VIII - Sbagliando si impara.
Nella buona sorte e nelle avversità
Nelle gioie e nelle difficoltà
Se tu ci sarai
Io ci sarò
Io ci sarò - 883
Non ho capito se Giorgio è già uscito oppure no. Sono le nove e dieci e il locale sembra deserto, forse sarà morto soffocato sotto tutte quelle melanzane che ha ordinato. Tutti gli altri se ne sono andati tutti e io non ho piani per questo giovedì sera. Sto morendo di fame, ho mangiato pochissimo in questi giorni per recuperare il mega pranzo dalle mamme e non tocco cibo dall'una, a pranzo ho rifiutato con ostinazione il risotto preparato dal Signor Chef, autoflagellandomi con un tramezzino gommoso del bar all'angolo. Vorrei proprio del sushi. Sto per scrivere ad Anna per proporglielo, quando mi ricordo che è incinta e per lei il pesce crudo è veleno. Uffa. Essere incinta deve essere una cosa pallosa.
Va be', nessun problema, posso ordinarlo. Lo prenoto adesso, così per quando sarò a casa sarà già arrivato. Mi siedo sul mio sgabello preferito e afferro il telefono dalla borsa e apro la app di delivery. Allora, vediamo... Sashimi misto, due porzioni, tanto sono solo grassi e proteine, una bella tartare di salmone e pure una di tonno, qualche uramaki, non troppi perché il riso gonfia e in teoria la sera non posso mangiare carboidrati, ravioli misti al vapore, qualche edamame... Oddio, gli spaghetti di soia con gamberi e verdure, i miei preferiti. Da quanto non li mangio? Ma la soia è fatta di carboidrati? Mica lo so. Giorgio lo saprà? Peccato che non possa chiederglielo.
«Si può?»
Chi ha lasciato aperta la porta? Sicuramente quell'idiota di Martino. Mi volto verso l'entrata e resto sorpresa nel vedere il volto di Filippo. Alto, con una fronte larga e la mascella squadrata, l'erede del vino Elisei non è il mio tipo, ma non si può dire che non sia un bel ragazzo.
«Ehi.» Mi alzo dallo sgabello e mi avvicino per salutarlo. «Che ci fai qui? Se cerchi Erica l'hai persa per poco.»
Filippo mi dà un bacio sulla guancia e indugia un po' troppo, lasciando una scia umida.
«Erica?» domanda, quando finalmente mi abbandona. «No, in realtà cercavo te.»
È arrivato il momento. Finalmente mi parlerà di lei e mi dirà quali sono le sue intenzioni. Mi rendo conto di essere quasi emozionata.
«Dimmi tutto.»
Filippo mi guarda. Lo fa in un modo strano, come se mi stesse squadrando, analizzando ogni parte del mio corpo coperto dagli abiti. È un modo a cui non sono abituata. Mi dà fastidio.
«Stai davvero bene vestita così.»
Sollevo le sopracciglia. Indosso un paio di jeans a vita alta, una blusa verde e un paio di stivaletti neri. Più banale di così può esserci solo una divisa da lavoro. Per non parlare del fatto che devo assolutamente lavarmi i capelli e ho il trucco di stamattina.
«Grazie.» Gli rivolgo un sorriso. È carino che un amico di vecchia data ti faccia un complimento. Sono troppo abituata ad amici maschi dalla capacità emotiva di un lombrico che non si accorgono di nulla, potresti esserti tinta i capelli di verde e loro niente, ti passerebbero davanti dicendoti a malapena ciao.
«Sei sola?» domanda Filippo, dopo qualche secondo di silenzio.
«Sì,» rispondo, «penso siano andati tutti via, ormai.»
«Come procede l'organizzazione?»
«Bene. Oddio, ci sono ancora molte cose da fare, ma sono fiduciosa che riusciremo a sistemare tutto entro l'inaugurazione.»
Filippo annuisce. Ho una strana sensazione. È strano rispetto al solito. Siamo poco distanti. Io in piedi accanto al bancone, lui si è avvicinato e ha appoggiato il sedere su uno sgabello a poca distanza da me. È vestito bene: jeans scuri e camicia bianca, coperta da una giacca anti vento, griffato dalla testa ai piedi, con le sue Gucci eleganti. Non ho mai amato le scarpe e gli abiti che ti sbattono in faccia la marca, li ho sempre trovati cafoni.
