Tu che vivi dentro di me.

"Perché mi hanno detto di correre qui?"

"Cosa ci faccio davanti un ospedale? Come mai loro, sempre così distaccati, hanno voluto chiamare me?"

"Cosa diamine è successo?"

Davanti all'insegna dell'ospedale, fissavo con un dolore sordo e quasi nostalgico la scritta. Ormai era acqua passata.

Spinsi leggermente la porta ed entrai mentre la mia testa iniziava a lavorare alacremente su varie ipotesi.

"È per lei? Le è successo qualcosa? O magari loro hanno scoperto qualcosa? Perché qui dentro?"

Avevo paura.

Superai il corridoio iniziale che si apriva sulla sala d'attesa.

«Sei qui.»

Sentii la voce di sua madre e poco dopo registrai la sua figura che si alzava da una sedia e veniva verso di me.

«Ha chiesto di te...»

«Cos'è successo?»

La vidi deglutire a fatica. Quella donna era bella, per la sua età.

Perché si comportava così?

«Vieni e basta.»

Seguii lei, suo marito e la sua altra figlia, una ragazza più grande di me che conoscevo e che stimavo, fino ad una lunga corsia di stanze di degenza.

Fissai il numero attaccato alla porta e spostai lo sguardo su di loro. Qualunque cosa fosse successa, ero sicuro non mi sarebbe piaciuta.

«Vai.»

Tornai a guardare la maniglia. Presi un respiro profondo, quasi l'aria tenuta dentro di me potesse calmare le emozioni che provavo.

Vi appoggiai una mano sopra e, semplicemente, aprii.

Tubi. Ovunque. Sulle lenzuola, sul mobiletto accanto, sul tavolo. Nelle sue braccia.

Chiusi la porta dietro di me.

"Cosa... È successo..."

Le lenzuola erano leggermente spiegazzate, come se fossero rimaste utilizzate per tanto tempo.

Ma la cosa più lancinante era lei.

I capelli sparsi alla rinfusa sul cuscino. La pelle cadaverica. Le occhiaie. Il leggero tremore che aveva. Il respiro flebile che si sentiva.

«S-sei venuto...»

Alzai lo sguardo su di lei, incredulo che quel fantasma così pallido potesse parlare.

Ma lei era davvero lei.

«Siediti... Vicino a me...»

Il mio corpo si era mosso come un automa. Gli occhi non si staccavano dal suo viso... Era così... Danneggiato...

La mano prese la sedia accanto al letto. La spostò un po'. Mi sedetti.

Provai a sfiorarle il viso con un dito, spaventato di poterla soffiare via con un tocco. Però non diventava polvere e decisi di posare il mio palmo contro la guancia.

Le sue mani che afferravano il mio polso erano tiepide.

«C-ciao...» cercò di sorridermi.

«Shhh» la zittii tremando «Non... Non sforzarti...»

La guardai dritto negli occhi. Nonostante tutto, quelli rimanevano comunque le due gemme d'ambra più belle del mondo. Anche se erano tanto lucidi e stanchi.

Bisognerebbe sempre fare attenzione alla differenza tra stanchi e assonnati.

«Cosa diamine è successo...? Perché i tuoi genitori mi hanno chiamato...?»

Alzò le spalle in quel suo gesto così tipico prima di un suo sorriso.

«Hai presente q-quando prendi una curva troppo stretta con la macchina?»

«Dio...»

«Ecco, in realtà sono svenuta ieri a scuola...»

La fissai confuso.

«Cosa c'entra con la macchina?»

«A-assolutamente nulla... Volevo solo farti ridere...» provò a risalire con il dito all'angolo delle mie labbra.

«Non c'è nulla da ridere.» affermai spaventato.

Non avrei dovuto farlo. Lo sguardo di aiuto che mi lanciò dopo fu straziante. Conoscevo troppo bene quel sorriso e le lacrime e il dolore che portava.

«Ma... Se tu sorridi per me... Io starò meglio... I tuoi sorrisi mi danno felicità...!»

Non ce la feci. Cedetti.

Mi morsi il labbro piangendo mentre tentavo di sorridere. Più io ridevo sommessamente nonostante il dolore più il suo sorriso si allarga a e i suoi occhi si aprivano.

