02 - L'inizio dell'Inizio
Volarono in direzione del più vicino pronto soccorso. Lungo il tragitto, Adriel non mollò per un attimo la mano di Ben, gli occhi incollati sul suo viso pallido.
Non ci aveva mai pensato e in quell'istante, fu la prima volta in cui si trovò a immaginare cosa sarebbe successo se non si fosse ripreso, se non ci fosse più stato.
Come avrebbe potuto cavarsela senza di lui?
Sentì un vuoto allo stomaco, una sensazione ancora più tremenda di quella che aveva provato poco prima, aprendo la porta del bagno.
Ciò che le diede maggiore turbamento, fu il rendersi conto di non ricordare l'ultima volta in cui si erano scambiati un sorriso sincero, un gesto d'affetto.
Perché non si era imposta di parlargli prima? Perché non aveva messo da parte quell'orgoglio ereditato da lui e non aveva fatto il primo passo?
La corsa finalmente terminò. I soccorritori scaricarono la barella all'ingresso del centro medico e in pochi istanti, Adriel stava correndo lungo il corridoio principale della struttura, accanto alla barella che trasportava suo padre.
"Cosa abbiamo?" domandò una donna sulla quarantina, in camice bianco, raggiungendoli lungo il percorso.
"Maschio, ventinove anni, ferita alla gamba sinistra" rispose rapido uno dei paramedici.
"Chi ha fatto la sutura?" domandò lei dopo aver dato una rapida occhiata.
"Lui" rispose il paramedico indicando Ben con un cenno del capo. La donna parve sorpresa.
"Ha perso molto sangue" proseguì il paramedico.
"L'arteria femorale non sembra compromessa, ma ci è andato vicino" continuò la donna poi, rivolgendosi a due giovani medici che l'affiancavano "va comunque in sala operatoria per un controllo e una medicazione. Trasfusione, pronta."
I paramedici lasciarono la barella nelle loro mani, che la spinsero proseguendo oltre una porta su cui era posizionato un simbolo di divieto di accesso. La donna invece rallentò il passo e afferrò delicatamente Adriel per la spalla, impedendole di proseguire.
"Tutto bene?" le chiese abbassandosi per poterla vedere direttamente in faccia. "Tu stai bene?" ripeté esaminandole rapidamente braccia e gambe.
Adriel capì che stava cercando una ferita, per via del sangue che le aveva macchiato i vestiti.
"Non è mio..." la rassicurò scuotendo il capo.
"Tuo fratello si riprenderà, puoi stare tranquilla."
Capitava spesso che fraintendessero la parentela, era comprensibile.
"È mio padre" la corresse lei trovandosi a fissare le mani sporche del sangue di lui.
"C'è qualche parente che possiamo chiamare? Tua madre? I tuoi nonni?"
"Mia zia Maxinne" rispose Adriel poco convinta.
Perché Ben non le aveva semplicemente chiesto di chiamarla? Perché le aveva detto di andare a un indirizzo che nemmeno conosceva?
"Sai il numero?"
Adriel annuì.
Dall'altra parte della città, Max e Billie stavano festeggiando il terzo anniversario insieme. Max aveva prenotato un tavolo "Da Carlo", uno tra i migliori ristoranti della zona.
Aveva riservato quella sorpresa con quattro mesi d'anticipo e ora, finalmente, si stava godendo una cena stellata con l'amata compagna.
Erano in procinto di assaggiare il primo dei due secondi proposti dal menù degustazione, quando all'unisono si bloccarono, forchetta e coltello sospesi a pochi centimetri dal piatto.
Max sollevò lo sguardo, incrociando quello di Billie.
"Non sento Ben" disse preoccupata.
Billie sapeva esattamente a cosa Max stesse alludendo.
"È come se improvvisamente si fosse spento" specificò la ragazza, lo sguardo perso nella constatazione di quella sensazione così vivida.
"Dobbiamo andare" esordì Billie seria, senza giri di parole.
Max rimase a guardarla ancora per un istante, intensamente: è il nostro anniversario, cazzo! pensò.
Billie depose le posate a bordo piatto e Max fece altrettanto. Poi mise la propria mano su quella di lei e le sorrise:
"È stata una serata stupenda."
Cazzo, sì! pensò Max, ma non è così che doveva finire!
Si tolse malvolentieri il tovagliolo dal grembo e si alzò dalla sedia: "Spero vivamente per lui che sia morto o giuro che lo ammazzo io."
Adriel aveva perso la cognizione del tempo. Non avrebbe saputo dire per quanto fosse rimasta seduta in quella stanza, su quella sedia, senza cambiare posizione. Da quando Ben era ritornato dalla sala operatoria, non era più riuscita a muoversi né a smettere di fissarlo.
