04 - La Rivelazione di Adriel
Era quasi mezzanotte quando avvenne, ma Adriel non se ne accorse, non avrebbe potuto.
L'energia di suo padre, che fino ad allora era servita a nasconderla, si era del tutto esaurita.
La tassista nel frattempo aveva manifestato il suo lato espansivo, lanciandosi in un monologo dal tema confuso, cui Adriel non aveva prestato troppa attenzione.
"Siamo arrivati?" domandò impaziente la ragazzina.
"Sì, tesoro. A quell'incrocio a sinistra..." rispose la donna notando la sua preoccupazione riflessa nello specchietto.
"Come mai tuo padre non è venuto a prenderti?" esternò diretta. "Insomma, non è normale che un genitore lasci che la propria figlia vada in giro da sola la notte, a quanti anni? Undici? Dodici?"
"Tredici." Rispose Adriel distrattamente.
"Tredici! Ecco! Una bambina!" esclamò battendo i palmi sul volante. "Cosa diavolo aveva da fare di così urgente da non poter rimandare?"
"Ha avuto un impegno di lavoro, ma ci vediamo a casa" tagliò corto Adriel. Quella risposta non le era mai suonata così strana come in quel momento.
"Che lavoro fa per finire a quest'ora?!" insistette la donna sospettosa.
Il rider delle consegne, avrebbe risposto Adriel solo qualche ora prima. Adesso invece, non ne era più così sicura.
Prese a mangiarsi nervosamente l'unghia dell'indice, quando la tassista riprese la parola: "Ok... non sono affari miei ma..."
"Attenta!!" gridò Adriel, costringendola a rimettere gli occhi sulla strada e inchiodare bruscamente.
Adriel dovette puntare mani e piedi contro il sedile anteriore per evitare di finire sul cruscotto. Fermo, al centro esatto della carreggiata, solo a un paio di metri da loro, c'era qualcuno. Indossava un largo cappuccio, che ne copriva totalmente il volto e portava un paio di guanti scuri.
Davanti alla frenata, non si mosse di un millimetro.
"Ehi! Idiota! Ti sembra il posto in cui stare?" esclamò la tassista scossa, scendendo dall'auto.
Adriel avvertì uno strano brivido correrle lungo la schiena, come se qualcuno la stesse percorrendo un centimetro alla volta con degli spilli gelidi.
"Non... scenda..." bisbigliò inutilmente, gli occhi puntati su quella figura priva di volto.
La strada, che poco prima ricordava essere semi deserta, si era improvvisamente riempita di persone, forse curiosi attirati lì dal rumore della frenata.
C'era qualcosa di strano però, qualcosa che non la convinceva. Spostò lo sguardo intorno, su ognuna di quelle persone: una coppia in abito elegante, un'anziana con un cane, una ragazza vestita da jogging, un paio di barboni, un fattorino delle pizze. Erano persone apparentemente normali, ma il suo sesto senso le diceva che non era così. I loro occhi non erano direzionati sulla tassista e sul tipo incappucciato, puntavano decisamente in un'altra direzione: la sua.
"Allora! Non hai niente da dire?!"
La tassista continuava a insistere senza ottenere risposta; il suo interlocutore rimase nella sua posizione, il viso senza volto rivolto verso l'abitacolo della macchina.
"Ma che, sei sordo?" proseguì imperterrita la donna arrivando a pochi centimetri da lui.
Il movimento che l'incappucciato fece in risposta fu talmente rapido da renderlo quasi impercettibile: afferrò la gola della donna con una mano, sollevandola poi di peso con la stessa facilità con cui si potrebbe sollevare un lenzuolo. Adriel spalancò bocca e occhi, pietrificata.
Restò a guardare, le dita affondate nel bordo del sedile anteriore, mentre la figura senza volto, lentamente, si girava verso la donna che si dimenava nel tentativo di non soffocare e liberarsi.
Fu allora che Adriel la vide, una piccola onda luminosa, simile a quella che aveva visto uscire dal palmo della mano di Ben, emergere dalla bocca della donna e introdursi all'interno dell'oscurità mascherata dal cappuccio.
