03 - Vedi!

Aveva dato fondo alla sua energia, per aprire ad Adriel una via di fuga.

Non era decisamente quello il modo in cui Ben avrebbe voluto che lei sapesse la verità.

Non era così che avrebbe dovuto imbattersi, per la prima volta, in un istigatore. Ma soprattutto, non era vedendolo in azione che avrebbe voluto che lei scoprisse ciò che lui era in realtà.

Non avrebbe capito solo vedendo; non avrebbe potuto farlo, senza prima sapere.

Quello che Ben avrebbe dovuto raccontarle, già da parecchio tempo, era qualcosa che nessuna persona normale sarebbe mai stata in grado di vedere.

Non sarebbe stato per niente facile farle accettare il fatto che, ogni essere umano, ha dentro di sé due energie: una "attiva", quella umana appunto e una "dormiente", decisamente fuori dal comune. E ancora più faticoso, sarebbe stato farle capire che, se l'equilibrio della parte umana vacilla, il lato nascosto può rivelarsi e prendere il sopravvento, controllando corpo e volontà della persona ospitante. Quella che per Adriel era una normalissima dottoressa in camice bianco, in realtà era un istigatore: corpo umano reso vivo da quel lato addormentato che aveva riposato a lungo nel corpo della dottoressa Larson, prima di riuscire a prendere il sopravvento.

Gli istigatori votavano la propria esistenza a stimolare il lato latente nei più predisposti: persone con scarsa o indebolita energia umana o dominate da sentimenti capaci di minare l'autocontrollo, come rabbia, odio, paura, perdevano così l'equilibrio dell'energia di norma dominante.

Quelli come Ben invece, avevano il dono di possedere un quantitativo di energia umana nettamente superiore a quella dell'istigatore che risiedeva in loro, unitamente alla capacità di poter utilizzare quell'energia. I vedenti come Ben erano in grado di riconoscere un istigatore rivelato ed erano i soli che potevano cacciarlo dal corpo che lo ospitava e far tornare normale il legittimo proprietario.

Nella stanza in fondo al corridoio, Ben era riuscito ad atterrare altri due medici – istigatori, utilizzando gli ultimi residui della sua energia umana.

Aumentarla era l'unico modo per evitare che il suo istigatore si risvegliasse. Non aveva molto tempo, sentiva che ne stavano per arrivare altri.

Aveva battito cardiaco e respirazione accelerati e al tempo stesso, percepiva l'insolita sensazione di non essersi mai sentito così bene.

La cosa non lo rassicurava affatto. Faticava a concentrarsi e a mantenere il controllo. La tentazione di cedere a quel suo lato oscuro si faceva sentire, ma non poteva permettere che avesse la meglio, ne andava della sicurezza di tutte le persone che in quel momento erano all'interno dell'edificio.

Uscita dall'ospedale, Adriel aveva corso per almeno una decina di minuti, senza una meta effettiva. L'unica cosa che voleva era trovarsi il più lontano possibile da quella situazione assurda.

Non sapeva spiegarsi niente di ciò che aveva appena visto. Non sapeva se suo padre fosse ancora vivo e non poteva chiamare nessuno, dato che aveva lasciato il cellulare nella borsa che era rimasta nella stanza in cui Ben era ricoverato.

Non poteva nemmeno fermare uno dei tanti passanti che andava incrociando, perchè non avrebbe saputo cosa raccontare loro per convincerli a farsi aiutare.

Non aveva più fiato, quando fu costretta a fermarsi. Sarebbe potuta andare a casa di Max e Billie, ma Ben era stato estremamente chiaro: 134 di Saint Louis Street. Ma dove si trovava quell'indirizzo?

Tentò di ricomporsi e decise di fermare un taxi: non aveva soldi con sé, ma doveva arrivare a quell'indirizzo, a ogni costo.

"Non sei un po' piccola per andare in giro tutta sola a quest'ora?" domandò la tassista, quando la vide aprire la portiera.

"Mio padre mi aspetta a casa, 134 di Saint Louis Street" disse Adriel, cercando di mostrare calma.

La tassista, una donna di colore sulla cinquantina, con grossi occhiali da vista rotondi, la squadrò ancora per qualche istante.

"Non siamo troppo lontani, tesoro. Ci metteremo al massimo una trentina di minuti."

Quando Max arrivò all'ingresso del pronto soccorso, sapeva già che dentro c'erano almeno una trentina di istigatori. Li sentiva.

Durante il tragitto, era tornata a percepire l'energia di Ben, anche se molto debolmente.

Adriel invece era ancora normale. La sua natura non si era ancora sprigionata del tutto oppure, la "coperta" di energia che Ben ci riversava sopra da un paio d'anni, era ancora attiva.

