XXVII - Friday, I'm in love.

'Cause the drinks bring back all the memories.

And the memories bring back, memories bring back you.

Memories - Maroon 5

Arona, un qualsiasi pomeriggio di novembre di undici anni fa.

«Che ci fai qui?»

Fuori ci sono meno di dieci gradi, ma lui non accenna a dismettere quel ridicolo giubbotto da motociclista. Capelli mossi sparati verso l'alto che hanno disperatamente bisogno di un taglio, barbetta che lui vuole far credere di aver lasciato incolta ma io so che non gli cresce più di così, occhi infossati e allungati, con quello sguardo furbo che lo contraddistingue. Giorgio è sul mio pianerottolo e mi guarda con un sorriso sfacciato sulla faccia. Sospiro. Non ho voglia di vedere nessuno, oggi.

«Che accoglienza,» mi apostrofa, «e io che ti ho portato i marshmallow.» Solleva una busta che non avevo notato. «Credo che tu ne abbia bisogno.»

«Mia madre ha parlato, eh», commento inacidita, mentre mi sposto per farlo entrare e soprattutto per chiudere il gelo fuori da casa mia.

«Tua zia, in realtà.»

«E chissà chi gliel'ha detto.»

Mai che qualcuno si faccia gli affari propri, nella mia famiglia. Mamma Guenda avrà già messo i manifesti lungo tutta Arona.

«Ti ha mollato, eh?»

«G, non è aria.»

«Dai, sto scherzando. È lui che ci perde.»

«Attualmente l'unica che ci perde sono io, che sono stata mollata.»

«No, è lui che è uno scemo.»

Non rispondo. Trattengo il fiato per qualche secondo, per poi tirare fuori l'aria dal naso, gli occhi di Giorgio nei miei. Sento il mio stomaco stringersi, mentre lui curva gli angoli delle labbra verso l'alto e solleva di nuovo la busta bianca.

«Tè e marshmallow?»

Non vorrei dargliela vinta, ma, come ogni volta, non c'è partita. Annuisco e gli faccio cenno con la testa di seguirmi in cucina. Accendo il bollitore, poi recupero un paio di filtri tra le migliaia di gusti di Mamma Myriam.

«Finocchietto, va bene?»

«Fai tu, per me è uguale.» Giorgio si siede al capotavola e punta gli occhi marroni su di me. «Come stai?»

L'unica persona che me l'abbia chiesto davvero, insieme ad Anna. L'unica persona che non ha liquidato come una cosa normale essere mollate, alla mia età – tipo le mie mamme – ma che vuole conoscere il mio stato d'animo. Finisco di mettere a bollire l'acqua e mi siedo di fronte a lui.

«Da schifo», confesso. «Marco mi piaceva da matti.»

L'espressione che fa è piuttosto eloquente. «Beh...»

«Beh, che?» rispondo stranita.

«Non era tutto questo bel vedere...»

Roteo gli occhi. «E certo, ha parlato Brad Pitt.»

Per tutta risposta, Giorgio tira fuori un sorriso che mostra tutta la sicurezza in sé stesso. Le pieghe sulle guance magre gli sottolineano gli zigomi alti, i denti bianchi escono fuori dalle labbra sottili. Ha sempre saputo di essere bello e lo dimostra la sfilza di ragazze che ha sempre avuto dietro. Al momento è single, dopo che si è mollato con la sua ultima fidanzata qualche mese fa – e meno male: era insopportabile – ma di certo non resta con le mani in mano, o meglio, con quello che ha nei pantaloni al suo posto.

«E comunque la bellezza è soggettiva», parlo di nuovo, anticipando qualsiasi suo commento. «Mi faceva stare bene, ma evidentemente non lo facevo stare bene io.»

Sospiro. Non ci posso credere che solo tre giorni fa ero allo stadio a vedere la sua partita di calcio e a fare il tifo per lui, che oltretutto è pure una sega spaziale come attaccante. Mi diceva sempre che mi avrebbe dedicato un goal, ma non ne ha mai fatto uno in quattro mesi che ci siamo frequentati.

«Com'è che si chiama la tipa con cui sta ora?»

