XVII - Amori e dissapori.

Somebody told me that you had a boyfriend

Who looked like a girlfriend.

The Killers – Somebody told me

Troviamo Giorgio in cucina. Non che mi aspettassi di trovarlo in un altro posto. È solo, deve aver mandato tutti a casa, dopotutto è ora di cena. Si volta a guardare tutte e tre mentre entriamo e per un attimo si dimentica della salsa che sta preparando. È Eleonora l'addetta alle salse, ma lui se non padroneggia ogni piatto alla perfezione non è soddisfatto. Mi avvicino e mi posiziono al suo fianco.

«Assaggia.»

Senza preavviso, mi mette davanti alla bocca un cucchiaino pieno di un intruglio beige. Storco appena il naso, ancora piena dall'aperitivo, ma obbedisco senza fare storie.

«Uhm», è il mio commento. Giorgio aggrotta le sopracciglia.

«Troppo acida?»

«Un po'», confermo, leccandomi le labbra. G mi fissa qualche altro secondo, poi scuote la testa.

«Poi ci riprovo. Allora?»

«Allora che?» chiedo senza pensarci.

«Elisei?»

Anna si acciglia. «E tu che ne sai? Ah, certo, che scema.» Mi guarda. «Non hai fatto in tempo, eh.»

Perché è ancora qui? Perché non se ne è andata a casa? Sospiro sonoramente e vado a prendermi un bicchiere d'acqua. Sono nera. Non ricordo l'ultima volta che sono stata così nervosa in vita mia. Alzo lo sguardo su Giorgio, che non ha smesso di fissarmi.

«È stato innocuo», dico, e la preoccupazione nei suoi occhi si affievolisce un poco. Attendo qualche secondo prima di parlare ancora. «È stata la fidanzata, il problema.»

Il solo ricordo di quel discorso omofobo di quella cretina di Angelica mi fa salire il sangue al cervello. Mi brucia la faccia, il petto, le mani, tutto. Prendo altra acqua.

«Che ha detto?»

Mi appoggio con la schiena sull'immenso piano cottura con i fornelli a induzione – Dio solo sa quanto ci sono costati – le braccia incrociate e il respiro affannato. Tiro fuori l'aria.

«Niente, praticamente è uscito fuori che ho due mamme...» comincio e già mi sento di nuovo arrabbiata. «E quella deficiente ha detto che non ha mai conosciuto una persona con due genitori gay, che non ci viene niente di male, però... Com'è che ha detto?»

«Che lei è più per la famiglia tradizionale», mi viene in aiuto Erica, che si è messa il grembiule senza che nessuno glielo dicesse. «'Sta cretina.»

«Ah, e che i bambini hanno diritto ad avere un padre e una madre», concludo. Mi stropiccio gli occhi, stanchi, esausta da questa giornata. Li alzo su Giorgio, che non ha mai smesso di guardarmi.

«E tu?» mi chiede e credo che abbia quasi paura della risposta.

«Emma ha sbroccato di brutto!» esclama ancora l'unica romana presente, poi ci osserva. «Sapete che vuol dire, vero?»

«Sì, Eri, ormai il tuo linguaggio autoctono non ha più segreti per noi.»

Anna prova a sdrammatizzare, ma io sono ancora arrabbiata, anche con lei. Non ho dimenticato il discorso che stava facendo prima dell'arrivo di Giacomo, di Filippo e di quel rigurgito umano della fidanzata, ma non ho tempo di pensarci ora. Sbuffo.

«Io non lo so come certa gente ancora non si sia estinta.»

«Guarda chi abbiamo al Governo!»

L'esclamazione di Erica mi provoca un sorriso triste. Giorgio ancora non ha detto nulla. Fa due passi in avanti e mi abbraccia. Questo slancio mi sorprende, ma non mi lamento. Mi lascio avvolgere dalle sue braccia grandi e mi godo il suo profumo così buono e così familiare.

«Avrei tanto voluto essere lì», sussurra, e io me lo stringo un po' di più.

«Ho saputo difendermi», lo rassicuro. Quando le sue braccia si allontanano mi scappa un lamento che riesco a trattenere.

«Cosa potevi pretendere dalla tipa di Elisei?» osserva. «Per stare con uno del genere devi essere una cretina patentata.»

«Grazie, eh», interviene di nuovo Erica, con tono piccato. Giorgio si gira a guardarla.

«Io l'ho sempre detto che eri sprecata per lui. Sempre.»

Ogni riferimento a persone e/o cose è puramente casuale.

«Ricominciamo con 'sta storia?» accuso io, ancora più nervosa di prima. «Ho già chiesto scusa a tutti, mi pare.»

