XXI - Chiedimi se sono felice.
Affrontare i nemici richiede notevole ardimento.
Ma altrettanto ne occorre per affrontare gli amici.
Harry Potter e la Pietra Filosofale
Ho perso due chili. L'unica cosa positiva di questo folle periodo è questa, la diminuzione del mio peso corporeo. Giuro che non lo sto facendo apposta a mangiare poco, è che non ho tempo. Vado a dormire a orari indecenti ogni sera, quindi mi sveglio tardi e salto la colazione, a pranzo mangio un panino al volo e a cena qualcosa che Erica mi passa sottobanco dalla cucina. Certo, poi recupero con i cocktail che allo stesso modo mi danno Francesco e Claudio, l'altro barman, quindi diciamo che porto avanti una dieta a basso contenuto di carboidrati ma ad alto tasso alcolico. Non sarà la più salutare delle situazioni, ma nemmeno correre avanti e indietro per il ristorante durante il servizio è una passeggiata. La mia mente è affollata da conti che non quadrano, liste infinite di cose da fare che sono sempre più lunghe e dal terrore che lo Speed Date danzerino perda di interesse. Abbiamo deciso, dopo il successo dell'inaugurazione, di riproporla ogni sabato e per ora sta andando bene, ma si sa, il popolo è volubile. Sono distrutta, ma almeno non ho tempo di pensare alle cose a cui non voglio pensare, o meglio, ne ho poco.
Come se poi ci fosse qualcosa a cui pensare. Non vedo Anna da un po', è impegnata a studiare e io a lavorare, quindi l'insensata questione di eventuali e improbabili sentimenti di Giorgio nei confronti di Giada non è stata più toccata, così come quella del mittente di quei benedetti coltelli – fatta eccezione per Francesco che ogni tanto stuzzica la sous-chef con delle battute sceme, anche se non ne capisco il senso, ma si sa che gli uomini sono idioti, pure a trent'anni. Siamo tutti presi dal lavoro e forse è meglio così. Non posso negare che quell'argomento mi innervosisca, quindi l'unica soluzione è non pensarci, non parlarne, fingere che non esista e nessuno si farà male.
«Ultimamente sei strana.»
Sollevo le sopracciglia e fisso Erica. «Strana?»
Sono le cinque e mezza e la mia commis chef preferita mi ha portato delle polpette che hanno sperimentato in cucina ma sono state scartate perché, a detta dell'Executive Chef, sono troppo speziate. Io le trovo divine, ma non ho le medesime papille gustative di Giorgio, quindi non faccio testo e mi limito a divorarle, visto che a pranzo ho mangiato una merendina senza zuccheri. La rossa continua a guardarmi, con un cipiglio che assomiglia pericolosamente a quello del Signor Cavalieri – a forza di lavorare insieme sono diventati uguali.
«Sei piuttosto silenziosa,» chiarisce. «Di solito non smetti di parlare.»
Le rivolgo uno sguardo scocciato e le rubo l'ultima polpetta. «Ho un sacco di cose da fare e di pensieri per la testa, niente di preoccupante.»
«Pensieri per la testa tipo Giada e Giorgio?»
Una cosa è certa: Erica ha iniziato a trascorrere troppo tempo con Anna. Sollevo le sopracciglia e faccio uno sforzo per non distorcere la bocca in una smorfia di disgusto.
«Perché dovrei avere quei due per la testa?»
Mi accorgo subito di aver utilizzato un livello di acidità degno di uno yogurt scaduto nel 2000. Maledizione. Erica sta cercando di non ridere e la cosa mi innervosisce.
«No, infatti, perché dovresti...»