Ah, allora sa proprio tutto. Zia isabella ha proprio la lingua lunga.

«Alessandra D'Alessandri», biascico e solo pronunciare quel nome mi fa venire voglia di piangere di nuovo. Giorgio inarca le sopracciglia folte.

«Stai scherzando?» mi domanda. «Davvero si chiama Alessandra D'Alessandri?»

Non riesco a capire se è serio o meno.

«Lo vedi che è come ho sempre pensato io?» dice ancora.

Arriccio le labbra. «Come avresti sempre pensato tu, sentiamo.»

«Che è un coglione», sentenzia. «Solo un coglione così potrebbe mollarti e mettersi con una che si chiama Alessandra D'Alessandri.»

Sarà il tono serio con cui lo dice, come fosse una verità indissolubile, ma mi scalda il cuore e, contro ogni aspettativa, mi fa ridere.

«Che cretino che sei», provo a insultarlo, ma si mette a ridacchiare anche lui.

«Però almeno ti faccio ridere.»

Ci guardiamo negli occhi e la risata si trasforma in un sorriso sulle nostre labbra. Come a farmi sempre tornare il buonumore? Lo conosco da quando avevo cinque anni ed è sempre stato l'unico in grado di rimettermi in careggiata.

«Alessandra D'Alessandri...» commenta ancora. «Vuoi mettere con Emma Casali Boschi? Non c'è paragone.»

L'acqua nel pentolino comincia a borbottare e mi alzo a prendere le tazze. Scelgo le mie preferite: quella di Harry Potter per me e quella di Iron Man per lui. Ci metto dentro i filtri e inizio a versare l'acqua bollente. Alessandra D'Alessandri sarà pure un nome ridicolo, ma lei di certo non lo è. In primo luogo, frequenta il quinto, come Marco, quindi a breve daranno la maturità insieme. È più alta di me, è più magra, ha tutti vestiti di marca e ha due tette che chiunque a scuola si volta a guardare, persino le ragazze, e intendo anche quelle eterosessuali. Ha i capelli biondi, ma non un biondo sciapo come il mio, un platino che luccica sotto la luce del sole. È una figa pazzesca e rispetto a lei sono la comparsa di un film in cui Jennifer Lawrence interpreta la nobildonna dell'Ottocento e io la domestica che pulisce le scale. E a proposito di maturità, lei è matura in tutti i sensi. Lo sapevo che dovevo fare sesso con lui, maledizione. Me lo ha chiesto svariate volte, ma io sono sempre stata restia, volevo attendere ancora, non mi sentivo pronta, ma ho aspettato troppo. È che Marco aveva troppa fretta, mi metteva ansia, era sempre lì a provare a mettermi le mani dappertutto e io non mi sentivo a mio agio, ma forse avrei dovuto superare tutte queste paranoie e buttarmi. Dopotutto, ha ragione Anna, la prima volta è una, meglio togliersi il pensiero perché poi è tutto in discesa. Ho aspettato troppo, ho perso l'attimo e il ragazzo per cui avevo una cotta da ben prima che lui sapesse il mio nome è andato a cercare quello che voleva da un'altra parte. Da Alessandra D'Alessandri. Quindi non so se è proprio come dice Giorgio, che è lui che ci perde e che è un coglione. L'unica cogliona che vedo qui sono io.

Gli metto la tazza davanti. Il mio amico, nel frattempo ha messo sul suo telefono una canzone che sentiamo spesso insieme, "Friday, I'm in love" dei The Cure. Lo sa che questa canzone mi mette allegria.

«È anche venerdì, oggi», dice, canticchiando la prima strofa. Soffia sull'acqua bollente e mi guarda di nuovo.

«Ti va se ci beviamo il tè e poi usciamo?»

Curvo le sopracciglia. «Per andare dove?»

«Non lo so, a Torino?»

Ora sono io a inarcare le sopracciglia. «A Torino? Ma sei scemo? Ci vuole più di un'ora!»

«Allora andiamo a Milano.»

Mi sta prendendo in giro? Perché non fa ridere. Prendo un sorso di tè e mi scotto la lingua. «Ci vuole un'ora, due con il traffico del venerdì pomeriggio.»