«E chi ti ha detto niente?» parla Anna. Giorgio si astiene dal fare ulteriori commenti. Mi viene in mente quando non voleva assumere Erica perché la considerava troppo piccola e inesperta, e invece adesso l'ha presa sotto la sua ala protettiva e si preoccupa per lei come se la conoscesse da anni. Ennesima dimostrazione che, a parte qualche incidente di percorso, ho sempre ragione.

«Archiviamo la questione, che dite?»

Non ho più voglia di parlare di Filippo. Lo detesto così tanto che il solo pensiero mi fa venire voglia di vomitare. Vorrei tanto non rivederlo più, nemmeno in un'altra galassia, ma penso sia piuttosto improbabile, dati gli amici in comune. Sospiro, passandomi una mano tra i capelli. Ho bisogno di una doccia.

«Ci hai chiamato solo per salvarci da Filippo o perché ti serviamo davvero?»

Giorgio storce il naso e io soffoco un sorrisetto.

«Per salvarvi, ma già che siete qui... Erica, riproviamo i dolci?»

La mia amica rossa sbuffa. «Ma è che serve? È Giada la brava pasticcera, perché devo imparare anche io?»

«Perché un bravo chef sa fare tutto. Puoi pure non specializzarti in pasticceria, ma devi saper preparare qualsiasi dessert.»

Il tono di Giorgio non ammette repliche. Erica mette le mani sui fianchi, assumendo un cipiglio ribelle, ma sa anche lei che non ha scampo. Il pippone del suo capo non è ancora terminato.

«Sai cosa diceva Alexandre Grimod?» chiede di nuovo alla povera commis chef. La sua espressione confusa rispecchia la mia. Chi è questo ora? Giorgio sospira, scuotendo la testa, disilluso, ormai, nonché amareggiato dall'ignoranza che dilaga tra i giovani cuochi di questo paese.

«Diceva che il dolce dev'essere spettacolare, perché arriva quando il gourmet non ha più fame. Se non sai prepararlo bene e gli rifili un prodotto scadente, concluderà male il pasto e penserà di aver mangiato male. E questo non deve mai accadere.»

Che esagerato. Tutto questo casino per un tiramisù uscito male? Tuttavia le sue parole fanno effetto, tanto che Erica si rimette subito all'opera, afferrando gli utensili da pasticceria. Sono ammirata dall'eloquenza di Giorgio. Potrebbe andare a tenere un seminario per giovani chef in erba, o anche maturi che hanno perso lo slancio e l'ottimismo iniziale, ce lo vedrei bene anche a un Ted Talk sulla cucina e sulla motivazione che bisogna sempre mantenere e mai perdere. Yes you can, bitch, soprattutto se te lo dice Chef Cavalieri con il suo completo di sartoria che la sua bellissima e capace socia lungimirante lo ha costretto a indossare. L'immagine di me dietro le quinte del palco che batto le mani soddisfatta viene dissipata dalla comparsa di un uomo davanti a me.

«Ehi, non sapevo che saresti tornata. Non me l'avevi detto.»

Ma guarda un po' chi c'è. Francesco Caselli mi si è piazzato davanti, i capelli ricci che gli ricadono sugli occhi e l'atteggiamento di chi vuole parlare.

«Ciao, Fra!» esclamo, del tutto impreparata a questo incontro. Ma non erano andati tutti a casa? «Mi ha chiamato Giorgio, ho delle cose da finire di sistemare.»

«Ah», è il suo commento caustico. «Ho provato a chiamarti anche io.»

Eh, lo so, ma se non ti ho risposto fatti due domande. E poi comunque, sarò pure libera di rispondere a chi mi pare?

«Ero impegnata con le ragazze», svicolo, sorridendo appena. Francesco non sembra soddisfatto della risposta. Lo vedo stringere le labbra e riflettere, senza mai interrompere il contatto visivo con i miei occhi. Io riesco solo a pensare al bacio di ieri sera e vorrei che sparisse dalla mia vita.

«Ok», commenta, e se è deluso dalla risposta non lo dà a vedere. «Senti, ho una proposta per la sera dell'inaugurazione. Vieni.»

Lo vedo avvicinarsi verso la cucina e mi fa segno con la testa di avvicinarmi. Sono confusa. Che proposta? Richiama l'attenzione di Giorgio e quest'ultimo gli dedica uno sguardo di sufficienza.

«Il weekend scorso a Firenze c'è stata l'inaugurazione di un nuovo lounge bar, in zona San Lorenzo, dietro...» Si blocca e ci lancia un'occhiata. «Va be', tanto non lo conoscete. Per attirare più gente possibile, hanno organizzato una serata Speed Date.»

