In your eyes

Il giardino sul retro della bottega, da quanto era tornata Antea, aveva preso una nuova luce: già rigoglioso sotto le cure di Leonardo, ora era inondato di rose rampicanti e azalee, perse tra i cespugli e il pozzo di pietra bianca.
Lì poco distante, seduta sulla panca di legno, Antea puntava i suoi occhi verdi al cielo. In quel giorno di Pasqua, era di un rosa talmente irreale che sembrava dipinto sotto una coltre di nuvole blu e anche il sole brillava di un giallo chiaro che donava all’iride della ragazza una colorazione che ricordava l’acqua dell’Arno.
Girolamo era indeciso se avvicinarsi alla figura di Antea o rimanere lì ad osservarla avvolta in quell’abito viola così simile al mantello che indossava per nascondersi nelle notti in cui raggiungeva i palazzi dei nobili di tutta l’Italia per mandare avanti i suoi affari segreti.
Non riusciva a farne a meno, ma la trovava di una bellezza unica, solo un’aggiunta alla sua nobile fierezza e alla sua elegante intelligenza.
Si era avvicinato e, senza rumore, si era seduto al suo fianco: -Mi ricordo la prima volta che vi ho visto: eravate solamente una bambina di 10 anni, però da come vi rivolgevate ai clienti del negozio di vostra nonna, mi ero convinto che aveste visto cose che una ragazzina della vostra età non avrebbe mai dovuto vedere. Eravate già orgogliosa come tutte le donne della vostra famiglia, così tanto orgogliosa che nemmeno al funerale di Madonna Giacinta avete versato una lacrima, ve ne stavate con il vostro abito scuro a fissare il corpo inerme di vostra nonna, ma non piangevate. Era stato in quel momento che ci eravamo parlati per la prima volta, io vi avevo fatto le condoglianze e voi mi avevate risposto con una frase enigmatica, Quem fata pendere volunt, non mergitur undis: non lo avreste mai ammesso, ma vi spaventava da morire prendere il fardello di Dama Ametista, ve lo si poteva leggere nella luce spenta dei vostri occhi verdi. Avreste voluto vivere una vita più tranquilla, ma era il vostro destino e voi non volevate andarci contro. Me lo avevate confidato una sera sul Basilisco, la sera in cui finalmente vi eravate aperta. Avevo tentato tante volte di capirvi, ma eravate sempre rimasta un mistero per me, sempre così dignitosamente audace, quando entravate nella mia camera pareva che vi trovaste sempre in difetto. Mi dava fastidio, non per il vostro comportamento restio, ma perché non volevo che vi sentiste a disagio con me, soprattutto dopo quello che era successo tra di noi. Me lo ricordo bene: avevamo appena finito di fare l’amore e voi ve ne stavate seduta con me poggiato sul vostro seno, giocavate con i miei capelli e io non mi aspettavo nulla in quel momento, non mi aspettavo che vi metteste a parlare e mi raccontaste cosa avrebbe significato per la vostra famiglia se non aveste accettato di continuare la tradizione di famiglia.
In quell’esatto istante, guardando nei vostri occhi, avevo capito che io e voi eravamo ancora più simili di quanto pensassi, entrambi destinati a un futuro che avevamo abbracciato perché forzati, avevo capito che nessuno mi avrebbe potuto capire meglio di voi e questo mi ha messo paura, paura di oscurare la vostra luce con il mio buio, con il mio marcio, con il mio male.
- Il male si infila anche nella sottile fessura tra la testa e l’aureola.
-  E’ questo che mi è sempre piaciuto di voi: avete la capacità di non giudicare le cose sempre come bene o male, non vi bloccate alle apparenze e scavate a fondo nell’animo umano, non pensate che un’ammaccatura pregiudichi completamente il frutto. Emilia è fortunata ad avere voi come madre…
- C’è un ma... – Altea aveva percepito come le parole Girolamo si fossero perse nel pomeriggio fiorentino, nell’aria vaporosa.