«Andiamo in moto, ci mettiamo la metà del tempo.»

«In moto a novembre?»

«Ci copriamo!»

Gli occhi speranzosi mi scaldano di nuovo. Quanto è dolce quando fa così. Ci tiene davvero a farmi stare meglio. Anche io voglio stare meglio. Non mi va più di avere questi brutti pensieri, voglio distrarmi. Da qualche parte dovrei avere una giacca adatta, addirittura una da motociclista di mamma Guenda.

«E va bene, andiamo a Milano.»

Maledetto, lo sa che quando nomina la mia città preferita non riesco a resistere. Io adoro andare a Milano. Impazzisco quando vedo il Duomo, i Navigli, tutte quelle stradine deliziose piene di negozi, l'aria cosmopolita, la metropolitana. Non vedo l'ora di andare all'università solo per trasferirmi lì.

«Dai, ti porto in un ristorante stellato che voglio troppo provare», continua Giorgio, sempre con quel luccichio nelle pupille. Soffoco una risata.

«Un ristorante stellato?»

«E che c'è di strano?»

«Con quali soldi, G?»

Non per fargli i conti in tasca, ma lo stipendio che prende alla pizzeria del padre non è così alto. Lui fa un gesto indifferente con la mano. «Ci prendiamo un antipasto.»

«In due, magari», lo prendo in giro.

«E poi un kebab a Colonne,» sta al gioco lui, «lì li fanno buoni.»

Adesso rido sul serio. Solo Giorgio poteva dire una cosa del genere.

«A parte gli scherzi,» dice ancora, masticando un marshmallow, «ci voglio almeno passare davanti a quel ristorante. Ha appena preso una Stella Michelin e l'Executive Chef ha poco più di trent'anni.»

Sento dell'emozione nella sua voce e mi viene da sorridere. «Dov'è?» mi informo.

«A Wagner, vicino Piazza Piemonte.» Fa una piccola pausa. «Quanto mi piacerebbe lavorare lì. Sai quante cose potrei imparare?»

«Manda il curriculum, no?» propongo, ma la risata amara con cui mi risponde mi zittisce.

«E secondo te mi prendono?»

«Perché non dovrebbero?»

«Perché nel mio curriculum c'è scritto che faccio la pizza e gli agnolotti da quando avevo sedici anni in una bettola di un paesino sul Lago Maggiore, Emma. Non mi prenderebbero nemmeno come lavapiatti.»

La durezza nella sua voce mi fa rabbrividire. Vorrei dire qualcosa, ma non mi viene in mente nulla. Lo guardo mangiare un altro marshmallow che ha preparato lui, come qualsiasi cosa che si mangia a casa sua, e anche quando viene qui e siamo solo noi, perché è quello che sa fare e che ama fare. Giorgio lavora alla trattoria del padre da quando lo conosco, un posto piuttosto conosciuto ad Arona, ma piccolo e senza pretese. Ha provato a portare la sua passione per la cucina nell'attività di famiglia, ma è stato tutto inutile. Il cibo e l'arte del cucinare sono l'unica cosa che gli è sempre interessata nella vita, che ha studiato e continua a studiare, così come a fare corsi, tutto a sue spese, senza chiedere mai un euro a suo padre. Quest'ultimo, brav'uomo ma con una testa dura della peggior specie, non ha mai acconsentito a modifiche nel menù o miglioramenti, mantenendo la stessa qualità e gli stessi piatti da sempre e spegnendo qualsiasi aspirazione del figlio, che voleva e vuole tuttora fare il salto. L'atmosfera dentro casa Cavalieri è costantemente tesa, persino quando vado a cena in trattoria si percepisce, ma forse perché conosco bene la situazione, anche se lui non ne parla spesso. Il fatto è che Giorgio è così pieno di talento e mi fa rabbia il fatto che Antonio non se ne accorga e lo faccia ammuffire lì dentro. Penso spesso che dovrebbe andarsene e credo che lo pensi anche lui, ma mi rendo conto che quando si tratta della propria famiglia è difficile prendere le distanze e soprattutto accollarsi il rischio di deluderla. Abbozzo un sorriso.

