo sguardo a Ben che le sedeva accanto. "Cosa gli ha fatto?! E chi diavolo è? È un istigatore?!"

Ben rimase tranquillo e abbassando il finestrino fece cenno all'uomo in nero di avvicinarsi.

Quando questi arrivò accanto all'auto, si dovette piegare parecchio sulle ginocchia per poter avere lo sguardo all'altezza giusta da poterli vedere dentro l'abitacolo.

Non sorrise, ne inarcò le sopracciglia o mosse gli occhi in qualche maniera; aveva lo sguardo fisso, il viso di pietra.

"Adriel... lui è Zephir, il cancellatore della famiglia Wigan."

Cancellatore, di nuovo quella strana parola... pensò lei.

L'uomo allungò di scatto il braccio nell'abitacolo costringendo Ben a sbattere contro lo schienale e Adriel ad un sussulto.

"Zeph!" Lo rimproverò Ben. "La conosci da quando è nata, ti sembra il caso di stringerle la mano?!"

L'uomo non parve mostrare segnali di dispiacere ma ritrasse la mano, optando subito dopo per un'apertura del palmo che mostrò le cinque dita in segno di saluto. Al nuovo gesto accompagnò quel bizzarro mezzo sorriso tirato a fatica che aveva già mostrato in ospedale, quando Adriel lo aveva incrociato di sfuggita.

"Così va decisamente meglio, ma evita il sorriso. Non ti viene bene per niente, sembri un maniaco." Gli disse Ben con tono di rimprovero, quasi come se stesse parlando con un bambino.

Zephir tornò all'espressione inflessibile dell'inizio, il sorriso inquietante di nuovo una linea dritta sulla bocca.

Il tassista intanto aveva rimesso le mani sul volante e sembrava in attesa di ricevere informazioni, senza chiedere nulla, in silenzio.

Max gli diede personalmente indicazioni affinché portasse padre e figlia direttamente all'indirizzo fornito, evitando tassativamente deviazioni.

"Ci siamo visti in ospedale..." Commentò Adriel senza togliere gli occhi di dosso a quello strano personaggio.

"I cancellatori intervengono ogni volta che un membro della famiglia sta lottando contro gli istigatori. Il loro scopo è evitare che quelli che accidentalmente sono presenti sulla scena vengano fisicamente coinvolti o ricordino qualcosa di quanto accaduto."

"Cancellano loro la memoria?!"

"Sì e se necessario creano nella loro mente un ricordo diverso rispetto a quanto successo in realtà."

"Sono felice di averti finalmente conosciuto ufficialmente." Disse poi Zephir, senza lasciar trasparire emozione alcuna e tirando nuovamente le labbra per rivelare l'ambiguo sorriso.

Adriel, perplessa di fronte a quello che sembrava un maldestro sforzo di apparire contento, ricambiò con un titubante cenno della mano.

"Anche se non sembra è davvero felice di fare la tua conoscenza ufficiale" spiegò Ben appoggiando la testa allo schienale, "ma quello è il massimo che riesce a fare per dimostrarlo. I cancellatori non provano emozioni."

La ragazzina osservò l'uomo in nero allontanarsi dal taxi e avvicinarsi a Rubin; osservandoli, si rese conto che avevano entrambi la stessa aria indifferente.

"Come fai allora a dire che è felice se non c'è niente in lui da sentire?"

Ben sorrise.

"Perché gli ho insegnato io cosa provare nella maggior parte delle situazioni."

"Ma i sentimenti non si possono spiegare!"

"Con un po' di fantasia sì." Concluse lui strizzando l'occhio sinistro e chiudendoli poi entrambi.

"Il tassista sa esattamente dove andare." Comunicò Max affacciandosi al finestrino dall'esterno.

"Grazie Max." La ringraziò Ben senza aprire gli occhi.

"E tutte quelle persone?!" Chiese Adriel rivolgendo lo sguardo fuori dal finestrino.

"Ci penseranno Rubin e Zephir, daranno loro una spiegazione logica sul perché si trovino qui a quest'ora della notte." spiegò la ragazza.

"Tipo?!"

"Quella che abbiamo usato più spesso per casistiche simili è rave party con eccesso di fumo e alcool."

"COSA?!Sei seria?!" Esclamò Adriel sconcertata. "Questa vi sembra una spiegazione logica?! Mi state dicendo che inventate storie assurde che poi i cancellatori fanno credere vere alle persone?!"

"È molto più semplice credere di aver fatto i bagordi in una notte di follia che sapere di avere un lato oscuro che può prendere il controllo del tuo io, non credi?" Le chiese Billie allargando uno dei suoi sorrisi gentili.

"Piccola bugia innocente" la rassicurò Max portandosi l'indice a zittire le labbra poi, rivolgendosi a Ben "Tutto risolto in ospedale, la situazione è tornata alla normalità perciò non farti venire strane idee tipo andare là a controllare. Andate a casa. Ci sentiamo tra qualche ora di sonno, ok?"

Adriel fissò lo sguardo in quello di lei come a non volersene separare. Max vi lesse una richiesta di aiuto a cui però sapeva non avrebbe potuto rispondere, non perché non lo volesse ma perché non spettava a lei farlo.