In quegli istanti, non aveva fatto altro che pensare e ripensare: come si era procurato quella ferita? Perché si era cucito da solo la gamba, pur di evitare l'ospedale?
Il cellulare non aveva campo e non era riuscita a chiamare né Max né Billie. Ma la dottoressa Larson, la donna che si era accertata del suo stato di salute, le aveva assicurato di essersi messa in contatto con Max, che presto l'avrebbe raggiunta in ospedale.
Prese a mangiarsi le unghie della mano destra: era un vizio che aveva sin da piccola e che non riusciva a evitare nei momenti di forte stress. Tornò poi a fissare lo schermo del telefono, riavviando per l'ennesima volta la ricerca del segnale di rete.
Negli ultimi mesi aveva elaborato personali congetture per spiegarsi il radicale cambio di atteggiamento di suo padre, arrivando addirittura a temere che si fosse cacciato in uno dei tanti brutti giri noti in città. Non che lui fosse quel tipo di persona o almeno, non per come lo conosceva lei. Tuttavia un rider delle consegne non guadagnava grandi cifre e mantenere due persone, di sicuro doveva comportare un grande impegno economico. Forse, ma sperava vivamente di sbagliarsi, aveva cercato di arrotondare lo stipendio facendo qualche lavoro extra poco pulito e forse aveva fatto un torto a qualcuno, che non ci aveva pensato due volte a fargliela pagare usando le maniere forti.
Al solo pensiero che quella versione dei fatti potesse essere la realtà, si sentì tremendamente in colpa: se lui avesse dovuto pensare solo a sé stesso, molti dei suoi problemi sarebbero svaniti, primo tra tutti rischiare di morire dissanguato sul pavimento del bagno.
E quella era solo la peggiore delle ipotesi che aveva riadattato ai fatti recenti.
L'altra spiegazione papabile era che si fosse portato a letto la tipa sbagliata e che il fidanzato o marito di lei, scoprendoli, ci fosse andato giù pesante, per fargli passare la voglia di rifarlo. Questa versione le permetteva di discolparsi del tutto, in quanto, fosse stata la verità, l'unica colpa sarebbe stata da imputare al fascino innato che caratterizzava suo padre e a cui, sempre dai fatti, le donne sembravano sottrarsi a fatica.
"Leva quelle dita dalla bocca..."
Detestava quel rimprovero, ma sentirlo in quell'istante fu una gioia.
"Ben!" esclamò saltando letteralmente dalla sedia e inginocchiandosi al suo capezzale in modo da avere il viso a pochi centimetri dal suo.
"Ehi... non stavo mica per morire" sdrammatizzò lui con un sorriso tirato. "Siamo in ospedale, vero?" le domandò dopo aver dato un rapido sguardo alla stanza.
"Sì..." rispose lei, temendo già la sua reazione, per cui giocò d'anticipo, "so che non volevi che chiamassi l'ambulanza, ma c'era sangue dappertutto, sei svenuto e io sono andata nel panico. Ho fatto l'unica cosa sensata che..."
"Perché sono legato al letto?" la interruppe lui osservandosi i polsi, entrambi costretti alle sponde del letto da due paia di manette lucenti.
"La dottoressa Larson ha detto che è la procedura... Io non sapevo giustificare come ti fossi ferito e loro hanno trovato strano il fatto che ti fossi cucito da solo e che non volessi venire qui, per cui hanno ipotizzato il tuo coinvolgimento in qualche cosa di insolito o sospetto o almeno credo sia per questo..."
"La procedura..." ripeté lui, lasciando cadere la testa sul cuscino.
Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Quando li riaprì, la fissò per un tempo che a lei parve infinito e con intensità e serietà tali da metterle soggezione.
"C'è una cosa che avrei dovuto dirti già da tempo, ma che ho volutamente scelto di tenerti nascosta... almeno fino a che non saresti stata pronta..."
Senza staccare gli occhi dai suoi, Adriel, istintivamente, gli strinse la mano.
"So quanto tu, a differenza mia, ami le cose logiche e razionali. Tutto quello che sta per accadere, a partire da come mi sono ferito, ti sembrerà assurdo ma, fidati, ha alla base una spiegazione che non ti sarà facile accettare ma... fa parte di noi."
Adriel era confusa: non aveva minimamente idea a cosa stesse alludendo e mai sarebbe potuta essere più lontana dalla verità.
Nonostante le manette che gli bloccavano i polsi, si sforzò di mettersi seduto. La ragazza si alzò da terra, rimanendo al suo capezzale, pronta ad ascoltare la sue parole.
Improvvisamente Ben rivolse lo sguardo verso la porta della stanza. Era chiusa e nessuno aveva bussato.