«Dai,» prendo la parola, «allora mi vesto e andiamo, così me lo fai veder...»

Un rumore mi zittisce. Un tuono tremendo, così forte da far tremare le finestre. Ci fissiamo.

«Magari a Milano non piove», azzarda lui, ma io mi sento di nuovo depressa. Della pioggia incessante comincia a battere contro i vetri e solo un folle prenderebbe l'autostrada a cavallo di una moto in questo momento, e io ci tengo alla pelle. Sospiro.

«Sarà per la prossima volta», mi lamento. Giorgio sorride malinconico e non dice nulla.

«Ti va di vedere qualcosa?» propongo. Che poi era proprio quello che avevo intenzione di fare, prima che arrivasse lui, accendere il computer e cercare qualcosa in streaming.

«Tu li mangi i marshmallows?» ricambia la domanda lui. Potevo davvero credere che non avrebbe notato che non ne ho toccato neanche uno? «Guarda che li ho fatti io.»

Stringo le labbra. Non ho fame, non ho nemmeno pranzato, ma se mi azzardo a dirglielo si arrabbia. Mi costringo ad annuire e ne prendo uno. Giorgio curva le labbra.

Ci sistemiamo sul mio letto, nella mia stanza al primo piano, e non appena lo schermo si illumina mi viene una voglia matta di una serie tv in particolare.

«No, ti prego, risparmiami questa tortura!»

Nemmeno gli rispondo. Seleziono la quarta stagione di The Vampire Diaries e clicco sul terzo episodio. «Sono indietro, devo recuperare.»

A forza di studiare e di vedere le partite di quel cretino ho perso troppe puntate. Giorgio si lascia scappare un lamento alla mia destra.

«Perché mi costringi a vedere i vampiri?»

«Senti, G, Elena è appena diventata una vampira e qua è tutto un casino», gli spiego con tono serissimo, come se stessimo parlando della guerra in Siria.

«Perché mi vuoi così male?»

«Chi è che è stata mollata?» gli ricordo, puntando sulla compassione. Lo vedo sbuffare.

«E va bene, però tieni», e mi dà un altro marshmallow. Glielo stacco dalle dita direttamente coi denti.

«E ora muto,» mugugno con la bocca piena, «ché quando parla Damon Salvatore bisogna stare in silenzio.»

«Chi?»

«Shh!»

***

Mi sta russando nell'orecchio. Si è addormentato a metà del quarto episodio e io sono arrivata alla fine del quinto. Ha la testa sulla mia spalla destra, la bocca rivolta verso di me e il suo respiro mi sfiora i capelli. I titoli di coda mi annunciano che anche questa puntata è terminata e mi sollevo per chiudere il portatile. Sono stufa di vedere gente che si succhia il sangue a vicenda. Mi distendo di nuovo nella stessa posizione di prima e mi volto verso Giorgio. Il suo volto è a un centimetro dal mio. Siamo distesi entrambi sul letto, con la coperta di pile che ci scalda, la pioggia che continua a cadere e un barlume di luce esterna che entra dalla finestra. Riesco a scorgere i lineamenti del suo viso, la sua pelle liscia, la bocca dischiusa e il suo alito che mi accarezza il viso. Non so come, non so perché, ma la mia mano sinistra sfiora le sue labbra. Sono calde, lui è sempre caldo. Sento un brivido attraversarmi il corpo. Il suo respiro, dapprima regolare, si interrompe. I suoi occhi si schiudono. Per un lunghissimo attimo, ci guardiamo negli occhi. Inghiotto a vuoto. Poi, senza alcuna ragione, senza che il mio cervello abbia contezza di ciò che sto per fare, appoggio le mie labbra sulle sue. Chiudo gli occhi, mentre le nostre bocche si toccano, in un momento che non sembra appartenere a niente, né a questa terra, né a questo tempo.

«Emma...»

Spalanco le palpebre. Giorgio mi sta guardando e quella confusione che vedo nelle sue iridi mi immobilizza. La paura si impadronisce di me.

«G, scusa, io...»