«Sarà un successo, non ho alcun dubbio», dice, alla fine. «Come tutte le cose che fai tu.»
Mi sorride e io ricambio. Forse mi sto facendo troppi problemi. Insomma, io e Filippo ci conosciamo da anni, dal primo di università, eravamo iscritti allo stesso corso, poi lui ha deciso di cambiare facoltà ed è passato a economia alla Bocconi, ma non abbiamo mai abbandonato lo stesso gruppo. Ne abbiamo passate tante, insieme, le feste, le uscite, gli aperitivi, mi ha presentato così tante ragazze da aver perso il conto. Sono molto contenta che stia nascendo qualcosa con Erica, finalmente una brava ragazza con cui costruire qualcosa di serio e duraturo. E a proposito della mia adorabile assistente cuoca, penso sia arrivato il momento di parlarne.
«Carina Erica, vero?»
Filippo sbatte le palpebre. Mi guarda qualche secondo, come confuso.
«Come?»
Mamma mia, gli uomini. «Dico Erica, quanto è carina? E simpatica, anche, sono così contenta che stiate legando!»
Gli lancio uno sguardo eloquente, che vuole spingerlo a parlare. Di' qualcosa, maledizione Lui continua a guardarmi.
«Sì, certo, molto simpatica,» mi concede lui, per dire subito: «Ha impegni, stasera?»
Trattengo a stento un sorriso. «No, affatto!»
«Ti va di andare a cena?»
«Certo! Perché non scrivi a Erica?»
Oh, finalmente! Ecco l'occasione che aspettavo. Una bella cena tra Filippo ed Erica! Anche se ci sono io, troverò subito una scusa per svignarmela e lasciarli soli, magari mi invento che mi è tornato il ciclo. Funziona sempre. Mi apro in un sorriso gigante. Che Filippo non ricambia, anzi, aggrotta la fronte.
«Erica? Che c'entra Erica?» mi domanda. Sospiro.
«Come che c'entra? Non vede l'ora di uscire davvero con te!»
Ho messo molta enfasi sulla parola davvero. Spero che abbia capito, adesso. Lo guardo negli occhi. Lui fa un passo in avanti.
«Emma, ma che cazzo me ne frega di Erica?»
«Scusami?»
Non mi sono accorta che si è avvicinato così tanto. Prima che me ne renda conto, Filippo mi mette una mano dietro il collo e spinge la mia bocca contro la sua. Sento le sue labbra umide premere sulle mie, la lingua ruvida che con impeto si infila tra i denti. Sono così scioccata che ci metto un attimo a realizzare cosa sta succedendo. Riesco a mettere le mani sul suo torace e devo usare un po' di forza per togliermelo di dosso.
«Ma che fai!?»
Ho il respiro mozzato. Il cuore mi batte fortissimo, le guance mi vanno a fuoco. Ma che diavolo, è impazzito? Lo guardo in attesa di spiegazioni, ma lui non sembra mortificato, nemmeno imbarazzato. Le sue labbra si aprono in un ghigno che riesco a definire solo viscido.
«Faccio quello che entrambi desideriamo da un sacco di tempo, Emma.»
Non aspetta una risposta. Non ho ancora elaborato le sue parole, che è di nuovo addosso a me. Stavolta mi mette le mani sui fianchi e mi spinge contro il bancone. Il suo corpo si spalma sul mio e mi bacia con troppa irruenza, tanto che non riesco a staccarmi. Il panico mi invade, insieme a una sensazione di ribrezzo che mi sale lungo l'esofago. Il suo bacino preme forte contro il mio e la sola idea di cosa potrebbe succedere mi immobilizza. Gli occhi si riempiono di lacrime. Vorrei solo che le sue labbra schifose si spostassero dalla mia bocca e la sua mano destra smettesse di stringermi così forte il sedere. Mi fa male. Spostati, maledizione, spostati. Ma non lo fa. Devo farglielo capire io. E quando dalle labbra passa a mordermi il collo, riesco a sollevare le braccia e a spingerlo, come prima, ma stavolta ci metto una forza che non pensavo di avere. Colto di sorpresa, Filippo barcolla all'indietro.