- Non ha un padre – l’aveva guardata negli occhi nella speranza che lei non fraintendesse le sue parole, conosceva bene quanto alle volte fosse impulsiva.
- Alle volte una madre fa molto di più di un padre assente…
- Proprio per questo vorrei potermi prendere questo impegno – aveva sparato guardandola negli occhi senza esitare minimamente – So quello che state pensando, non fate promesse che non potete mantenere, e avete ragione, non ho intenzione di fare promesse che non posso mantenere, ma quello che intendo dire...E’ difficile, sapete? - aveva abbassato gli occhi per cercare le parole migliori – Quello che intendo dire è che...quando vi ho chiesto di venire a Firenze con me perché volevo ricominciare con voi, non intendevo ricominciare con voi presente nella mia vita come mera presenza, ma intendevo ricominciare la mia vita INSIEME a voi, come una coppia, con tutti i doveri che implica essere una coppia a tutti gli effetti. Ecco, voi avete una figlia e non me ne frega niente di chi sia il padre e dove sia ora, perché quella è VOSTRA figlia e quindi è una parte di voi che non posso fare a meno di amare. Sì, Altea, perché è questa la verità: io vi amo, vi amo terribilmente, vi amo perché voi avete saputo amarmi anche quando io non sapevo amarmi, mi avete amato nonostante fossi rotto, nonostante non ve lo abbia mai dimostrato, nonostante vi abbia ferito, nonostante me ne sia ritornato senza preavviso, nonostante sia un grandissimo bastardo senza cuore, nonostante vi abbia usata, nonostante tutto. Io sono il vostro “nonostante tutto” e io vorrei che foste il mio “prima di tutto” – l’aveva guardata dritta negli occhi – Forse non è il momento giusto, forse mi direte di no, forse parlo a sproposito, forse è troppo presto e io sono un cretino illuso, ma non importa, se non lo faccio non saprò mai cosa vuol dire aver tentato: Altea Innocenti, volete essere la mia promessa sposa? - si era inginocchiato davanti a lei prendendole una mano tra le sue – Giuro che cercherò un anello adatto a voi, ma la cosa è stata un po’...inaspettata- aveva rivolto uno sguardo verso la finestra del retrobottega da dove facevano capolino gli sguardi di Leonardo, Zoroastro e Sofia, smorzando un pochino la tensione.
- Girolamo...- Altea era davvero colpita, commossa, sorpresa, non sapeva quale parola utilizzare per definirsi, una lacrima solitaria che scendeva sul viso felice – Io non so davvero cosa dire...- era ancora titubante, credeva nella sincerità delle parole di Riario, ma aveva ancora paura di rimanere ferita.
- Lo so, perdonare è difficile, dimenticare è impossibile, però vi chiedo un’ultima possibilità.
- Sapete già che quella possibilità l’avete sempre avuta, state sfondando una porta aperta – aveva cercato di mettere la faccenda sul ridere per guadagnare tempo – Ma posso credervi?
- Non posso rispondervi, vi dirò sempre e comunque di sì, ma vi lascio libera: fate quello che vi dice il cuore, anche se significa un no.
Altea aveva lasciato scivolare le mani da quelle di Girolamo e lo aveva guardato negli occhi: -Sareste disposto ad aspettare ancora una notte? Ho tante cose nella testa e ho bisogno fare ordine.
- Se è quello che necessitate per prendere una decisione, una notte in più non sarà un problema – le aveva preso una mano e le aveva baciato il palmo, facendola arrossire.
- Così rendete tutto più difficile – aveva cercato di ridere per sentire meno il peso della colpa.
- Vi chiedo scusa, ma devo spostare un po’ l’ago della bilancia dalla mia parte – le aveva sorriso con gli occhi luminosi – Comunque vi lascio sola, non ho intenzione di mancarvi di rispetto ulteriormente – si era alzato ed era scomparso dietro la porta della bottega.
Per Altea quella sarebbe stata una notte lunga, piena di dubbi e preoccupazioni.

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