Billie si era messa sulle sue tracce, sperando che seguendo gli ordini del padre si sarebbe diretta verso Saint Louis Street.

Gli istigatori sapevano che per un vedente in difficoltà ne sarebbero arrivati altri, per cui erano già pronti a riceverla. Cinque di loro le vennero incontro attraversando il piazzale che la separava dalla porta d'ingresso principale. Lei, per nulla intimorita, con passo sicuro, accolse la sfida.

Fece un profondo respiro e fu pronta a utilizzare la propria arma. Si inginocchiò a terra e poggiò il palmo destro al suolo. Lasciò che un'onda di energia le percorresse il braccio, fino a uscire dal palmo della mano, sotto forma di una luce blu intenso che inondò, come un fiume in piena, l'intero piazzale.

Fu come un flash, istantaneo. La luce scomparve, come assorbita dal terreno.

I cinque istigatori si bloccarono all'unisono, consci di quello che lei aveva appena fatto. "Adesso giochiamo" disse poi rialzandosi.

La caricarono tutti e cinque contemporaneamente, pronti ad attaccarla con la loro energia.

Max scelse di non proteggersi e azzardò subito la risposta: con la propria energia deviò il fascio di luce dell'istigatore più vicino, andando così a colpire il compagno di questo che cadde a terra.

Gli altri, presi alla sprovvista, la persero di vista quel tanto che le bastò per prendere la giusta rincorsa e scagliarsi addosso al più vicino di loro. Con una mossa degna del miglior wrestler, lo atterrò prendendolo al collo con le gambe e portandolo giù, faccia al suolo.

Con la mano destra, fu subito pronta a scagliare un muro di energia verso gli altri tre ancora in piedi, a impedire loro di avvicinarsi ulteriormente. Indirizzò poi la stessa mano verso il viso dell'uomo appena atterrato: l'istigatore vide rivelarsi il simbolo che Max aveva impresso sul palmo e capì immediatamente quello che stava per succedere.

La donna premette il palmo sul suo volto e il segno che lasciò fu come un marchio a fuoco.

Sotto i loro piedi, richiamato dal simbolo appena impresso sulla carne viva, tornò a illuminarsi un intreccio circolare di rami di luce. Con il gesto di poco prima, Max aveva trasformato l'intero piazzale in un gigantesco portale, un passaggio verso il Limbo, il luogo da cui provenivano gli istigatori e dove lei, vedente, aveva intenzione di farli tornare.

Max mollò la presa lasciando che il portale si muovesse in autonomia: le linee che lo componevano, come radici in crescita, si allungarono avvinghiando il corpo dell'uomo e non si allontanarono da questo, fino a quando non ebbero assorbito del tutto l'energia dell'istigatore.

La donna stava per rialzarsi, quando si accorse che uno dei tre, colpiti in precedenza, l'aveva aggirata per prenderla alle spalle. Non fece in tempo a reagire e non parò il colpo. L'onda dell'istigatore la scaraventò una decina di metri più avanti.

Dolorante, fece in modo di rimettersi in piedi subito, giusto in tempo per accorgersi che dalle strade laterali all'edificio, stavano arrivando altri tre istigatori.

"Ti serve una mano bellezza?"

Max riconobbe immediatamente quella voce; avrebbe preferito sentirne un'altra qualsiasi, ma data la situazione, decise di accontentarsi.

"Ciao Tom..." salutò senza troppo entusiasmo, riconoscendo il trentenne ammiccante appena giunto alle sue spalle.

Come era prevedibile, anche altri vedenti avevano avvertito la concentrazione di istigatori che si stava creando in quella zona, ma non si sorprese nel veder arrivare proprio Tom Reho.

"Che diavolo succede, qui?" domandò lui mentre sferrava una prima ondata di energia e atterrava i neo arrivati.

"Ben è là dentro e temo che tenteranno di istigarlo" tagliò corto lei, dopo aver parato un'onda nemica. Questa, nel rimbalzare indietro, colpì allo stomaco uno degli istigatori che prontamente venne marchiato da Max, sul collo.

"Wigan?! Ma sono fuori di testa??" ribatté Tom allibito, mentre atterrava una donna che gli si era lanciata al collo. "È l'ultimo di noi che cercherei di istigare: con tutta l'energia che si ritrova, è impossibile!"

Con il palmo marchiò l'istigatore e il portale reagì trascinandolo nel Limbo.

"Era a corto di energia, probabilmente è ferito" continuò Max mentre proseguiva l'avanzata verso la porta d'ingresso.

"Se è come dici, come può aver evitato di venire istigato?" proseguì lui affiancandosi a lei nella corsa.

"Non ne ho idea, ma sento che è ancora lui, per cui muoviamoci!"