La tassista tentò con tutte le sue forze di opporre resistenza, ma l'essere mantenne salda la presa, fino a quando non smise di muoversi. Dopo di che la lasciò cadere pesantemente a terra e lì rimase, immobile.
Adriel non ci rifletté molto, non ne aveva il tempo. Si infilò tra i due sedili anteriori, si allungò rapida a chiudere la portiera e memore delle precoci lezioni di guida ricevute da Max, ingranò la marcia, schivando bruscamente l'incappucciato.
I lati della strada erano gremiti di persone, che allo scatto dell'auto, si misero inspiegabilmente a correre nella sua stessa direzione.
Erano dappertutto. Uomini, donne, giovani, vecchi che si buttarono dal ciglio al centro della carreggiata. Non era ancora così esperta nonostante le ore di pratica, tentò di schivarli, ma erano troppi e cominciò a colpirli, senza volerlo, con il paraurti. Sembravano tutti impazziti e pareva si gettassero appositamente verso il veicolo per fermarlo.
La calma di Adriel a quel punto era passata in secondo piano. Cominciò a gridare, ogni volta che avvertiva il rumore brutale dell'impatto e d'istinto al contempo accelerava, spinta dalla paura che le impediva di fermarsi.
Le dita chiuse sul volante a stritolarlo, gli avambracci rigidi per la tensione. La mente una calca di pensieri sconnessi che le impedivano di dare una logica a quella situazione dannatamente assurda. Sentì le lacrime salire quando l'immagine della tassista a terra le tornò in un guizzo davanti agli occhi. Si sentiva dispiaciuta per quanto le era accaduto, come se la colpa fosse sua. E in fondo era così che si doveva sentire, se non avesse scelto il suo taxi a quest'ora non l'avrebbe lasciata là, in mezzo a una strada, forse priva di vita.
Non riusciva a dare una spiegazione a niente di tutto quello che le stava accadendo. Si sentì frustrata, abbandonata, terrorizzata. Nemmeno per un istante la sfiorò l'idea di chiedere aiuto. Fermarsi sarebbe equivalso ad affrontare quella calca di folli inseguitori; non poteva fidarsi.
A fatica arrivò all'incrocio. Sbandando curvò a sinistra in Saint Louis Street e schiacciò, questa volta a tavoletta, alla ricerca del numero 134.
Mentre lasciava correre lo sguardo sui civici di una serie di villette a schiera che davano su una striscia di verde, si chiese come avrebbe fatto a seminare tutta quella gente che ancora le stava dietro, una volta scesa dall'auto. Ma soprattutto: cosa avrebbe trovato al 134?
"128...130...132...134!!" esclamò inchiodando. Senza spegnere il motore, corse fuori dall'abitacolo.
Attraversò a perdifiato il breve vialetto che dalla strada conduceva alla porta d'ingresso. Con la coda dell'occhio, vide una massa scura muoversi rapidamente verso la sua stessa direzione: decine di persone sconosciute che inspiegabilmente correvano verso di lei.
"Da questa parte, Adriel!"
Nel riconoscere quella voce famigliare, le lacrime le rigarono le guance.
Billie era apparsa sotto l'indicazione del civico 134, in corrispondenza dell'ingresso di una piccola bifamigliare.
"Sono così felice di vederti!" esclamò gettandole le braccia al collo. "Non so cosa sta succedendo! Ben è all'ospedale, lancia onde di luce dalle mani e ci sono delle persone che mi stanno inseguendo! Sono tantissime!"
Adriel era preda del panico. Le mani tremanti non mollarono quelle di Billie nemmeno per un secondo, mentre senza prendere fiato, le illustrò quanto appena accaduto.
"Lo so, Adriel." Rispose lei con la dolcezza tipica del suo carattere.
Perché è così calma? pensò Adriel. Fu quella calma per nulla forzata a inquietarla maggiormente.
Perchè si trovava lì? L'aveva forse seguita? Da dove?
"Entra dentro" aggiunse indicando l'ingresso dell'abitazione, "presto finirà tutto." Continuò Billie senza smettere di infonderle, con lo sguardo, un'aurea di calma che in quel momento aveva un che di surreale.