«Speed Date?» domanda Anna, super interessata, quasi fosse single e proprietaria del locale. Francesco annuisce.

«Sapete tutti di che si tratta, vero?» Ci guarda ancora una volta, soffermandosi in particolare su Giorgio, il quale ha una faccia di marmo che non trasmette emozioni.

«Certo che lo sappiamo», intervengo per troncare sul nascere qualsiasi discussione. «Stai suggerendo di organizzare uno Speed Date per la nostra inaugurazione?»

«Sì, ma non uno convenzionale», replica lui. «Stavo pensando a una cosa più movimentata e moderna, una sorta di Speed Date ballerino.»

«Ballerino?»

«Niente tavoli, pista libera e musica che cambia ogni due minuti: la regola è cambiare partner al cambio di ogni canzone, per chi decide di ballare, naturalmente.»

Francesco fa una pausa e si sofferma a guardare me, più che tutti gli altri. Io ho incrociato le braccia e ricambio il suo sguardo, senza però focalizzarlo davvero. Sto riflettendo.

«Quindi non sarebbe il classico Speed Date, con la donna seduta e gli uomini che cambiano tavolo ogni boh, quindici minuti?»

Il barman mi sorride e io realizzo di come fino a ieri pomeriggio questo sorriso mi avrebbe portato sull'orlo dello svenimento. «Esatto. Tutti in piedi, con degli ottimi cocktail tra le dita, a danzare e a ogni cambio canzone si cambia anche partner. Chissà, magari qualcuno decide di ballare di nuovo con la stessa persona.»

Mi fa un occhiolino pieno di significati sottesi che fingo di non comprendere. Tossicchio e torno a pensare. In effetti, non è male come idea. Sono giorni, se non settimane, che mi scervello alla ricerca di un evento particolare per l'inaugurazione. Mi venivano in mente solo idee già viste e di organizzare una serata di apertura solo con musica e bar era fuori discussione. La trovata di Francesco potrebbe dare i suoi frutti.

«A me piace come cosa.» Anna si è seduta sull'unica sedia presente in cucina e sta affogando del pane nella salsa che stava preparando Giorgio prima. Credo che almeno dieci norme HACCP siano state violate nel giro degli ultimi dieci minuti, ma nessuno se ne preoccupa. Anche Erica non sembra disdegnare questo Speed Date, dalla sua espressione. Io guardo Francesco.

«È una bella idea, in effetti», ammetto. «È innovativa e potrebbe portare un sacco di gente, e poi è semplice da organizzare.»

Non ci sarebbe granché da fare, a parte la promozione sui Social. Basterà dire al dj di cambiare canzone ogni due minuti e di spronare i clienti a cambiare a loro volta partner, nonché individuare una playlist adatta e il gioco è fatto. Già mi vedo la sala piena di giovani e meno giovani che ballano tra di loro, tra le risate generali.

«Sapevo che avresti apprezzato», dice Francesco, di nuovo sorridente. Io ricambio appena, per poi voltarmi verso la mia destra. Il titolare della cucina, difatti, non ha proferito parola. Socchiudo gli occhi, sconfitta, perché già so. So cosa accadrà. Stroncherà l'idea sul nascere, dirà che è una stupidaggine, che lui non ha alcuna intenzione di prestarsi a una stronzata simile, che è uno chef, che il suo ristorante sarà un locale serio ed elegante, figurarsi se permetterà che...

«Sì, in effetti non è male. Almeno non è la solita serata con musica commerciale. Te le ho mandate le mie richieste di canzoni, Em?»

Resto di sasso. Giorgio è d'accordo con Francesco? È d'accordo con l'organizzare una serata alternativa, con il rischio che non abbia successo, con qualcosa che piace a me? Sono così sconvolta che riesco soltanto a guardarlo con la bocca mezza aperta. Lui inarca le sopracciglia folte.

«Allora?»

Sbatto le palpebre. «Sì, sì, me le hai mandate.»

Francesco non si è accorto di nulla e continua a sorridere. «Quindi idea approvata?»

«Per me è una figata!» esclama Anna, a bocca piena, dopo aver spazzolato tutto il cibo che ha trovato sottomano. Erica non distoglie gli occhi dalla crema al burro che sta preparando, ma urla: «Anche per me!»

«Parlerò con zia Isa e inizieremo a pubblicizzarlo sui Social, allora», aggiungo io, con il tono di chi vuole chiudere la questione. Già che sono qui, voglio ricontrollare alcuni documenti che sono arrivati stamattina dall'Agenzia delle Entrate.

«Emma?»