Che cosa ho fatto. Che cazzo ho appena fatto. Non riesco a muovermi, sono terrorizzata. Ho davvero baciato Giorgio? Vorrei alzarmi dal letto e scappare via, rinchiudermi in bagno, smettere di guardarlo, di provare così tanta vergogna, ma non ci riesco. Sono solo in grado di restare qui, sul letto, attaccata a lui, al suo corpo bollente, con il suo calore che è un tutt'uno con il mio, che mi fa sentire come non mi sono mai sentita così in vita mia. E ora che succede? Perché non si alza, perché non se ne va, perché non mette fine a tutto questo? Vorrei che lo facesse, che prendesse l'iniziativa.

E lo fa, ma non come mi aspetto. Adesso è la sua mano quella sul mio volto. È il suo naso che sfiora il mio, i suoi occhi a guardare i miei con un'intensità che mi divora dentro. Sono le sue labbra a toccare le mie, prima con la stessa delicatezza che ho usato io, poi con più ardore. Ed è la sua lingua a infilarsi nella mia bocca e a provocarmi un brivido che non ha niente a che fare con quello di prima, ma che è più forte, più deciso, più travolgente.

Non so bene cosa stia succedendo, o forse semplicemente la mia mente non riesce a elaborarlo, ma mi ritrovo il corpo di Giorgio sopra il mio, le nostre gambe intrecciate, le bocche che si cercano, come se non avessero aspettato altro fino a questo momento. Ho il cuore che mi scoppia, l'eccitazione che mi monta dentro, i vestiti che mi stanno troppo stretti e che vorrei buttare via, la pelle di Giorgio che brucia sotto il mio tocco. È qualcosa che non ho mai provato prima. Nessuno mi ha mai fatto sentire così, nessuno mi ha mai guardato così. Quando le nostre labbra si allontanano, mi sembra di sciogliermi davanti a quegli occhi.

«Em...» sussurra e sento dello smarrimento nella sua voce. Metto entrambe le mani attorno al suo viso. Non voglio che si fermi. Non posso permettere che si fermi.

«G...»

Lo bacio di nuovo e spero che capisca che non voglio che finisca, che voglio che continui. Perché se tutte le altre volte non ero sicura, c'era qualcosa che non andava, avevo paura, adesso no. Ora è tutto perfetto e non deve finire.

Giorgio capisce. Non dice niente, ma comincia a spogliarmi. Mi toglie prima quella felpa orribile, quella grigia che mi ha regalato lui perché non la indossava più, poi la maglia e resto in canotta, dato che non porto il reggiseno. Mi sembra di esplodere in mille pezzi quando le sue mani circondano i miei seni e la sua bocca mi morde il collo. Ora scende giù, sulla mia pancia, mentre anche la canotta scompare. Ma è quando le sue dita si infilano dentro i pantaloni della tuta che comincio a non capire più nulla. Il modo in cui mi tocca, continuando a baciarmi in ogni parte del corpo, mi annienta. Mi abbandono alle sensazioni che provo, alle sue labbra, alla sua lingua che stimola la mia parte più intima e che mi regala il primo vero orgasmo della mia vita. Tutto quello che c'è stato prima non conta niente, non è stato niente. Non respiro quasi quando mi bacia di nuovo.

«Emma...»

Il mio nome sulle sue labbra mi fa aprire gli occhi. Lo guardo e vedo di nuovo incertezza, quasi paura.

«Ehi.» Gli tocco la guancia calda. «Va tutto bene.»

Un accenno di sorriso passa sulle sue labbra. Mi guarda tutta, negli occhi, sul viso, ogni parte di me, accompagnando lo sguardo con il tocco delle dita sulla pelle. I suoi occhi mi bruciano addosso.

«Sei bella», mi dice. «Sei bellissima.»

Penso di stare per piangere, ma non posso mettermi a piangere, sarebbe troppo imbarazzante. E allora parlo di nuovo.

«Facciamo l'amore, G», sussurro. Dire "fare l'amore" è troppo da sfigata? Ma chi se ne frega. La gola di Giorgio trema. Ha paura e anche io.

«Sei sicura?»

Un sorriso appare sulle mie labbra. «Sì», dico sfiorando le sue con il naso. «Sì.»