Mi passo la mano destra tra i capelli che hanno bisogno di una bella lavata. Esattamente, perché dovrei averli per la testa? Io non ci penso mai a Giorgio e Giada, anche perché li vedo poco, sono sempre chiusi in cucina con il resto della brigata – tra cui questa scellerata di Erica – a preparare le loro creazioni magiche, mentre io durante la giornata me ne sto in ufficio, al telefono con i fornitori, in giro a organizzare le serate del weekend e la sera ad accogliere i clienti e dare una mano in sala. Io e Giorgio al massimo riusciamo a parlare di lavoro e di certo non mi nomina la sua sous-chef, preso dai suoi impegni com'è. Le mie madri mi avevano accennato che gestire un ristorante era difficile, ma non pensavo che ci saremmo trovati sul quotidiano orlo di un esaurimento nervoso.
«Ma poi, pure se fosse, no...»
Ho parlato a voce alta, senza volerlo.
«Pure se fosse cosa?» Erica mi osserva, in attesa di un continuo. Sospiro, le poche idee e confuse che mi vorticano nella mente.
«Se pure gli piacesse, Giada... A me che cosa dovrebbe interessare?
La mia amica inarca entrambe le sopracciglia. «Se gli piacesse Giada?»
«Sì, insomma...» tossicchio, avvertendo un pericoloso rossore sulle guance. «Ha trentotto anni, è un uomo e ha tutto il diritto di provare interesse per qualcuno, mica posso dirgli io chi gli deve piacere. Sì, è vero, lei non mi sta simpatica, ma insomma, è la sua vita.»
Non appena finisco di pronunciare queste parole, mi rendo conto di quanto abbiano senso, perché dopotutto, chi sono io per dire a Giorgio chi deve frequentare? Certo, non ne ha mai azzeccata una di ragazza, si è sempre circondato di tizie di dubbio gusto, belle, per carità, ma dello spessore umano di un cucchiaino e di un'antipatia mai vista. Giada non farebbe eccezione, ma se piace a lui, fatti suoi.
«La sua vita, eh?» è il commento pieno di sarcasmo di Erica. La guardo in faccia e ciò che vedo è un'espressione di puro scetticismo misto a rassegnazione. Io inghiotto a vuoto.
«Eh», borbotto, schivando i suoi occhi verdi. Tamburello le dita sul bancone dove siamo ancora sedute. Ho la gola secca.
«Ti va uno Spritz?»
Sì, lo so che è pomeriggio e fuori ci sono trenta gradi, ma la voglia di Spritz non si può placare. Erica sgrana gli occhi.
«Adesso?»
«Sì, adesso.»
La commis-chef indica con la mano i piatti vuoti. «Abbiamo appena finito di mangiare», obietta.
«E quindi?»
«Giorgio mi ammazza se lascio la cucina tre ore prima della cena.»
Ha centrato il punto, ma non ho intenzione di riflettere troppo su questo punto. Mi alzo saltando dallo sgabello.
«Gli diciamo che mi stai accompagnando a fare una commissione. Dai, andiamo.»
La mia accompagnatrice non è affatto sicura di ciò che stiamo facendo, ma non mi dice di no e si alza a sua volta. Mi avvicino alla porta della cucina e incamero aria.
«Noi usciamo!» urlo, diretta a varie persone vestite di bianco tra cui spiccano i capelli di Giorgio. Mi volto verso Erica e la prendo per mano. «Corri, sbrigati, prima che risponda!»
E qualcosa risponde di sicuro, perché sento delle grida di rimando, ma me ne frego ed esco dal locale, nel caldo pomeridiano di Milano. Giugno è ancora peggio di maggio. Adoro questa città, ma l'umidità estiva è una condanna. Erica saltella dietro di me, ha fatto appena in tempo a togliersi la divisa.
«Ma troveremo qualcuno che ci prepara uno Spritz a quest'ora?»
La sua ingenuità mi fa ridere e la prendo sottobraccio, intanto che il semaforo per i pedoni diventa verde. «Amo, a Milano preparano alcool a qualsiasi ora.»
E sarà anche vero, ma dobbiamo camminare fino a Piazza Ventiquattro Maggio per trovare un bar aperto che dia da bere alle assetate. Forse è meglio così, avevo voglia di prendere un po' d'aria e uscire da quelle quattro mura, nonché di parlare di cose che esulino da cucina, fornitori, conti e prevendite.