"No! No! Non ti lascio!" ribatté Adriel aggrappandosi più saldamente alle mani della ragazza.
"Io rimango qui" disse perentoria Billie. "Tu mi aiuterai da dentro."
"Aiutarti?! A fare cosa?!"
"Ti verrà naturale, ora vai!" la incitò nuovamente.
Adriel fissò i suoi occhi verde scuro in quelli azzurro chiaro di lei che, nemmeno per un istante, perse il suo consueto sorriso. Con una fitta allo stomaco, le voltò le spalle ed entrò.
Il riverbero della luce di un lampione, le permise di mettere a fuoco l'interno. Si ritrovò subito in un ampio ambiente che sarebbe potuto essere un salotto. Non c'era alcun tipo di mobilio. Le pareti erano spoglie. Nessuna carta da parati. Le tastò alla ricerca di un interruttore, ma invano: non c'era corrente. Si guardò intorno, muovendosi dentro e fuori le stanze che davano direttamente su quella principale: niente.
Il luogo sicuro era una casa spoglia?
La porta d'ingresso non aveva una chiave da poter utilizzare per bloccare l'accesso dall'esterno e le finestre erano prive di inferriate: come poteva essere al sicuro lì dentro?
Corse alla finestra che dava sulla strada da cui era venuta, guardando fuori attraverso le tende, unico arredo presente: tutte quelle persone sconosciute avevano raggiunto il taxi e stavano correndo verso Billie.
Perché?
Vide la ragazza rimanere immobile, fino a quando non ebbe la prima fila di assalitori a un paio di metri di distanza.
Fu allora che capì che anche lei, fino a quel momento, le aveva nascosto qualcosa. Aprendo entrambi i palmi delle mani, Billie sprigionò quella luce: la sua, a differenza di quella di Ben, aveva un colore azzurro chiarissimo. La forma che assunse non fu quella di un'onda, ma di una specie di sfera che, partendo dalle sue mani, andò ad allargarsi. La luce crescendo, investì un gran numero di persone, facendole cadere a terra, come se andassero a sbattere contro un solido muro.
Quelli subito dietro proseguirono la loro corsa scavalcandone i corpi: dovevano essere almeno un centinaio.
In breve, quelli a terra si rialzarono. Billie sembrava in difficoltà, ma scagliò rapida una nuova ondata di luce che atterrò nuovamente le prime file.
Questa volta, prima che si rialzassero, la ragazza appoggiò i palmi a terra e fece scorrere la luce sul terreno. Fu incredibile.
Era come se avesse disegnato un enorme albero a partire dalle mani, un albero incredibilmente fitto di rami su cui erano incisi dei simboli, che Adriel non riuscì a identificare.
I rami si allungarono fino ai corpi delle persone a terra e ai piedi di quelli che stavano intorno a Billie che iniziò a respingerli, lanciandosi con loro in un inaspettato corpo a corpo.
Nonostante fosse minuta, sembrava dotata di una forza incredibile. Adriel ignorava che fosse esperta di combattimenti eppure il modo in cui sferrava e parava colpi dava evidenza del fatto che ci fosse abituata da tempo. Ogni volta che riusciva a toccare una di quelle persone, i rami di luce sotto di essi diventavano più intensi e si allungavano, risalendo lungo le loro gambe, fino ad entrare loro dentro attraverso bocca, occhi, naso, orecchie.
I loro corpi vibravano, come presi da una scossa, fino a quando le radici si ritiravano e quelle persone cadevano a terra, restando immobili.
Adriel però non ebbe modo di rilassarsi: erano troppi, raggiunsero Billie e la superarono. Li vide tirare dritto verso la porta d'ingresso: non aveva più scampo.
Istintivamente, si allontanò dalla finestra e corse verso la parete opposta. Non sapeva dove nascondersi, non c'era nulla per potersi nascondere!
Puntò una delle finestre che dava sul lato opposto, nella flebile speranza che una potesse rappresentare una via d'uscita praticabile ma... erano anche da quella parte!