Quello era vero amore.

Il voler vedere il sorriso dell'altro. Il sorridere nonostante tutto solo per farla felice.

Mi disse che aveva chiesto ai suoi genitori il permesso di potermi amare.

«Ma... I tuoi sono così duri con te... Hanno acconsentito sul serio...?»

Annuì con dolcezza.

«Sono in u-un letto... D'ospedale... sapevo che non potevano far altro che cedere...»

La vista annebbiata non mi permetteva di vederla mentre afferrava la mia manica con le sue piccole mani, ma potevo avvertire bene quella stretta familiare.

«Non avere paura.» balbettai a voce rotta.

«Q-questa... È una cosa che dovrei dirti i-io a quanto sembra...»

Stava piangendo anche lei. Si sentiva così chiaramente. Le asciugai le lacrime poi asciugai le mie.

Ridemmo piano, quasi di nascosto. Forse non volevamo farci sentire dal terrore che ci circondava.

Nei giorni seguenti le rimasi sempre vicino. Ero la sua ombra. Non mi interessava più delle occhiate che la madre mi mandava, quasi a dire "Perché proprio tu?"

Non lo sapevo neanch'io.

Non capivo cosa l'avesse spinta a scegliere me tra tutti.

Cosa avevo fatto di bello per meritare la stima di tale meraviglia.

Le volte che sorrideva mentre le leggevo un libro mi riempivano di dolore e felicità. Guardavo i solchi neri sotto i suoi occhi e soffrivo, ma bastavano le fossette sulle sue guance a rendermi più leggero.

Migliorava giorno dopo giorno. Presto poté mettersi seduta e tornare a giocare ai videogiochi assieme a me, scrivere e soprattutto disegnare.

Dio. I suoi disegni.

Nonostante tutto i suoi disegni rimanevano sempre di persone felici.

"Finalmente posso disegnare noi due senza paura." aveva detto sorridendo con timida convinzione.

Me ne regalava quasi uno al giorno.

Noi due al nostro primo incontro.

Noi due al nostro primo abbraccio.

A scuola.

Tra le coperte, dormendo.

Come yin e Yang.

Tra i fiori.

Con pigiami strani.

Anche un disegno che non mi aveva mostrato, visto di sfuggita nella sua cartellina, nascosto... Noi due che facevamo l'amore... Circondati da un tenero alone rosato, con le coperte a mascherare la nudità, in un susseguirsi di stoffa e pelle. Il desiderio di amore puro traspariva così bene da quel foglio che avrei voluto prenderla e nasconderla dal mondo che ha quella concezione malata di "fare sesso". Lei voleva solo amore.

Poi piano piano iniziò a fare anche fumetti. Più migliorava più attrezzatura si faceva comprare e migliori diventavano le sue tavole.

Aveva sempre amato il manga.

Ogni settimana me ne consegnava uno di qualche pagina.

Un giorno, uno dei pochi che era uscita per una passeggiata nel giardino dell'ospedale, si era volta verso di me e mi aveva passato un piccolo plico evitando di guardarmi in faccia.

«Mh?» avevo fatto incuriosito.

«È per te.»

Nemmeno mi sedetti su una panchina, iniziai subito a leggerlo in piedi.

Eravamo di nuovo noi due, su una spiaggia. La ricordavo bene, ci eravamo andati in gita scolastica insieme. A quanto sembrava se la ricordava anche lei.

Lessi lentamente la piccola storia, che si concludeva con un timido bacio. Lo rilessi, come faccio sempre con ogni fumetto o libro.

Mi voltai verso di lei e vidi le sue guance imporporarsi.

«È stupendo. Grazie piccola.»

Arrossì ancora di più e sorrisi a quell'azione spontanea.

«Perché diventi così rossa? È una cosa stupenda quella che hai fatto.»

«Non sapevo come avresti reagito al fatto che io... Ah...»

Mi guardò dritto negli occhi. Era strano, visto che ogni volta che ci provava di solito distoglieva subito lo sguardo.