I secondi che seguono sono pieni di timore. Ho il terrore che si tiri indietro, che decida di andarsene, perché lo so anche io che quello che stiamo facendo è folle, ma non voglio smettere. Voglio fare l'amore con Giorgio Cavalieri, il ragazzo molto più grande di me che conosco da tutta la vita e del quale mi sono innamorata senza sapere il momento esatto in cui è successo. E quando questo ragazzo si solleva e inizia a togliersi la maglietta, capisco che lo vuole anche lui.

È bello come nessun altro al mondo. Più di Marco, più di quegli attori per cui ho delle cotte da quando ero bambina, dei ragazzi della mia scuola, nessuno è come lui. Il suo corpo tonico, gli addominali scolpiti da anni di sport, le gambe sode che escono fuori quando trovo il coraggio di togliergli i jeans, sono qualcosa di indescrivibile. È bello e in questo momento è mio, solo mio. Quando resta solo in boxer, posa le sue mani sulle mie.

«Non dobbiamo farlo per forza.»

Respiro cercando di accumulare più aria possibile. Sto tremando, ma non mi tiro indietro.

«Lo voglio fare», dichiaro, controllando la voce. «Niente forzature.»

Poso le labbra sul suo collo e lo vedo trattenere un gemito. Lascio una scia di baci sulla sua pelle, dalla clavicola fino ai pettorali, mentre inizio a toccarlo. Il suo respiro affannato segue il ritmo dei miei movimenti. Dargli lo stesso piacere che lui ha dato a me è una sensazione indefinibile. Non è la mia prima volta, almeno in questo, ma non è mai stato così intenso, forte, totalizzante.

«Aspetta...»

Mi fermo. Giorgio prende le mie mani e le stringe, portandole al suo viso. Glielo accarezzo e dal guizzo nei suoi occhi capisco che sta per succedere. Inghiotto il nulla, anzi, forse mando giù la mia insicurezza, perché sono stufa di essere insicura.

Torno distesa sul letto mentre lui tira fuori dai jeans un profilattico. Il cuore ricomincia a battermi a una velocità estrema. Lo guardo mentre se lo infila e poi torna sopra di me. Le sue dita sfiorano la mio bocca e io le bacio. Mi guarda negli occhi per tutto il tempo. Ho una paura fottuta, ma non importa. Lo voglio fare così tanto che nient'altro conta.

Mentirei se dicessi che non ho provato alcun dolore, ma mentirei ancora di più se affermassi che non è stato meraviglioso. Non so se c'è un sinonimo più adatto: bellissimo, stupendo, straordinario, splendido. Forse per qualcun altro non sarà così, ma credo che sia questa la definizione esatta di fare l'amore con qualcuno, quello che ho appena provato. Niente è stato mai così bello e con nessun'altra persona sarebbe stato così.

Resto attaccata a Giorgio. Gli respiro sul petto, mentre questo si solleva e si abbassa, sudata, accaldata, ancora inebriata di piacere. Sollevo piano la testa e vado a baciargli la mascella quadrata, non smetterei di baciarlo quel volto. Vorrei toccare di nuovo le sue labbra, ma lui ha gli occhi verso l'alto, sta guardando il soffitto. Deglutisco, ho la gola secca, ho bisogno di bere dell'acqua gelata.

«G?»

Ho paura che non mi abbia sentito. Sto per chiamarlo di nuovo, quando lui si volta. Accenna un sorriso e mi sfiora il viso.

«Ehi.»

«Tutto bene?»

Non risponde subito. Mi tocca le labbra, come prima. Annuisce.

«Certo.»

Provo a sorridere. Allungo il collo e riesco a toccare la sua bocca. Ci baciamo, ma dura poco. Sento che c'è qualcosa di strano.

«Senti, Em... È meglio se vado.»

E tutto a un tratto, non ho più caldo.

«Di già?»

«Sono le sei, tua madre arriva tra poco.»

Ha ragione, questo è pressappoco l'orario di rientro di mamma Myriam. Eppure io non voglio che se ne vada.

«Ok», dico, ma non è davvero ciò che voglio dire. Tuttavia non riesco a parlare, perché lui si alza in fretta. Lo vedo raccogliere le sue cose, in fretta, rimettersi i pantaloni saltellando e la maglia. Io sono ancora nuda sotto la coperta di pile.

