capitolo 19


Non credo esistano parole in grado di descrivere come mi sentivo in quel momento: una volta che Ulisse fu uscito dalla tenda mi lasciai andare alle lacrime che, da ormai qualche minuto, minacciavano di sgorgare dai miei occhi.

Piansi per come mio padre mi aveva trattata il giorno prima, per il disdegno e la rabbia che avevo visto nei suoi occhi quando mi ero trovata davanti a lui.

Piansi per Jason e per quello che avremmo potuto avere, se solo non fossi stata così testarda da voler raggiungere il mio obbiettivo a tutti i costi, mettendo i miei desideri prima del nostro amore.

Piansi anche per quello che ero sicura sarebbe potuto succedere ora che ero la schiava di Ulisse e che dovevo fare tutto ciò che mi ordinava di fare senza oppormi, non badando a quanto sconveniente o poco pudica potesse essere la richiesta.

Dopo qualche minuto riuscii a calmarmi e non potei fare a meno di vergognarmi un po' per quanto debole stessi diventando da quando avevo deciso di combattere.

Da piccola non piangevo mai, nemmeno quando mi ferivo o quando i miei genitori mi mettevano in punizione; ora invece non riuscivo più a ricomporre i pezzi in cui mi ero frantumata e dai miei occhi uscivano lacrime ogni volta che nessuno mi guardava.

Respirai profondamente per tre volte ad occhi chiusi ed alla fine li riaprii, guardandomi intorno, per trovare qualcosa che attirasse la mia attenzione in modo da distrarmi dai mille pensieri che mi affollavano la mente.

La tenda di Ulisse era piccola ma molto più elegante e ricca di quella in cui ero stata io: le pareti, marroni chiare, erano ricoperte di spade, elmi e mappe con un'infinità di linee tracciate che supposi fossero mappe di strategia militare.

Il poco spazio della tenda era riempito da una scrivania in legno scuro, coperta di fogli vari, in un angolo erano accatastate varie spade, lance e scudi mentre sull'altra parete si trovava il letto, che era piuttosto ordinato, se si escludevano le grinze che si erano formate quando io e Ulisse vi ci eravamo seduti sopra.

Mi incamminai lentamente verso la parete che era coperta dalle mappe e mi ci misi davanti, contemplando quei grovigli di linee e simboli vari, se fossi stata in altre circostanze non mi sarei affatto tirata indietro dal chiedere ad Ulisse di cosa si trattassero ma, essendo che ero una schiava, non avevo il diritto di fare domande al mio padrone.

Iniziai a fantasticare sugli schemi di guerra che mi trovavo davanti: quel poco che conoscevo di tattica militare però non mi aiutava a capire qualcosa di quegli scarabocchi ma ne apprezzavo comunque lo studio che vi stava dietro.

Iniziai a ipotizzare teorie più o meno realistiche su come avrei potuto strutturare l'assalto a Troia se fossi stata un soldato: magari avrei potuto escogitare uno stratagemma con cui introdurre dei soldati all'interno delle mura della città per far sì che poi il resto dell'esercito riuscisse ad entrare e prendere la rocca.

Sospirai, fantasticando sulla guerra ma non potevo far altro che soffrire al pensiero di non poter prendere parte ai combattimenti che tanto sognavo.

"Cosa stai guardando?" Sentii chiedere ad una voce: mi voltai e vidi Ulisse, in piedi sulla soglia della tenda, l'elmo bronzeo sotto il braccio destro, i capelli marroni appiccicati alla fronte per il sudore dovuto all'indosso dell'elmo durante l'allenamento, e gli occhi marroni fissi su di me in un misto di curiosità e disappunto.

"Io... stavo studiando le vostre carte militari, signore." Dissi voltandomi nella sua direzione ma fissando il pavimento.

"E dimmi, hai trovato qualcosa di interessante?" Chiese Ulisse, camminando verso di me e voltandosi verso le mappe, dopo aver riposto l'elmo sulla scrivania.

"Non è il mio compito pensare a questo genere di cose." Mi costrinsi a dire, anche se in realtà non mi sarebbe dispiaciuto condividere la mia idea per l'assalto di Troia.

"Insisto, ho visto di cosa sei capace come guerriera e, nonostante non approvi affatto la tua indole indipendente, mi piacerebbe conoscere le tue idee." Disse Ulisse, irremovibile nella sua iniziativa.

"A mio parere sarebbe utile introdurre un diversivo da qui." Dissi, ed indicai un punto sulla mappa che simboleggiava l'ingresso di Troia.