«Levami le mani di dosso!» urlo, con una voce che non mi appartiene, nella quale avverto una nota di disperazione. Filippo respira con affanno. Io non riesco a calmarmi. Mi appoggio al bancone e credo di essere sul punto di svenire.
«Allora è vero quello che dicono tutti.» La sua voce, al contrario, è forte e cupa. Incattivita. Mi viene da vomitare.
«Che cosa dicono?» domando, ma me ne pento subito. Non lo voglio sapere. Lui, ancora fermo davanti a me, sorride con perfidia.
«Che sei una frigida.»
Quel giudizio mi crolla addosso come un macigno. Mi tremano le gambe. Apro la bocca per ribattere, ma non trovo le parole.
«Anzi, sai che penso?» continua, e realizzo che in tanti anni non l'ho mai visto così. «Che secondo me non sei solo frigida, sei una verginella frigida. Ho ragione, Emmina?»
Piango. Non vorrei, ma sento scorrere le lacrime sulle guance.
«Esci dal mio locale!» riesco solo a dire, senza essere in grado di difendermi dalle sue accuse. Per tutta risposta, lui ride.
«Allora lo vedi che ho ragione? Non sei per niente come Erica.»
Questa frase mi immobilizza. Lo guardo negli occhi cattivi.
«È bastato farle due moine per farla cedere. Hai fatto bene a presentarmela, è proprio una troietta come piacciono a me.»
Come osa parlare così della mia amica? La rabbia mi sale dentro, mi infetta.
«Ma come ti permetti?» urlo, ma non abbastanza per fermarlo.
«Povera Emmina, una verginella impaurita da un ragazzo che ha provato a toccarla. Almeno un bacio lo hai mai dato?»
Ora non piango più. Ora vorrei solo fargli male. Arrabbiata come poche volte nella mia vita, mi volto per cercare qualcosa da lanciargli addosso, ma mi fermo. La porta della cucina si è aperta.
«Esci subito dal mio locale o ti spacco la faccia.»
Giorgio mette l'avambraccio sopra il collo di Filippo e lo spinge contro la parete sottile tra il bancone e l'accesso alla sala interna. Questa anticamera del locale è grande, ma al momento mi sembra minuscola, come se tutta l'aria fosse stata aspirata e l'ossigeno fosse scomparso.
«Oh, è arrivato il paparino, adesso siamo a posto!»
Ok, questo proprio non doveva dirlo. Un lampo di rabbia attraversa gli occhi di Giorgio. Solleva il braccio destro e so già cosa sta per fare. Mi avvicino con un salto.
«No, G, fermati!» strepito, afferrandogli il gomito. «Lascia stare, non ne vale la pena.»
Per quanto vorrei io stessa prendere a schiaffi il bel faccino di Filippo, no, non ne vale per niente la pena. Sarebbe capace di alzare un polverone se solo Giorgio lo sfiorasse. Questo, da parte sua, sembra riflettere attentamente. Poi, grazie a Dio, lo lascia andare.
«Levati dal cazzo e non farti più vedere.»
Non l'ho mai sentito così arrabbiato. La sua voce è così profonda da far venire i brividi. Tuttavia, Filippo non appare intimidito. Mi lancia un ultimo sguardo languido che mi fa venire la nausea ed esce fuori. Io e Giorgio restiamo soli. Il silenzio crolla su di noi ed è estenuante. Io sono rimasta ferma, a pochi centimetri da lui.
«Stai bene?»
Le sue parole mi arrivano lontane. Provo a dire di sì con la testa, ma non ci riesco. Ricomincio a piangere. Gli occhi mi fanno male e le lacrime scendono da sole. Le braccia di Giorgio mi avvolgono. Il suo odore familiare mi entra nelle narici e mi tranquillizza. Mi lascia sfogare per tutto il tempo che mi serve. Riesco a calmarmi, il battito del cuore torna a essere regolare. Quando il nostro abbraccio si scioglie, mi dispiace.
«Ti ha fatto male?»
La sua è una domanda che ha paura di ricevere la risposta sbagliata. Le sue mani restano sulle mie spalle. Faccio di no con la testa.
«Pensavo fossi andato via.»