«G, aspetta un attimo.»

Dove diavolo sono le mie mutande? Le ritrovo a terra, insieme alla felpa e mi rivesto alla velocità della luce.

«No, Em, è tardi, devo andare.»

Non mi guarda nemmeno in faccia. Si è già rimesso le scarpe, mentre io non ho ancora capito cosa succede. Gli afferro il braccio e lo costringo a guardarmi.

«Emma, per favore...»

«Mi spieghi che cavolo stai facendo?»

Si ferma. Mi sta guardando, finalmente, ma ciò che vedo non mi piace. Ha gli occhi imbarazzati, spenti, quasi impauriti.

«Devo andare.»

«Perché?»

La mia voce è venuta fuori troppo alta. Le corde vocali mi tremano, come inizio a tremare io. Sto cominciando a capire. Giorgio si passa una mano sulla faccia.

«Perché sì. Quello che è successo è stato... Bello, ma io devo andare.»

Bello? Solo bello è stato per lui? Gli lascio il braccio, non mi ero accorta che ancora lo stavo tenendo stretto. Mi fanno male gli occhi.

«E noi quando ci vediamo?»

Mi pento subito della mia domanda. La risposta è tutta nei suoi, di occhi.

«Penso che per un po' forse è meglio se non ci vediamo», sentenzia. Io non so che cosa dire.

«G, ma...»

Le mie balbuzie vengono interrotte da poche parole che fanno male come minuscole coltellate.

«Emma, non doveva succedere. È stato bello, ma non... Non dovevamo permettere che succedesse. Non dovevo permettere che succedesse.»

Credo che l'aria sia uscita fuori dai miei polmoni e di non essere più in grado di respirare. Lo guardo e basta, la bocca mezza aperta. La sua voce è fredda e asettica.

«Perché?» mi ritrovo a ripetere, sempre lo stesso avverbio, perché. «Che cosa abbiamo fatto di male?»

«Non abbiamo fatto niente di male, ma è sbagliato, lo capisci?»

Ora ha alzato la voce, ma io non sono da meno. «Perché è sbagliato?»

«Perché tu sei la figlia di Guendalina!» esclama, arrabbiato anche se non so perché. «Perché hai diciassette anni e io ne ho ventotto! Non so nemmeno se è legale questa cosa!»

Ho finito le parole. Mi viene solo da piangere. Giorgio alza la mano, forse a darmi una carezza, ma poi ci ripensa.

«Non avremmo dovuto farlo», ribadisce, ancora, ancora, ancora. «Penso che dovremmo far finta che non sia mai successo. Dovremmo far finta di niente.»

Non ho una risposta. Non ho un movimento da fare, una parola da dire, un'emozione da provare. Sono ferma e immobile, davanti a lui che mi dice queste cose. Davanti a Giorgio che fino a pochi minuti fa era la persona più importante della mia vita, con cui ho fatto la cosa più importante del mondo.

«Em, ti prego, di' qualcosa.»

Forse è il tono di supplica che usa, un tono che mi fa capire che forse qualcosa la prova anche lui, a farmi ancora più male. Sono devastata. Mi asciugo gli occhi con le mani e lo guardo.

«Hai ragione, dovremmo fare finta di niente», sputo fuori. «Ci vediamo in giro.»

E poi non lo guardo più. Torno a letto e stavolta mi infilo sotto le coperte. Giorgio aspetta ancora, poi decide di muoversi. Esce dalla mia stanza e sento i rumori di lui che scende le scale, che apre la porta e se ne va via.

Mi lascio andare alle lacrime, sola nella mia stanza, dopo aver messo "Friday, I'm in love" sul mio telefono. Piango così forte che nemmeno mi accorgo che mia madre è tornata.

«Amore!»

Mamma Myriam entra nella mia stanza. Mi trova nel letto, in penombra, i vestiti che nemmeno mi sono preoccupata di sistemare sparsi sul pavimento. Si siede sul materasso e mi accarezza i capelli. Alzo gli occhi su di lei e mi rizzo a sedere.

«Oh, mamma.»

