Rinchiusa
Inspiro.
Espiro.
Inspira.
Espira.
Shhh... calma... va tutto bene...
Metti la mano sulla maniglia e tirala giù. Ora oltrepassa la porta, da brava... Ecco, puoi chiuderla dietro di te.
Gira la chiave.
Girala.
...Meglio di no...
Inspiro.
Espiro.
Crollo.
Appoggio la schiena alla porta e il mio viso si contrae. Lacrime, silenziose come piume e altrettanto morbide, rigano le mie guance.
Annaspo, poggio le mani sulle mie ginocchia e ad esse mi sostengo.
Perché agisco così? Sono davvero così debole? Basta davvero così poco per farmi cadere?
Speravo di essere forte, pensavo...
Pensavo mi voleste bene. Eppure tutte le volte che piango è sempre colpa vostra. E non quel tipo di pianto del "magari non li amo abbastanza".
No.
È un pianto che c'è sempre in sottofondo, protetto da una leggera pellicola opaca che nasconde in parte anche a me le mie emozioni. Una pellicola talmente fragile da squarciarsi alla prima parola tagliente o al primo sguardo velenoso.
Mi dite "Organizzati con gli amici per uscire, noi non possiamo farlo al posto tuo, possiamo solo accompagnarti", ma poi me lo vietate.
Pavidi. Avete paura che io me ne vada via da voi.
E fino ad un anno fa mai avrei pensato di farlo! Ho lottato eh, per reprimere i miei sentimenti. Ho cercato di convincere me stessa ad aspettare, per amare quel ragazzo.
Ma voi mi avete ostacolato così tanto...
Senza darmi fiducia. Guardandomi a quel modo.
Lo so benissimo che siete inattaccabili. Perché voi non comunicate con me con le parole, ma con gli occhi e la voce.
La sento, che si abbassa non appena pronuncio il suo nome, rendendovi partecipi del fatto che finalmente, dopo un anno di sacrifici fatti dietro ai libri... durante il quale mi avete vietato sempre di uscire anche senza dirlo direttamente... mi sto organizzando.
Voglio solo uscire con lui e la mia migliore amica.
Non sto facendo nulla di male!
Perché mi coprite di vergogna?!
Non lo capite? Non capite che facendo così una volta cresciuta mi allontanerò da voi?
Dirò a tutti quello che avete fatto. Lo sto già facendo.
Una protesta silenziosa come i vostri sguardi si sta alzando dalla mia anima.
E no. Non vi ringrazierò mai una volta cresciuta. Perché ormai sono quasi maggiorenne ma non ho mai fatto nulla.
Sono uscita di sera con le amiche solo una volta. E poi?
Quando ti ho chiesto se potevo andare andare a mangiare fuori, papà, non appena hai saputo che ci sarebbero stati anche dei maschi, un impegno improrogabile si è magicamente fatto largo nella tua agenda.
Non dire che era perché le indicazioni erano troppo confuse. Sapevamo ora e luogo.
Gli episodi si susseguono disordinatamente nella mia testa.
Inspira.
Espira.
Sospiro.
Guardo il cielo.
Volevo solo una vita normale. Almeno un po' di scelta.
La scuola, oppure le amicizie.
Una delle due.
O magari anche il tempo libero.
Qualcosa.
Questa... questa non si chiama violazione dei diritti?
...
No...
Questa si chiama violenza psicologica...
E quando è tanta arriva addirittura a influenzare i nostri sonni...
È un bene non aver mai raccontato a nessuno quali sogni il mio cervello crea.
Qualcuno tenta di aprire la porta. Prendo un profondo respiro per impedire alla mia voce di tremare.
"Da quando ti chiudi in bagno?" È la voce di mia madre. Dura, sa di avermi fatto del male. So di averne fatto a lei. Non mi pento di nulla.
Avverto solo una punta di paura nella sua voce.
Sei una codarda.
"Da un po'." Rispondo sembrando calma.
La porta in realtà non è nemmeno chiusa, è solo bloccata dal mio corpo.
Mi sono stufata di pensare al suicidio per colpa loro. Mi sono rotta le palle e di certo gente come loro non merita la mia decisione di togliermi la vita.
Passi che si allontanano. Bene.
Torno a piangere in silenzio.
Schiudo la bocca in un canto muto.
"Can't you see how I cry for help... 'Cause you should love me just for being myself... I'm drowning in an ocean of pain and emotion... if... you... ah..."
Silent scream di Anna Blue. Una canzone perfetta per momenti come questo.
Ormai i miei pianti si sono fatti silenziosi da mesi.
Conto mentalmente.
Otto mesi. Otto...
Otto mesi rinchiusa in questo bagno.
Otto mesi in una prigione che loro hanno costruito nella mia testa.
Sbarra... per sbarra... avvenimento per avvenimento.
Prendo il telefono e lo accendo.
Cazzo sto qui dentro da mezz'ora...
Odio doverlo fare per calmarmi. Lo odio.
Inspiro.
Espiro.
Mi guardo i polsi.
Così chiari... le vene blu... in risalto.
Il tendine... Dio che orrore...
Ho paura dei miei stessi polsi. Ma non ho alternativa. Non voglio restare a piangere qui dentro per ore. Non posso.
Socchiudo gli occhi e immagino.
Non avrei mai il coraggio di farlo sul serio, mai. Ma immaginarlo dà per un attimo lo stesso effetto.
Immaginare la lama che prima accarezza e poi penetra nella carne. In un momento normale vomiterei al pensiero, ma questo non è un momento come gli altri...
Ancora. La lametta striscia sulla pelle una seconda volta. Vedo il sangue sgorgare piano.
Faccio febbrilmente il gesto, come se potessi davvero avere qualcosa di affilato in mano.
Ancora una volta...
Il taglio più lungo, quello più profondo. Quello più vicino al polso.
Continuo. Vedo le vene aprirsi, la pelle coprirsi di sangue, la mano tremare.
Ma sono calma.
Chiudo gli occhi.
Inspiro.
Espiro.
Tolgo le lacrime dal mio viso e apro gli occhi di nuovo.
Tutto pulito. Nessuna traccia del sogno ad occhi aperti appena fatto.
Mi sento calma. Ho quasi sonno.
Mi alzo e lavo il viso. Aspetto che torni del suo colorito normale e il rossore vada via.
Ecco, così dovrebbe andare.
Afferro il telefono e cambio gabbia.
Dal bagno passo velocemente alla mia camera. Anche qui mi chiudo dietro la porta.
Sospiro e mi lascio cadere sulla poltrona.
Accendo il telefono. Inizio a scrivere.
Ecco qua... il capitolo è pronto. Continuo imperterrita la mia rivoluzione. Finalmente, un giorno, avrò libertà.
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