"E, una volta che il diversivo è stato introdotto, il resto dei soldati attaccano la città." Dissi, voltandomi poi verso l'uomo al mio fianco per cogliere il suo sguardo nuovamente fisso su di me.

"È un'idea un po' grezza ed azzardata, ma se venisse sviluppata nel modo corretto potrebbe avere del potenziale." Decretò Ulisse, in tono impassibile.

"Sai ragazza, oltre che bella sei anche intelligente; una qualità che mi fa essere ancora più convinto della scelta che ho fatto reclamandoti come mio premio." Disse il re, la voce improvvisamente più profonda, mentre fissava i suoi occhi nei miei e mi sfiorava la guancia destra con la mano.

"Signore, io..." tentai di dire ma Ulisse mi interruppe piantando le sue labbra sulle mie.

Fu un bacio prepotente e pretenzioso, che non aveva nulla a che fare con la sfera sentimentale; fu un bacio famelico e passionale, dal quale avrei voluto tirarmi indietro, un bacio nel quale Ulisse non si curava se fosse una cosa che volessi anche io o meno.

Il sovrano di Itaka mi sbatté bruscamente contro la scrivania scura, premendo il suo forte corpo contro il mio, che in quel momento avrebbe tanto voluto tirarsi indietro ma che non aveva la minima possibilità di farlo.

Quando però sentii che Ulisse cercava di approfondire il bacio iniziai a sentirmi veramente irritata e a disagio e mi tirai indietro; non dissi una parola ma non ce ne fu bisogno perché Ulisse non volle sentir ragione e portò le sue labbra pericolosamente vicine al mio orecchio.

"Credevo avessi detto che fossi mia, ragazza. Non si delude la fiducia del proprio padrone in questo modo. Temo che sarò costretto a punirti." Disse, e le sue parole mi fecero rabbrividire.

Non sarei mai ceduta al suo volere, mai e poi mai mi sarei lasciata usare in quel modo, ma non avevo scelta.

Rimasi immobile, inerte, mentre Ulisse mi mordeva forte la pelle del collo e, con una mano, mi sfiorava l'orlo superiore del chitone abbassandolo leggermente.

Mi imposi di non reagire e strappare la sua mano via dal mio petto; non ero pronta a tutto questo, non volevo tutto questo, ma la mia volontà non aveva nessun valore in quel momento.

Quando Ulisse si staccò con le labbra dal mio collo tirai un sospiro di sollievo ma la mia speranza durò assai poco perché subito dopo il re mi prese bruscamente il mento tra le dita e sussurrò nuovamente al mio orecchio.

"Spogliati." La sua voce era bassa, quasi un ringhio animalesco, che mi fece rabbrividire visibilmente.

Non mi mossi di un centimetro, non avrei mai fatto ciò che mi aveva chiesto di fare, non potevo tradire Jason così.

"Fai come ti ho detto o troverò un modo per farlo io." Disse, stringendo più forte il mio mento, facendomi quasi male.

Sospirai pesantemente e mi scostai da lui per fare ciò che mi aveva ordinato di fare. Non volevo farlo, non volevo assolutamente farlo, ma ero così impotente, così sottomessa al volere di quell'uomo, che non mi trovavo ad avere alternative.

Una volta nuda Ulisse fece scorrere il suo sguardo sul mio corpo, prendendone in esame ogni centimetro, deducendo, ancora una volta, se avesse fatto bene a colermi per se o meno.

"Sei mia e mia soltanto, ricordatelo." Sussurrò, il suo tono di voce basso e rauco, prima di portare le sue labbra sulla pelle del mio collo, poi quella delle mie spalle, scendendo sempre di più con la vocca e con le mani.

Il mio respiro era profondo e tremante: pieno di pauura e di disprezzo per me stessa e per ciò che stavo lasciando che quell'uomo mi facesse.

Non avevo mai pensato ad Ulisse come ad un uomo di brutt'aspetto e ne avevo sempre sentite elogiate le qualità, ma in quel momento tutto ciò che riuscivo a vedere in lui era un essere orribile, che si prendeva tutte le libertà che desiderava con il mio corpo, sfruttando il fatto che non potessi ribellarmi al suo volere.

Sentii le sue grandi mani percorrere il mio petto, reclamando ogni centimetro di esso, mi sentii tremare sotto il suo tocco che non aveva nulla di delicato o gentile, ma che mi carezzava solo per il proprio miacere.

Era tutto così sbagliato, così ingiusto; ma dopotutto la giustizia non era mai stata dalla mia parte.

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