Non aveva abbastanza energia per creare un portale né tanto meno ne avrebbe avuta per marchiare tutti quegli istigatori; erano troppi e a quanto sembrava, il loro numero era destinato ad aumentare.

Sapevano che era debole e non volevano lasciarsi sfuggire un'occasione come quella.

Doveva affrettarsi a riequilibrare la sua energia, prima che i suoi avversari riuscissero a terminare il lavoro iniziato dalla dottoressa Larson.

Non era la prima volta che veniva istigato; ne conosceva le pericolose conseguenze.

Detestava sentire quella metà di sé così su di giri e detestava sé stesso nel percepirla così attraente.

La tentazione di cedervi lo rendeva così arrendevole da farlo pericolosamente vacillare fino al limite. Ogni colpo che avrebbe voluto scagliare contro i suoi avversari alimentava un ingiustificato desiderio di appagamento che, normalmente, lui non avrebbe mai provato.

Inizialmente aveva sfruttato la carica di adrenalina che quell'energia estranea gli aveva iniettato e incurante di essere in camice da ospedale e scalzo, si era lanciato in una corsa lungo il corridoio, nel tentativo di guadagnare terreno verso l'uscita.

I degenti e il personale del pronto soccorso rimasti, preda del panico alimentato dal roborare dei colpi, si erano rannicchiati negli angoli delle stanze. Nel corridoio, erano rimasti solo istigatori, una decina per l'esattezza.

Giunto a metà dello stesso, Ben cercò riparo dietro uno dei desk usati per l'accoglienza. "Arrenditi, Wigan!" sentì gridare da una voce femminile, "non hai più energia umana. Non puoi fare altro che cedere!"

Gli altri istigatori, caricati da quelle parole, colpirono all'unisono nella sua direzione, facendo saltare il suo nascondiglio, un pezzo alla volta.

Ben sudava freddo, ma non per la paura. Di quella non si era mai preoccupato, nemmeno quando, da adolescente, si era trovato da solo ad affrontare istigatori ben più forti di quelli che adesso gli bloccavano l'unica via di fuga.

L'energia del suo istigatore pulsava dentro di lui e spingeva per uscire, con la stessa tremenda foga di un animale selvatico costretto in una gabbia.

Se avesse approfittato di quell'energia, si sarebbe liberato rapidamente di tutti loro, senza remore e senza freni, venendo però meno al compito di un vedente: rimettere in equilibrio, non eliminare.

Con la schiena contro la scrivania, incurante della pioggia di scartoffie che gli cadevano addosso sotto forma di coriandoli mal strappati, mise la mano sinistra sulla gamba ferita e strinse con quanta più forza possibile.

Il dolore bruciante, che andò a infliggersi, gli permise di riprendere momentaneamente il controllo rinunciando a reagire.

Si fiondò dentro una delle stanze di degenza. Il potente fuoco incrociato che seguì il suo scatto fece saltare parte della parete della stanza in cui aveva appena trovato riparo.

Incurante delle persone terrorizzate che si trovò davanti, Ben corse verso la finestra più vicina: era troppo in alto per saltare e senza la sua energia non poteva lottare ad armi pari.

Non gli restava altra scelta. Doveva forzare i tempi.

"Ho bisogno del vostro aiuto" disse improvvisamente, rivolgendosi al gruppetto di presenti, "so che siete sconvolti, ma posso risolvere la situazione se mi aiutate!"

Nessuno però sembrò prestare davvero attenzione alle sue parole: erano donne e uomini di età diverse, alcuni erano pazienti, altri infermieri e rimasero immobili, contro la parete, senza emettere alcun suono.

Loro stavano arrivando, era questione di secondi. Doveva agire.

"Chi tace acconsente" concluse guardandoli tutti rapidamente. "Non sentirete nulla, ve lo assicuro."

Chiuse gli occhi e si concentrò: sentì per primi gli istigatori nel corridoio e immediatamente a seguire, le dieci persone che gli stavano alle spalle. Sentì le loro energie, identificandone il grado di ciascuna, in modo da prenderne la giusta dose, senza lasciare nessuno di loro troppo debole.

A quel punto la sua energia fece il resto: le richiamò a sé e iniziò a ricaricarsi. Entrarono tre alla volta, da quella che poco prima era stata la porta d'accesso.

Ben pensò a lei, Adriel. La immaginò sola e impaurita, mentre correva verso il luogo sicuro che lui aveva appositamente creato per gestire una situazione come quella. Doveva chiudere in fretta e correre da lei.

Lasciò che quella nuova energia gli si allargasse nel petto, fino alla testa, alle mani, lungo le gambe.

Non era al suo massimo, ma sarebbe stato sufficiente per liberarsi la strada fino all'uscita.

Inspirò profondamente e aprì gli occhi.