La fissavano incollati alla superficie vetrata, come animali affamati e nel vederla iniziarono a battere le mani sui vetri delle varie finestre. Il rumore divenne insopportabile.
Sentì la porta d'ingresso aprirsi. Si girò di scatto. L'ultima cosa che vide, prima di rannicchiarsi su sé stessa, furono donne e uomini sconosciuti che erano chiaramente lì per prendere lei.
L'ultima cosa che sentì invece fu un calore fortissimo salirle dal petto e diffondersi a tutto il resto del corpo, fino alla punta delle dita. Si sentì come se stesse andando a fuoco, la vista annebbiata, le orecchie sorde.
Fu a quel punto che gridò per far smettere tutto.
Era notte fonda, le strade erano quasi deserte e pochi videro il grande bagliore che si sprigionò da Saint Louis Street e attraversò l'intero abitato.
Anche se per pochi istanti, la luce fu talmente intensa da illuminare a giorno una città che, a quell'ora, avrebbe dovuto essere a riposo nel buio della notte.
Ben e Max erano arrivati in prossimità del luogo sicuro al 134, quando quella bomba esplose. L'esercito di istigatori che li precedeva fu investito in pieno e uno a uno, li videro cadere a terra.
Anche loro furono travolti dal suo calore, ma l'effetto che subirono fu diverso: fu come se quell'onda, attraversando i loro corpi, li avessi caricati di nuova energia.
Ben smise immediatamente di percepire del tutto l'energia della dottoressa Larson dentro di sé e non avvertì più nemmeno la stanchezza che, date le circostanze e il suo stato fisico, avrebbe dovuto sentire.
Dovettero aspettare qualche istante, prima di riuscire a tornare a vedere in modo chiaro; la luce era stata accecante.
L'energia di Adriel aveva attivato il portale che Ben, più di un anno indietro, aveva creato all'interno dello stabile al numero 134 di Saint Louis Street.
Non si sarebbe mai immaginato un tale numero di istigatori, né tanto meno che l'energia emessa dalla figlia sarebbe stata tale da estendere le ramificazioni del suo portale per chilometri attraverso la città.
Percorsero gli ultimi tratti di strada che li separavano dal rifugio, scavalcando le persone che, anche se ancora in stato confusionale, stavano riprendendo normale possesso dei loro corpi.
All'inizio del vialetto, che portava alla porta d'ingresso, trovarono Billie: nonostante avesse consumato gran parte della propria energia, era stata anche lei "ricaricata" dall'onda di luce di Adriel.
"Stai bene?" le chiese Ben fissando l'ingresso del 134. "Sì" rispose serena. "Va da lei, Ben" aggiunse poi.
Virgil Bates aveva appena preso sonno, quando avvertì la terribile sensazione di panico che lo costrinse a svegliarsi di soprassalto. Rimase per qualche istante seduto sul letto, le mani tremanti, il pensiero incredulo. Come poteva essere? Quella sensazione aveva risvegliato in lui il ricordo di un'energia definita, unica e inequivocabile.
Doveva trattarsi di un incubo, che aveva innescato nella sua energia il ricordo di quella sensazione. Era la sola spiegazione possibile.
Decise di alzarsi e fare qualche passo fino alla cucina, per bere un sorso d'acqua e lasciare che quello spiacevole presentimento svanisse del tutto.
Si versò un bicchiere d'acqua fresca e ne assaporò ogni sorso. Aveva appena appoggiato il bicchiere vuoto nel lavello, quando squillò il telefono accanto al divano del grande salotto.
Prima di rispondere, gettò una rapida occhiata all'ora attraverso il display del forno elettrico.
"Sì?" chiese incuriosito. Riconobbe immediatamente la voce dall'altra parte. Era Jamie.
A suo dire, sembrava che un vedente fosse venuto meno ai patti e con un portale di energia di dimensioni spropositate, avesse invaso una parte della città, trascinando via da vari corpi le energie di alcuni neutrali.
"Pensi sia premeditato?" gli chiese la voce dall'altra parte del telefono. Virgil non rispose, doveva analizzare i fatti, prima di trarre una conclusione.