«Secondo me lo Speed Date ogni sabato è un'ottima idea», sta dicendo Erica. «Finora abbiamo avuto il pienone, Milano è la capitale italiana dei single, non si faranno scappare questa occasione.»
«Sì, in effetti è pieno di single...» commento. «Tipo noi!»
Volevo dirlo con tono ironico, ma ho paura che mi sia uscito patetico. Scruto Erica con la coda dell'occhio e noto che si è fermata a guardare una vetrina.
«Quanto vorrei potermi permettere un vestito del genere.»
Do un'occhiata anche io e capisco il perché dei suoi sospiri. Stiamo ammirando un tubino color blue navy firmato Atelier Monti, di un'eleganza innata, classico ma allo stesso tempo moderno grazie a un taglio particolare che lo rende attuale. Il prezzo è piuttosto alto.
«Dai, prima o poi...» provo a dire, ma lei scuote la testa.
«Sai quante cose salse devo preparare per potermelo permettere» sospira, distogliendo lo sguardo da quel capolavoro e riprendendo a camminare, con me che la seguo con un secondo di ritardo.
«Mai dire mai, sei ancora giovan... Eri, attenta!»
Succede tutto in un attimo. Il semaforo diventa verde ed Erica inizia ad attraversare, di fretta, ma non è nemmeno arrivata a metà strisce pedonali, che un'automobile esce dalla traversa a destra. Inchioda troppo tardi e io non riesco a fare niente, ma ci pensa qualcun altro, con riflessi più pronti dei miei. La mia amica viene tirata indietro e finisce a terra, ma almeno non sotto le ruote della macchina.
«Ahia.»
È la sua voce debole. Mi sono precipitata a soccorrerla e vedo che si tocca le braccia. Ha delle abrasioni sulla pelle, ma i pantaloni lunghi hanno salvato le gambe. Non mi sembra che abbia battuto la testa e sono sollevata.
«Stai bene?» le domando, il cuore in gola per lo spavento. Lei annuisce, mettendosi a sedere. Provo a farla rialzare e noto parecchia gente e confusione attorno noi. Ma che diavolo è successo?
«Ma sei coglione?» urla una voce che conosco molto bene. «Che cazzo corri in curva, ci sono le strisce pedonali!»
«Oh, Dante Alighieri, non l'ho vista la ragazza, non mi rompere i coglioni.»
«Grazie al cazzo, se non ti fermi allo stop.»
Non avevo mai notato quanto fossero aspirate le C di Francesco, forse perché non l'ho mai sentito così arrabbiato. È stato lui a spostare Erica dalla traiettoria di quella macchina e forse anche da morte certa, o almeno da un ricovero in ospedale. L'ha tirata indietro e per la fretta sono caduti a terra, ma lui si è alzato subito per andare ad affrontare il guidatore e adesso si stanno urlando in faccia. Il pirata della strada è un distinto uomo di mezza età, dal quale ti aspetti una guida esperta e sicura e non una da neopatentato.
«Adesso chiamo i carabinieri, idiota», fa Francesco e non faccio in tempo a sentirmi impietosita dalla passione che sta dimostrando che l'automobilista riprende a urlargli contro.
«Cazzo vuoi fare, te, ragazzino?»
Oddio, adesso si prendono a botte. Lo vedo proprio dalla faccia di questo tizio che vuole dargli un cazzotto. Devo impedirlo: il nostro barman è troppo bello per rischiare di sfigurarlo, ci serve per attirare clienti, di qualunque genere. Mi avvicino di corsa e gli afferro l'avambraccio.
«Ohi, buono, Fra, tranquillo!» esclamo, tirandolo verso di me. Francesco si accorge della mia presenza e mi guarda.
«Ma la senti, questa testa di cazzo?»
«Lo so, ma non ne vale la pena.»