"Stanno arrivando" disse poi gelido, senza distogliere lo sguardo dall'unico accesso presente nella stanza.
"Chi?!" domandò Adriel, fissando a sua volta la porta e scattando in piedi. D'istinto le afferrò il braccio.
"Voglio, e questa volta mi devi ubbidire, che qualsiasi cosa accada, qualsiasi, quando ti dico CORRI tu corri, senza mai voltarti e non ti fermi fino a quando non sei al 134 di Saint Louis Street, mi sono spiegato?"
"Ma..."
"Mi sono spiegato?" ripeté lui stringendola con maggior forza.
"Mi... mi spaventi così" disse lei, mentre sentiva il calore delle lacrime salire.
"Lo so..." ribatté lui.
Gli faceva male farla stare così, glielo leggeva negli occhi, ma capii che si sforzava di tenere duro: "Prometto che ti spiegherò tutto, quando saremo fuori di qui."
"Ma che succede?!" continuò Adriel, con un filo di voce.
Ben la fissò intensamente, cercando di non cedere di fronte al suo tono incrinato. "Giuro che ti spiegherò tutto, ma ora tieniti pronta a scappare."
La porta della stanza si aprì e Adriel avvertì un fremito gelido correrle lungo la schiena. Riconobbe immediatamente la dottoressa gentile che li aveva accolti al pronto soccorso; la donna, entrando, le allargò un sorriso.
Stava per ricambiare, quando in lei si attivò quel suo sesto senso. Un'insolita sensazione di trepidante eccitamento, fu la sensazione che percepì ora che l'aveva di fronte.
"Bene! Vedo con piacere che ha ripreso conoscenza" esclamò la dottoressa Larson rivolta a Ben.
Il ragazzo trattenne la figlia a sé ancora per un istante, il tempo di un sussurro: "Non fidarti di nessuno."
Adriel incredula fissò lo sguardo in quello del padre, prima di fare un passo indietro e voltarsi in direzione dei nuovi arrivati.
Notò che la donna era accompagnata da un giovane medico e da un poliziotto, che ebbe la premura di chiudere la porta alle loro spalle. Entrambi gli uomini erano seri, non fecero alcun cenno di saluto né vennero presentati. Si misero ciascuno ai lati del letto, quasi fossero in attesa.
"Come si sente, signor Wigan?" proseguì la dottoressa, fermandosi ai piedi del letto.
"Me lo dica lei" ribatté Ben, con un inspiegabile tono provocatorio.
La donna lanciò una rapida occhiata ad Adriel e sorrise alla risposta di Ben, affiancandosi al letto.
"Sei furbo, signor Wigan" riprese, poi cambiando decisamente tono "non si perde tutta quell'energia per una stupida ferita alla gamba..."
Parlando aveva preso a tamburellare le dita della mano sinistra sul piede di Ben, per poi iniziare a risalire lungo la gamba.
"Ma ci si fa una stupida ferita come questa, se si consuma tutta la propria energia per qualcos'altro... qualcosa di particolarmente impegnativo..."
La sua mano gli era arrivata all'inguine. Ben era inspiegabilmente calmo e immobile. Adriel fissava sempre più stranita il comportamento della donna.
"Qualcosa come dirottare la propria energia su questa ragazzina a cui tieni tanto, per non farcela vedere."
Sta parlando di me?! si domandò Adriel, quando la donna tornò a fissarla. Il suo sguardo non era più dolce e disponibile come prima; i suoi occhi adesso la guardavano avidi.
Adriel spostò lo sguardo nuovamente verso suo padre: anche lui aveva una luce diversa. Nonostante fosse ancora pallido, i suoi occhi parevano brillare carichi di un'inspiegabile voglia di sfida. Non rispose alla donna, ma continuò a seguirne i movimenti, senza battere ciglio.
"Sai che ti dico, Wigan" proseguì poi la dott.ssa Larson, piegandosi fino a stare a pochi centimetri dal viso di Ben "adesso aiuto l'istigatore che è in te a riprendere il controllo del tuo corpo e poi ci divertiamo con lei."
"Fottiti!"
Non solo Adriel non si sarebbe mai aspettata una risposta del genere, ma anche ciò che Ben fece la lasciò allibita: con una violenza inaudita, sferrò una testata alla donna, colpendola esattamente sul naso!
Questa lanciò un grido di dolore e barcollando, indietreggiò sui suoi passi.
Il poliziotto, fino a quel momento rimasto immobile, fu costretto a intervenire, colpendo Ben con un pugno tremendo in pieno viso.
In reazione, Adriel fece l'unica cosa che le venne spontanea: gridò o meglio ci provò, ma solo per un secondo. Il giovane medico, che nel frattempo si era posizionato alle sue spalle, l'afferrò prontamente, tappandole la bocca.