Pensavo che l'avrei scampata, eh? E invece no, Francesco non molla. Me ne stavo andando nel mio ufficio, dopo aver salutato Anna, quando lui mi ha raggiunto proprio sull'uscio della porta.

«Ti va di andare a mangiare qualcosa insieme?»

E infatti, mai una gioia. Deglutisco, cercando di assumere un'espressione dispiaciuta.

«Ho fatto apericena con Anna ed Erica, sono già piena.»

Il che è vero, ho fatto un'abbuffata record di carboidrati. Francesco solleva un sopracciglio. «Nemmeno un drink?»

Francè, come te lo devo far capire che non voglio uscire con te? Niente, nada, nothing, nein, non ci vengo in giro con te, non voglio rischiare che mi metti di nuovo la lingua in bocca, perché poi ti vomito addosso e non è per niente una cosa carina.

«Ho delle cose da sistemare in ufficio. La prossima volta, ok?»

Si limita a guardarmi e ad annuire, per poi darmi le spalle. Così, dal nulla. Credo che si sia offeso. Quale gioia e giubilo! Via, via, via, che io devo lavorare. Mi sigillo dentro la minuscola stanza che ormai frequento più di casa mia e accendo il portatile. Spero di finire in fretta, le emozioni di oggi mi hanno lasciato una stanchezza tremenda.

***

«Emma?»

«Uhm...»

Non mi sono accorta di essermi addormentata. Ricordo di aver poggiato la testa sulle braccia e di aver chiuso gli occhi per riposarli e mi sono ritrovata a russare sulla scrivania.

«Ahia», mi lamento, sentendo un dolore lancinante alla base del collo. Mi ha svegliato Giorgio, che non appena mi sente brontolare mette le mani sulle mie spalle. Inizia a massaggiare nella zona indolenzita e io mi sento subito meglio.

«Un po' meno fastidio?»

«Non ne hai idea. Grazie.»

È sempre stato molto bravo con i massaggi. Cerco di non lasciarmi andare a dei gemiti inopportuni, anche se è difficile trattenerli.

«Stai pensando al barman?»

Spalanco gli occhi. Li punto verso l'alto e cerco di individuarlo.

«Giorgio», lo ammonisco. Lui si lascia sfuggire un sorriso furbo.

«Brutto segno quando mi chiami Giorgio. Dai, ti sto prendendo in giro. So che ieri ti ha riportata a casa.»

Sospiro. Ha lanciato la stoccata. Naturalmente, nemmeno sotto tortura gli confesserò come è andata e come sta ancora andando con il barman.

«Sì, è stato molto gentile», mi limito a dire. La sua presa si ammorbidisce e le sue dita scivolano dalle mie spalle. Si siede sulla scrivania e mi guarda.

«Ora si dice gentile...»

«Beh, come te che sei passato a prendere Giada.»

Uno a uno, palla al centro. Giorgio si mette a ridere. La stanchezza gli vela il viso, ma sa nasconderla bene. Gli zigomi alti e scolpiti sembrano più tirati del solito. Chissà se mangia abbastanza. È piuttosto curioso chiedere a uno chef se si ricorda di mangiare, ma forse dovrei farlo.

«Questo locale ha uno staff molto gentile.»

Che paraculo. Scuoto la testa, cercando di non ridere a mia volta. Giorgio mi sposta la frangia troppo lunga dalla fronte.

«Dai, vai a casa a riposare, è tardi.»

Si vede così tanto che sono distrutta? Mi bruciano gli occhi dal sonno. Faccio di sì con la testa. «Mi dai un passaggio tu? A proposito di riaccompagnare a casa.»

Ho proprio voglia di farmi un giretto in moto con l'aria inquinata di Milano che mi sbatte in faccia. L'espressione dispiaciuta di Giorgio, tuttavia, sgonfia il mio entusiasmo.

«Vorrei, ma devo restare ancora un po', ho delle cose da controllare.»

Sospiro. Non ci credo. O forse sì, lo conosco troppo bene.

«Giorgio, è quasi mezzanotte, puoi farlo domattina.»

«Lo sai che sono più produttivo la sera, meglio che lo faccio adesso, così domani mattina sono più tranquillo.»

Testardo peggio di un mulo. Mi arrendo subito, sono troppo esausta per controbattere.

«D'accordo... G?»

«Dimmi.»

«Secondo te ce la faremo? Sincero.»

«E quando mai non sono stato sincero con te?»

Pure troppo sincero, a dirla tutta, ma sorvoliamo.

«Le tue previsioni che dicono?» domanda ancora. Io prendo tempo. Mi massaggio gli occhi chiusi, sporcandomi le mani con il mascara, ma me ne importa poco.