Lo guardo negli occhi e vedo un'ombra passare lì dentro quelle belle iridi. Trattiene il respiro per qualche attimo, poi fa un cenno con la testa. Guarda di nuovo l'uomo con disprezzo.
«Cretino.»
Per tutta risposta, l'automobilista lo manda a quel paese e si rimette in macchina, partendo con una sgommata. Sono sempre più perplessa dal livello di idiozia della popolazione italiana. Torniamo da Erica, che è rimasta ferma vicino al semaforo. Francesco si avvicina e le dà una carezza sul viso.
«Stai bene?» la domanda, con tono delicato. La mia amica ha ancora l'aria impaurita, ma la vedo sforzarsi di sorridere.
«Sì. Grazie, Fra, mi hai salvato la vita.»
Francesco le regala un sorriso diverso da quelli a cui ci ha abituato. Non è menefreghista, o da rimorchio, e nemmeno scanzonato, è dolce e amorevole. Li vedo abbracciarsi e sento una stretta allo stomaco. E all'improvviso prendo consapevolezza. Ma quanto sono carini? Oddio, perché non me ne sono resa conto prima? Tutto quel casino, Martino, Filippo, il mio flirt disastroso con Francesco, come ho potuto essere così cieca? Ce l'avevo qui davanti agli occhi: Erica e Francesco, la coppia perfetta! Rossa e moro, romana e fiorentino, cuoca e barman, bella e dannato! Li shippo da morire. Devo trovare il nome della ship. Frerica? Che brutto. Ericesco? Orribile. Va be', ho tempo per quello, prima devo trovare il modo di far capire loro che sono bellissimi e sono fatti l'una per l'altro. Questa volta però me ne sto zitta e non dico niente a nessuno, non mi va di sentire le ramanzine di Anna e di Giorgio, ma soprattutto voglio andarci coi piedi di piombo, senza strafare come è successo con Filippo. Devo capire bene le intenzioni di Francesco, anche se a giudicare da come la guarda persino quell'idiota dell'automobilista capirebbe che ha una cotta per lei.
Ci incamminiamo di nuovo verso il "Belli e Dannati" – la voglia di Spritz è passata a entrambe – e li lascio chiacchierare, con lui che la lascia sfogare per lo spavento che si è presa. Li ammiro soddisfatta: forse non tutto il male viene per nuocere.
Nel giro di dieci minuti siamo davanti il locale. Spingo con forza l'entrata pesante, con un accenno di ansia perché so già che qualcuno avrà da ridire. E qualcuno, che mi aspettavo fosse in cucina come sempre, si trova vicino al bancone, insieme a qualcun altro. Non appena si accorgono del nostro arrivo, Giada e Giorgio interrompono ciò che stavano facendo, ossia preparare il caffè insieme, con dei sorrisi scemi sulle labbra, in particolare quelle di lei, che rideva per chissà che cosa ha detto lo chef. I sorrisi scompaiono in fretta e lei si allontana di qualche centimetro da lui, ma ormai è troppo tardi, perché io l'ho vista. La chimica. L'intesa. Il feeling, chiamatela come vi pare. Un filo che li unisce, che rasserena Giorgio, sempre nervoso e sulle sue, che nel momento immediatamente precedente a quando si è accorto che c'ero anche io, mi è sembrato rilassato come non accadeva da tempo. Poi ha visto me e si è irrigidito. Quindi forse la colpa, alla fine dei giochi, è la mia.
«Dove eravate?» ci apostrofa, senza nemmeno un saluto, e a me sale subito il sangue al cervello.
«Che c'è, ti siamo mancate?» sbotto, pentendomene all'istante. Giorgio mi lancia lo sguardo e poi si dedica a Erica.
«Per quale motivo sei uscita prima del servizio?»
Sto per rispondere di nuovo, ma lui si accorge dei graffi sulle braccia della sua chef. La sua espressione diventa preoccupata e si avvicina. «Che è successo?»
Non ce la faccio a spiegare, tanto che lascio l'onere a Francesco, che in poche frasi sintetizza l'incidente e il pericolo scampato da Erica.