Avrebbe voluto stringerla e restarle accanto per farla sentire meglio. Era consapevole che i fatti di quella notte l'avevano toccata dentro e sconvolta, ma sapeva che ora era giusto che fosse Ben a starle accanto.

Tutto per Adriel ora era sottosopra compreso il rapporto con lui che però sperava sarebbe tornato presto ad essere quello di una volta. Quando lei avrebbe saputo la verità sul cambio d'atteggiamento del padre, sul perché lui avesse scelto di mentirle fino a quel momento ne era certa, le cose sarebbero nuovamente cambiate e in meglio.

Anche se non sarebbe stato facile per lui riallacciare i rapporti con lei e ristabilire quell'equilibrio che da sempre avevano avuto.

Ne avevano parlato più volte da quando Ben aveva preso la decisione di ritardare la rivelazione di Adriel e in ogni occasione, lei gli aveva sempre ricordato ciò che sarebbe stato indispensabile fare per poter riottenere la sua fiducia nel caso l'avesse persa: essere onesto su ogni aspetto della verità. Cosa che però avrebbe necessariamente comportato mettere sul piatto questioni che lui, per anni, aveva tenuto nascoste in profondità. Avrebbe dovuto raccontarle chi era davvero Benedict Wigan e non sarebbe stato facile per lui aprirsi né per lei stare ad ascoltare.

Nonostante sedessero l'uno accanto all'altra, a meno di un metro di distanza, Ben e Adriel avrebbero potuto dire di non essersi mai sentiti più lontani come in quel momento.

Il pesante silenzio che riempiva il taxi ne era la prova. Anche l'uomo che guidava era un tipo particolarmente taciturno, forse per via dell'incantesimo di Zephir. Si era limitato a prendere da Max i soldi del viaggio ringraziando con uno strano mugolio.

Adriel si impose di fare il tragitto con lo sguardo rivolto fuori dal finestrino, intenzionata a non rivolgere la parola al suo compagno di viaggio.

Nonostante si sentisse particolarmente stanca si sforzò di tenere gli occhi aperti e il viso serio e concentrato.

Ci sarebbero voluti circa una trentina di minuti per arrivare a destinazione e a metà del viaggio Ben non aveva ancora aperto bocca anzi, come lei, aveva scelto di rivolgere il suo sguardo sulle vie semideserte della città che stavano attraversando.

Quella era senza dubbio la riprova del fatto che lui fosse cambiato e il tarlo del sospetto proseguì il suo viaggio nella mente di lei.

Era nata per sbaglio, lui su questo non le aveva mai mentito, anche se non ci sarebbe stato bisogno di chiederlo, dato che sia lui che sua madre l'avevano concepita quando avevano solo quindici anni. Era normale che una coppia così giovane non stesse cercando di mettere al mondo un bambino.

Sentirglielo ammettere le aveva fatto male la prima volta, ma poi tutti quei momenti belli che avevano condiviso e l'affetto vero che lui le aveva sempre riservato, le avevano fatto accantonare quel particolare che con gli anni era diventato per lei quasi irrilevante.

La cosa che aveva sempre apprezzato in lui era la sincerità assoluta: non le aveva mai mentito, non lo avrebbe mai potuto fare, diceva e lei gli aveva sempre creduto. Eppure quello che era appena successo aveva dato evidenza del contrario. Era la prima volta che le mentiva o c'erano state altre occasioni?

Perché lo aveva fatto? Quella domanda le tormentava la punta della lingua.

Con la coda dell'occhio cercò di osservarlo e solo allora si rese realmente conto di come era venuto in suo soccorso: vide i piedi scalzi e anneriti, il camice d'ospedale macchiato di sangue all'altezza della coscia. Poi lo sguardo le cadde sulla mano sinistra, la stessa che aveva lanciato quella luce straordinaria.

"Cos'era quella luce che mi è uscita dal corpo?" Chiese tornando a guardare fuori dal finestrino.

"Pura energia." Rispose lui rapidamente come se fosse stato pronto sin da subito alla domanda. "La stessa che rende viva una persona e che in noi è molto più consistente permettendoci di utilizzarla."

"Come un'arma?"

"In un certo senso."

Adriel attese un istante prima di proseguire.

"Com'è uscita dal mio corpo?"

"La situazione di pericolo in cui ti sei ritrovata ha scatenato in te una serie di emozioni forti che ti hanno fatto perdere il controllo e ti sei rivelata completamente."

"Rivelata?"

"Noi nasciamo con questa capacità latente. Ad un certo momento della nostra crescita questo potere si manifesta e ci riveliamo come vedenti."

"E a me è toccato stanotte?" Domandò lei.

"No, in realtà quasi due anni fa. Quando ho sentito che la tua energia stava per rivelarsi ho utilizzato la mia per contenerla."

Adriel si sorprese nel sentire quella risposta.

"Perché? Gli domandò indagandolo con gli occhi verde scuro.

"Perché so cosa significa diventare un vedente e ho cercato di ritardare il più a lungo possibile il momento in cui avresti dovuto cambiare la tua vita."

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