Le labbra di Giorgio mostrano un accenno di sorriso. «No, sono rimasto a controllare proprio quante bottiglie abbiamo del vino di quella testa di cazzo. È indietro di tre consegne, oltretutto.»
Quanto sono stata idiota a proporgli una collaborazione. Giorgio aveva ragione. Aveva ragione su molte cose. Su tutto.
«Ne troviamo un altro, non voglio più vederlo.»
«Sicura che non ti abbia fatto niente?»
«Mi sono saputa difendere. Un po' meno dalle sue parole.» Lo guardo negli occhi scuri. «Hai sentito quello che mi ha detto?»
Vorrei tanto che dicesse di no, ma il suo sguardo è molto eloquente. Mi salgono di nuovo lacrime di rabbia.
«Emma...» sussurra Giorgio, le mani attorno alla mia testa. Io scuoto la testa.
«Sai, forse ha ragione a definirmi così.» Mi sale di nuovo un forte groppo alla gola, ma lo mando giù con decisione. «Io non sto mai con nessuno, non vado a letto con nessuno, forse ho qualche problema.»
Mi trema la voce, insieme con le labbra. Lo sguardo di Giorgio si indurisce e io non riesco più a sostenerlo.
«Emma, smettila, ok? Non ti lascerò condizionare dalle parole di Elisei. Non te lo permetto. Quel pezzo di merda era solo incazzato perché è andato in bianco e ha pensato bene di insultarti.»
Non sono abituata a sentirgli dire tutte queste parolacce. Deve essere davvero arrabbiato.
«Sì, ma...» parlo ancora, gli occhi bassi. «Ha ragione, non è normale che io...»
Non riesco a non ripetere nel mio cervello quelle due parole, in continuazione: verginella frigida. La stretta delle mani di Giorgio intorno alle mie guance si ammorbidisce. Sento i suoi pollici sfiorarmi la pelle calda.
«Per chi non sarebbe normale? Per Filippo Elisei? Non sei obbligata a stare con qualcuno solo perché gli altri pensano che tu debba starci. Soprattutto con lui.»
Inspiro l'aria rarefatta del locale, cercando di riempire i polmoni il più possibile. Annuisco piano. Le parole di Giorgio sono una carezza che mi calma, come quella che continua a darmi sulla guancia.
«Avevi ragione, G. Non gli piace Erica.»
Di solito odio dare ragione a Giorgio e ammettere il mio fallimento. Stavolta no. Stavolta va bene così. Lui si lascia andare a un sorriso triste.
«L'avevo intuito. Avrei preferito non avere ragione.»
Come dirò a Erica che deve lasciar perdere Filippo? Che non ha assolutamente alcuna intenzione di iniziare qualcosa con lei e che soprattutto è un viscido a rischio assalto sessuale? Ci resterà malissimo. E sarà tutta colpa mia.
La mano di Giorgio che abbandona la mia faccia mi fa tornare nel presente. Si volta a guardare la cucina.
«Hai fame?» mi domanda. Non appena penso al cibo, una voragine si apre nel mio stomaco. Sì, ho fame.
«Stavo per ordinare del sushi, in realtà, prima che arrivasse Filippo.»
«Lascia stare il sushi. Di là ho un paio di piatti del menù nuovo.» Gli angoli delle sue labbra se ne vanno all'insù e i suoi denti bianchi escono fuori dalle labbra rosee. «Avevi promesso di farmi da assaggiatrice.»
Non gliel'ho tecnicamente promesso, ma non sto a guardare questi dettagli. Per la prima volta da un'ora a questa parte, sorrido in modo spontaneo. «Basta che non mi avveleni!»
Giorgio rotea gli occhi. «Andiamo, prima che ci ripensi!»
Mi prende la mano destra. Lo fa in automatico, senza pensarci troppo, senza guardarmi. Lo seguo verso la cucina, il suo mondo. Gli stringo le dita proprio prima di entrare. Si gira a guardarmi.
«Meno male che ci sei tu.» Il mio è un sussurro che non riesce a perdersi tra i rumori della cucina. Giorgio sbatte le palpebre. Le sue labbra si distendono.
«Io per te ci sarò sempre.»
Accenniamo un sorriso. Lo so che per me ci sarà sempre. Anche se non sempre me lo merito.
Note di Greta 💕
Bimba di Giorgio presente, grazie!
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top