«Tesoro, vieni qui.»

Riprendo a singhiozzare, le braccia attorno al collo magro della mia mamma adottiva. Lei mi stringe forte.

«Mi sono innamorata di lui, mamma, ma lui non mi vuole.»

«È per Marco, vero?» mi domanda. Mi irrigidisco. Ma certo che pensa che stia male per Marco, per chi altri dovrei piangere così? Sussurro un sì, grata che non possa vedere i miei occhi.

Mamma mi lascia un bacio tra i capelli. «Lo so che adesso ti sembra una tragedia, amore, ma passerà. Passa tutto, prima o poi.»

Scuoto la testa con forza. «Non credo mi passerà mai.»

Scioglie l'abbraccio. Mi guarda negli occhi e mi asciuga le lacrime sotto le palpebre gonfie.

«Hai bisogno di un po' di tempo. Avrei voluto che aspettassi ancora qualche anno prima di avere il cuore spezzato, tesoro. Purtroppo non sempre chi amiamo ci ama, ma è la vita.»

«La vita fa schifo», commento, facendola sorridere.

«A volte sì.»

«E anche i maschi», continuo. «Fanno schifo, ti usano, calpestano i tuoi sentimenti come se nulla fosse.»

Non so qual è l'esatto momento in cui mi sono innamorata di Giorgio. Forse lo sono sempre stata ma ero troppo piccola per comprenderlo, o forse è successo un'ora fa quando ho posato le mie labbra sulle sue. L'unica cosa di cui sono consapevole è che fare l'amore con lui è stata la cosa più bella della mia vita e niente sarà mai bello come quei minuti in cui sono stata un tutt'uno con lui. Vorrei solo che accadesse di nuovo e invece trascorreremo tutta la vita a far finta che non sia mai successo, come se non ci fossimo amati, come se io non lo avessi amato. Come se non lo amassi.

«Posso restare a casa domani, ma'?» Tiro su con il naso. «Non so se me la sento di andare a scuola. Giuro che non ho né interrogazioni, né compiti in classe.»

Sento mamma Myriam sospirare. Mi dà una carezza sulla testa scompigliata.

«Va bene, ti firmo io la giustificazione.»

Alzo lo sguardo su di lei. «Ma tu non me la puoi firmare.»

Lei mi fa un occhiolino furbo. «No, ma so falsificare benissimo la firma di mia moglie.»

Mi fa sorridere, ma sento un tuffo nello stomaco. Io la chiamo mamma, mia madre la chiama moglie, ma per lo Stato italiano lei è al massimo la nostra coinquilina. Le sue firme non valgono nulla, la sua presenza è invisibile, c'è ma è come se non ci fosse. L'anno prossimo compio diciott'anni e lei non è mai potuta venire a prendermi a scuola senza una delega di mamma Guenda. Non dimenticherò mai la scenata del preside alle scuole medie quando se la trovò davanti e non aveva alcuna intenzione di riconoscerla come mia seconda madre. È tutto così ingiusto. Ma forse, come dice lei stessa, è la vita. E fa schifo.

«Ci facciamo una cioccolata calda?»

La proposta è la migliore che potesse farmi. Annuisco con vigore.

«Cinque minuti e arrivo.»

Mamma mi lascia con l'ennesimo sorriso ed esce. Io poggio la schiena contro lo schienale del letto e respiro a fondo. Forse va meglio. Afferro il telefono e, oltre a vari messaggi di Anna, non trovo altro. E per quanto faccia male, è meglio così.

Note di Greta ❤️

Allooooora, lo so che ho postato ieri, ma questo capitolo del passato ce l'ho pronto da mesi e non vedevo l'ora di postarlo.

Insomma, G è stata la prima volta della nostra Emmina, ve lo aspettavate? Qualche indizio è presente durante i capitoli, piccoli, ma ci sono.

E sì, per undici anni hanno finto che non sia mai successo nulla. Fino al capitolo precedente 🤭

Godetevi questo spicy non troppo spicy e portate pazienza, che adesso devo riordinare le idee e decidere per bene come andare avanti.

Vi voglio bene, siete le lettrici più preziose ❤️ E grazie.

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