Sospirò piano e fece dei passi verso di me. Sempre più vicino, si nascose tra le mie braccia. La strinsi come si stringe l'ultima salvezza che si ha della vita. E forse lei lo era davvero.

Lentamente alzò la testa verso di me, che ero più alto di almeno una spanna. Le baciai la fronte.

«Stai fermo...»

Mi ordinò tenendo fissi gli occhi sulle mie labbra.

Dopo poco ci posò sopra le sue.

Erano così morbide e non resistetti, le mossi.

Sì allontanò di scatto e mi guardò quasi arrabbiata.

«Ti avevo detto di stare fermo» aveva sbuffato dandomi uno schiaffetto sulla guancia.

Aveva fatto male. Cavoli, forse l'avevo proprio spaventata. Ma ero così felice che si sentisse abbastanza in forze anche da picchiarmi che non potei fare altro che sorridere.

«Adesso stai fermo!» ordinò.

Con la stessa delicatezza di prima fece aderire le sue labbra alle mie. Rimasi immobile. Passarono attimi, tanti attimi e poi lei lentamente iniziò a muovere la bocca. Più il tempo passava più i suoi movimenti diventavano sicuri.

Mi baciò lei per prima. E cavolo, era bello.

Dopo quello, eravamo legati. Diceva che avevo esaudito il suo sogno di baciare il vero amore. Ancora oggi mi chiedo se merito questo appellativo.

Dormivo sulla poltrona accanto al suo letto, ma quando i genitori non c'erano, scivolavo tra le sue coperte per tenerla stretta finché non si addormentava.

Era tornata a ridere fragorosamente. Diceva di odiare la sua risata, ma io la trovavo un suono perfetto.

Disegnava ancora di più, aveva riempito interi quaderni.

Passeggiava con me, alle volte faticavo a tenere il passo.

Diventava ogni giorno più bella e vitale.

La amavo ogni giorno di più.

Immagino tu possa già capire cosa è successo dopo.

Baci, disegni e sorrisi ma... Tsk... Il mondo non va mai come dovrebbe...

Risparmia persone che ammazzano innocenti ma non chi cerca sempre di tirare su di morale le persone tristi anche mentre sta lottando a propria volta la sua guerra non solo contro il proprio corpo ma anche contro lo schifo di società che dice di aver paura!

Le amava la vita, le era la vita!

Me lo sono vista scivolare via tra le dita al doppio della velocità con cui l'avevo potuta stringere!

Era diventata di nuovo fumo. Non potevo trattenerla a me.

Sì aggravò e se n'è andò verso Settembre di quello stesso anno. Ironico no? Il mese in cui ci siamo conosciuti dopotutto...

Le sue ultime cazzo di parole rimbomano nella mia mente ogni notte prima di andare a dormire.

«Portami dentro di te... Portami per il mondo... Vivrò accanto a te... Ma tu diffondi la mia missione... Ok...?»

Questo.

Ha chiuso gli occhi solo dopo che gliel'ho giurato.

Magari se non lo avessi fatto non sarebbe morta, non lo so. Diceva sempre che mi do la colpa di tutto, anche di cose che non ho fatto.

Ascolta. Ora sai tutto. Ora sai la verità.

È vero, ho studiato tanto. Sono arrivato a questo punto. Ma è solo grazie a lei che ho deciso di pubblicare manga.

O meglio, lei l'ha deciso. Chi ha il privilegio di vedere il proprio angelo custode lo sa.

La risposta alla domanda "perché disegni solo manga così sdolcinati?" è questa. Non sono io a disegnarli. Io sono solo il mezzo per cui il suo messaggio si trasmette. Io ho un solo compito.

Quello di far arrivare le sue parole, la sua frase "Non piangere", che ripeteva a tutti, al maggior numero di persone. Solo per poterla veder sorridere quando scoccherà anche la mia ora.

Non importa se sono passati già quindici anni.

Ora, se vuoi scusarmi, vado a stare da solo a disegnare con tutto ciò che ho.

Perchè lei vive sempre dentro di me. E io la amerò per sempre.

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"All of me loves all of you."

Suvvia Kane_Wolf non piangere. Ti avevo già avvertito che non ti sarebbe piaciuto...

Ti voglio bene scemotto.

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