«Come ti senti?» le chiede, con una dolcezza che conosco bene. La mia amica sorride appena.
«Bene, sono solo un paio di graffi, un po' di acqua ossigenata e passa tutto.» Si volta alla sua destra e sorride al suo salvatore. «Meno male che Francesco passava di lì e se ne è accorto.»
Giorgio lo sguarda a sua volta. Il suo pomo d'Adamo trema leggermente mentre gli fa un cenno con la testa.
«Grazie», sussurra. L'altro solleva le spalle.
«Ma ti pare. L'importante è che sia andato tutto bene.»
Già, l'importante è questo. Vado a sedermi su uno sgabello, mi sento esausta. Giorgio continua a dedicarsi a Erica.
«Vai a casa a riposarti, stasera non lavori.»
Inarco le sopracciglia. Non mi aspettavo tutta questa benevolenza, così come Erica.
«No, Boss, davvero, sto bene! Non serve che vada a casa!» strepita, il senso di colpa che emerge dalle sue parole. Giorgio scuote la testa.
«Invece sì, hai avuto un bello spavento, disinfetta le ferite e riposati.»
«Ma non posso lasciarti con una persona in meno!»
«È mercoledì, non ci saranno troppi clienti, stai tranquilla.»
Il suo tono è risoluto. Però, che fermezza. Erica sospira, sconfitta. Io incrocio le braccia e mi guardo intorno. Giada è rimasta ferma dov'era. Pensavo se ne fosse andata in cucina, invece è rimasta lì, a pochi metri da noi, ancora vicino alla macchinetta. Francesco è accanto a Erica e spero non si sposti. Giorgio finalmente decide di guardarmi.
«Se foste rimaste qui non sarebbe successo niente, comunque.»
E ti pareva. Mi stringo la parte alta del naso con le dita, per placare il mal di testa che sta salendo con prepotenza.
«G, non farla tanto lunga, stava accompagnando me.»
«Me lo devi chiedere se porti fuori un mio chef, ok?
«Guarda che sono il capo tanto quanto lo sei tu. E poi di che ti lamenti, ti abbiamo lasciato un po' di privacy!»
Ok, ok, questa potevo, anzi, dovevo risparmiarmela. La mia frase acida – ultimamente sto davvero dando il meglio di me – viene seguita da un silenzio piuttosto imbarazzante. Dio, quando finisce questa giornata.
Mi comincia a vibrare il sedere. Mi ricordo di aver messo il telefono nella tasca posteriore della gonna di jeans e lo recupero.
«Mamma?»
La telefonata dura un minuto scarso. Riattacco e guardo tutti i presenti.
«Che avete da fare martedì?»
Giorgio è il primo a parlare: «Perché?»
«Perché è l'anniversario dell'Unione Civile delle mamme e hanno invitato tutti al ristorante.» Faccio una pausa. «Proprio tutti, pure voi, ha detto.»
Mi riferisco a Giada, Francesco ed Erica, visto che Giorgio era ovvio fosse compreso. Anche Erica lo era, mamma Myriam ha proprio detto "dillo pure a Francesco e a Giada", perché ci saranno anche le Baresi.
«Sul lago?» chiede il barman. «Figo, non ci sono mai stato!»
«Non ti perdi granché», parla Giada per la prima volta, un suono così strano che per poco non mi spavento. «Grazie per l'invito, Emma, vengo volentieri.»
E certo che viene, quando mai se ne perde una. Le rivolgo un sorriso stitico e scrivo a mamma che ci saremo tutti. Proprio tutti.
Immagino già che bella giornata sarà.
Note di Greta ❤️
Qualcuno fermi Emma! La sua gelosia la sta mandando fuori di testa più del solito, e non vi anticipo ciò che accadrà sul lago, ma ne vedremo delle belle!
Vi abbraccio e chissà che non vi regali qualcosa di bello per Natale ❤️
P.S. qualcuno ha riconosciuto l'Atelier Monti? ElsaGiannini ❤️
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