"Per estendere un portale fino a raggiungere quella dimensione, ci vuole una notevole quantità di energia che, non è da tutti..."
"I nostri pensano sia stato Wigan."
Virgil prese tempo per riflettere: conosceva bene le potenzialità di Benedict Wigan e conosceva la sua energia. Potenzialmente sarebbe stato in grado di fare una cosa simile, ma quella sensazione terribile, che lo aveva svegliato dal suo sonno, di certo, non era legata all'energia del ragazzo.
"Può aver creato lui il portale, ma non lo ha alimentato" disse poi, "ad alimentarlo è stata un'energia nuova, forse più potente della sua."
"Dai messaggi che ricevo pare che le vittime si trovassero in punti diversi della città" spiegò Jamie rapido. "Un solo vedente non può averli marchiati tutti, ma Wigan potrebbe aver creato il portale mentre più vedenti contemporaneamente marchiavano i nostri oppure..."
"Un portale di famiglia." Concluse Virgil, sedendosi sul bordo del divano. "Adriel Wigan si è rivelata."
Il pavimento del salotto era coperto di corpi privi di conoscenza. Un non vedente, un normale, li avrebbe creduti morti. Ben, invece, sentiva che erano deboli ma vivi.
E sentiva lei come mai l'aveva sentita prima. La sua energia le faceva vibrare l'anima a tal punto, che lui poteva sentire sulla sua la stessa vibrazione diffondersi in tutto il corpo; era elettrizzante.
Il calore che si irradiava da lei era talmente intenso da penetrare il suo corpo, anche in quel momento: la sensazione che aveva provato poco prima, quando era stato investito dall'onda, era ora ancora più percepibile, lo scaldava dentro.
Lei era rannicchiata a terra, le braccia strette sulle gambe piegate, il capo chino sulle ginocchia: poteva sentire quello che stava provando, era la stessa terribile sensazione che aveva provato lui diciassette anni prima, quando il mondo gli era crollato addosso.
Si mosse delicatamente verso di lei, scavalcando gli ostacoli dormienti, fino ad arrivarle a un paio di metri di distanza, abbastanza vicino da rendersi conto che stava piangendo, il capo ancora chino.
Non si era mai sentito così inadeguato. Da sempre sapeva che sarebbe giunto quel momento eppure, nonostante avesse analizzato spesso come affrontare la cosa, ora che tutto si era concretizzato, aveva un milione di cose che gli giravano per la testa e che avrebbe voluto dirle, ma non sapeva da dove cominciare.
Inaspettatamente fu lei a prendere la parola, scattando in piedi come una molla e correndogli incontro.
"Che cazzo è successo?! Cosa sono queste persone?! Chi cazzo sei tu?!" gridò sconvolta, prendendogli a pugni il petto.
Ben attese qualche istante, dandole il tempo di sfogarsi.
"Non sarà facile da accettare. Non lo è stato per nessuno di noi."
"Noi, chi?!" domandò lei cancellando le lacrime con i palmi.
Max e Billie entrarono in quel momento. Aveva visto quello che era stata in grado di fare Billie ma... zia Max? Non poteva essere così anche lei!
"Zia Max... anche tu?! No..." commentò rassegnata.
La donna si sforzò di allargarle un sorriso e darle tutta la sua comprensione.
"Sto sognando, vero? È un incubo e tra poco mi sveglio" si disse prendendo a camminare su e giù in modo frenetico, rosicchiandosi il pollice.
"Non è un sogno Adriel" tagliò corto Ben. "C'è un'altra cosa che forse non ti è ancora chiara..."
"Una sola?!" lo sbeffeggiò lei. "Mio padre lancia onde di luce dalle mani! Dei pazzi sconosciuti mi inseguono senza motivo! E cos'era quella luce che è appena uscita dal mio corpo?!"
Ben lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e la guardò con compassione; quella che stava per dirle, sarebbe stata la cosa più difficile da farle digerire:
"Adriel... "
La ragazza si bloccò di scatto, trattenne il respiro. Quelle che lui pronunciò furono le uniche parole che lei aveva sperato di non dover sentirsi dire.
"Sei una vedente anche tu."
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