Max e Tom erano riusciti a entrare dalla porta principale. Non trovarono alcun istigatore ad aspettarli, nessuna persona presa dal panico. Tutti i presenti, medici, infermieri, visitatori erano letteralmente immobili.

Loro sapevano chi poteva essere l'unico artefice di quel blocco forzato: un uomo nero, vestito di nero, che loro conoscevano molto bene, fermo alla base della rampa di scale che dava al piano superiore. Sul viso, la stessa calma innaturale che vi aveva letto Adriel poco prima.

"Zeph!" esclamò Max correndogli incontro.

"Terzo piano" la informò lui apatico.

Fu allora che sentirono un fragore, pari a quello di un tuono che colpisce il suolo e le loro orecchie smisero di sentire.

L'onda di energia esplose lungo tutto il corridoio, fino alla porta d'uscita dal piano.

Ben attraversò correndo i metri che lo separavano dalla salvezza, incurante delle decine di istigatori che si erano accalcati lì nella speranza di risvegliare il suo lato latente e che la sua onda aveva temporaneamente messo fuori gioco.

Spalancò la porta e giunto dall'altra parte, andò a sbattere contro qualcuno.

"Signor Cohen!" esclamò poi, riconoscendo la persona famigliare sulla cinquantina.

"Benedict!" gli gridò l'uomo, riassestandosi gli occhiali dalla spessa montatura scura. "Che diavolo è successo?! È come se mi fosse esplosa una bomba ai piedi!"

"Mi spiace, ma non ho avuto scelta" rispose frettolosamente. "Mi scusi, ma devo andare da Adriel!"

"La sento, la sua energia è decisamente evidente" aggiunse l'altro assumendo un'aria di rimprovero, "sta per rivelarsi... anche a noi."

Quell'ultima frase costrinse Ben ad arrestare la sua corsa. Non ebbe però il coraggio di guardarlo negli occhi.

"Era troppo insolito che la sua energia fosse così identica alla tua."

Ben si voltò per controbattere, ma l'uomo lo bloccò con un gesto della mano.

"Ti risparmio la paternale per dopo, ora risolviamo la situazione" disse con un sorriso bonario.

"Ehi!"

A quel richiamo, entrambi rivolsero l'attenzione verso la rampa di scale che scendeva al piano sottostante: Max e Tom li avevano raggiunti.

"Che cazzo hai combinato?!" esclamò Tom toccandosi le orecchie.

"Ho preso tempo" concluse Ben alla spiccia, mentre si avviava verso le scale per iniziare la discesa.

"Stai bene?" gli domandò Max indicando la macchia di sangue che si era formata sul camice all'altezza della coscia sinistra.

Ben notò solo in quel momento che la ferita alla gamba si era riaperta. "Ho avuto giorni migliori" ribatté sarcastico.

Max percepì una sensazione diversa dietro quell'affermazione.

"Sicuro di stare bene?" gli chiese nuovamente, mettendogli una mano sulla guancia e portandolo a guardarla negli occhi. Lo lesse come solo lei era in grado di fare e capì quello che agli altri non aveva intenzione di far sentire.

"Ho dovuto assorbire un po' di energia umana per controbilanciare la mia, ma sto bene" ammise lui con leggerezza mentre si liberava dalla presa di lei.

"Dove diavolo stai andando?" chiese Tom preoccupato, percependo l'enorme quantità di istigatori, al di là della porta del reparto, che a breve sarebbe ritornata all'attacco; Ben nel frattempo era già a metà della discesa.

"A cercare sua figlia" gli rispose il signor Cohen, "sta per rivelarsi."

"Cazzo!" esclamò Tom. "Niente male come serata. Eh, Wigan?" aggiunse poi gridando per la tromba delle scale.

Al termine della discesa, esattamente dove lo avevano incrociato Max e Tom, Ben trovò l'uomo in nero.

"Zeph" lo salutò con un cenno del capo, proseguendo oltre. L'uomo si limitò a osservarlo passare, senza fare una piega.

"Va' con lui" disse il signor Cohen rivolto a Max, "qui ci pensiamo noi." Tagliò corto indicando Tom con un cenno del capo.

"Grazie" disse lei indirizzandosi verso le scale.

"Max!" la bloccò lui. "Crede ancora che non lo sappia leggere, ma ho sentito il suo turbamento, giusto un attimo prima che lo mascherasse."

La ragazza aggrottò la fronte, non capendo dove l'uomo volesse andare a parare.

"Non ha ancora abbastanza energia in corpo per tenere completamente sotto controllo quell'altra sua parte..." aggiunse visibilmente preoccupato. "Fai in modo che non abbia occasione di liberarla."

"Non si preoccupi" gli rispose lei strizzando l'occhio, "non lo mollo."


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