«Che per almeno un anno e mezzo andremo in perdita e poi inizieranno i guadagni veri. Le tue?»

«Non ho previsioni. Ho solo molta speranza. E fiducia.»

«In te stesso?»

«In noi.»

Sarò pure una stupida sentimentale, ma il mio stomaco si scalda quando pronuncia il pronome noi. Costringo le mie labbra ad andare verso l'alto, ma non so se ho molto successo.

«Io non molta.»

Il sopracciglio destro di Giorgio vola verso l'alto. «Perché?»

Respiro con calma, mentre l'ansia sostituisce il calore di poco fa. «Ho paura che stiamo facendo il passo più lungo della gamba. Che il nostro progetto sia troppo ambizioso e ogni giorno, a Milano, aprono cinque ristoranti e ne chiudono sei. Ho paura che non duriamo nemmeno sei mesi.»

Non l'ho mai detto ad alta voce, ma dopotutto, se non lo dico a lui, a chi posso dirlo? È il mio socio, il mio migliore amico, il mio punto di riferimento.

«Emma, questo non lo possiamo sapere, ma ormai siamo in ballo e non possiamo più tirarci indietro. Possiamo solo fare del nostro meglio.»

Odio quando è così saggio. Stringo le labbra. «Lo so. Lo so, G.»

Sono convinta che la conversazione sia terminata, ma Giorgio richiama di nuovo la mia attenzione.

«Em?»

«Uhm?»

«Sei sicura di questo Speed Date?»

Mi sembrava strano che avesse accettato subito senza alcuna riserva. Nascondo un sorriso e gli sfioro il ginocchio più vicino. «Sì, secondo me è una buona idea. Divertente, coinvolgente, anche innovativa. Proviamo a spingerla sui Social, vediamo le reazioni del pubblico.»

«Va bene, mi fido di te», annuisce, provocandomi una risata sardonica.

«Tu che ti fidi di me?»

«Io mi fido sempre di te.»

«Come no.»

«Non starei per aprire il "Belli e Dannati" con te, altrimenti.»

E di nuovo il calore nello stomaco. Abbandono il ginocchio e ora gli sfioro la mano.

«Ridillo.»

«Che?»

«Il nome.»

Giorgio capisce l'antifona. Avvicina il volto verso di me e ripete, scandendo bene le parole con la sua voce calda: «Belli e Dannati.»

«Adoro sentirtelo dire», confesso. «Mi piace troppo.»

«Il nome del locale o come lo dico?»

«Entrambi.»

Ci abbiamo messo settimane a trovare il nome giusto, ne abbiamo scartati a centinaia, e poi è bastata un'occhiata distratta alla mia libreria per trovare quello giusto. "Belli e Dannati" non è il mio romanzo preferito di Fitzgerald, ma come nome è assolutamente azzeccato. Non potrei immaginare il nostro locale con un nome diverso.

«Belli e Dannati,» Giorgio comincia a prenderci gusto. «Belli e Dannati, Belli e Dannati, Belli e Dannati, Belli e...»

«Ok, ora basta, ho capito!»

Scoppiamo a ridere ed è bello lasciarsi andare così, dopo momenti di stress che non finiranno troppo presto. La risata finisce, ma il sorriso rimane sulle nostre labbra.

«Resta ancora da capire chi è il bello-bella o chi è il dannato-dannata», parla ancora G.

Io gli faccio l'occhiolino. «Magari lo siamo entrambi.»

«Tu bella, di sicuro.»

«Disse il gargoyle.»

«Scema.»

Restiamo a guardarci negli occhi per un lasso di tempo che non riesco a quantificare. Mi viene voglia di sfiorargli la guancia e toccare la sua pelle ambrata, ma poi non lo faccio. Giorgio è il primo a riprendersi.

«Dai, si è fatto tardi. Ti chiamo un taxi?»

Sblocco lo schermo del telefono e noto che siamo già entrati nel nuovo giorno. Sospiro e mi alzo. «Vado a piedi, preferisco fare una passeggiata.»

Giorgio mi segue e torna in piedi. «Stai attenta», mi dice. Tipico.

«G.»

Il mio tono perentorio lo fa desistere.

«Ok, ok. Buonanotte.»

«Buonanotte.»

E me ne torno a casa, l'aria calda ormai estiva di Milano a farmi compagnia, insieme al vociare dei ragazzi che popolano le sponde dei Navigli e il peso dei miei sogni e delle mie aspettative sulle spalle, peso che, tuttavia, con la presenza di Giorgio accanto a me, non è così gravoso come sembra.

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