Adriel aveva il battito a mille, non capiva più nulla: prima lo strano discorso di Ben e ora, questo!
"Non hai abbastanza energia umana!" riprese la dottoressa furiosa, asciugandosi con la manica del camice il sangue che le colava dal naso, "né per salvare te, né tantomeno per salvare lei! Sei finito, Benedict Wigan! A me l'onore di risvegliare l'istigatore più potente tra noi!"
Ben diede alcuni strattoni alle manette che lo ancoravano al letto, nella vana speranza di riuscire a liberarsi.
"Ricordati quello che ti ho detto" disse poi alla figlia, lanciandole un inaspettato sorriso.
"Taci!" esclamò la donna, stringendo la mano sulla ferita fresca.
Ben lanciò un tremendo grido di dolore. Quello che accadde subito dopo, per Adriel non ebbe nulla di razionale.
La donna gli afferrò la testa e lo baciò sulle labbra. Ma non in modo normale, sembrava stesse vomitando qualcosa, direttamente nella sua bocca.
Nonostante la mano del suo aguzzino le impedisse di gridare liberamente, Adriel gridò comunque.
Il corpo di Ben prese a contorcersi, la schiena inarcata, i piedi puntati nel materasso. Fu una scena orribile che fortunatamente durò solo qualche istante; poi il ragazzo tornò a rilassarsi sul materasso, gli occhi chiusi come svenuto.
Il poliziotto si avvicinò al letto, estrasse da una tasca la chiave delle manette e liberò entrambi i polsi di Ben.
Adriel cercò di divincolarsi dalla presa che la tratteneva, ma l'uomo alle sue spalle strinse più forte, togliendole quasi del tutto il respiro.
Di colpo Ben spalancò gli occhi e respirò a pieni polmoni, come per riprendersi da una lunga apnea.
Il poliziotto e la dottoressa sorrisero soddisfatti.
Ben si sedette di scatto, lo sguardo fisso alla porta. Poi si guardò le mani e si toccò gambe e petto.
"Come ci si sente finalmente liberi?" chiese poi la donna con impazienza.
Il ragazzo non rispose, ma si limitò a lanciarle un'occhiata di sfida. "CORRI!" esclamò all'improvviso.
Con un gesto repentino, protese la mano sinistra verso di loro, palmo aperto e accadde qualcosa. Fu come un'onda, un'onda luminosa che si sprigionò dal palmo della mano di Ben e che, come un proiettile, colpì prima il poliziotto e poi la dottoressa, in pieno petto, mandandoli a sbattere violentemente contro il muro e lasciandoli a terra privi di sensi.
Il medico che tratteneva Adriel non ebbe nemmeno il tempo di pensare: Ben, in un secondo, indirizzò verso di lui il palmo sinistro e lo colpì, allo stesso surreale modo, atterrandolo.
Finalmente libera dalla presa, Adriel sapeva già cosa fare.
In meno di un secondo, era fuori dalla stanza. Senza pensare e senza voltarsi, continuò a correre lungo il corridoio del reparto, incurante del fatto che si trovava in un ospedale, incurante dei medici e degli infermieri che incrociava e che, vedendola sconvolta, le dicevano parole difficili da cogliere, forse "non correre" o forse altro, ma le sue orecchie non sentivano.
Continuò a tirare dritto, gli occhi puntati verso la porta che l'avrebbe finalmente portata all'esterno, alla strada che l'avrebbe condotta in Saint Louis Street.
Per poco, non travolse una signora in stampelle e un tipo che si trascinava dietro la flebo appeso a un sostegno con le ruote. Adriel gridò loro delle scuse e fu allora che sentì un boato che la costrinse a fermarsi e voltarsi indietro.
Era quasi certa provenisse dalla stanza in cui aveva lasciato Ben. Il panico a quel punto assalì anche gli altri presenti. Il personale, dalle varie stanze del piano, si riversò in un attimo nel corridoio. Le grida e il caos crescevano intorno a lei, ne era frastornata: cosa poteva essere successo?
Stava per ritornare sui suoi passi, quando una voce, calma e pacata alle sue spalle, la trattenne: "Tuo padre se la caverà, Adriel."
A parlare era stato un uomo di colore, alto e distinto, che non aveva mai visto prima. Era vestito di nero, incredibilmente elegante e sembrava trasmettere un'insolita calma in quel contesto apocalittico.
Come sa il mio nome?!
La ragazza lo fissò dritto negli occhi e lui rispose con un sorriso tirato, strano, come se non ne fosse capace.
A quel punto Adriel ricordò le parole di Ben: non fidarti di nessuno.
Si morse il labbro inferiore e si costrinse a riprendere la corsa verso l'uscita. Lo sconosciuto non fece nulla per impedirglielo.
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