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La felicità è come il tempo. Fuggevole. Quella di Shamira pareva già sul punto di es­sersi esaurita.

Da alcuni giorni Tavish era cambiato. Se possibile era persino più riservato del solito.

Il loro modo di comunicare era fatto soprattutto di sguardi, ma ora lui evitava persino di guardarla. Che si fosse già stancato di averla intorno?

L'angoscia di Shamira assunse nuove sfumature una notte che non riusciva prender sonno.

Il suo taciturno compagno solitamente si rincantucciava in un angolo, sotto una co­perta logora, e nel giro di pochi istanti escludeva il mondo in un sonno profondo. Spesso era stato il suo respiro regolare a cullare il suo stesso riposo.

Ma non andò così quella volta. Tavish continuava a smaniare e lamentarsi senza trovare pace. A un certo punto lo udì gemere più forte e svegliarsi ansando. Qualche momento, poi si alzò e uscì. Shamira fece finta di dormire quando, passandole accanto, si fermò un istante a guar­darla nel buio. Ma Tavish non se la bevve.

- Devi cercare un altro posto dove dormire - le disse il giorno dopo mentre consu­mavano la loro zuppa insipida.

La scodella le sfuggì dalle mani cadendo con un tonfo, versando sulla terra calpestata quanto conteneva. Tavish, con un sospiro, le porse la sua.

- Tanto oggi non ho fame... -

Shamira non la guardò neppure. Le parole le uscirono di bocca prima ancora che si rendesse conto di averle pensate.

- Per favore... -

- È meglio così. -

- Per favore... -

Per la prima volta da giorni Tavish la fissò negli occhi. Il suo sguardo era un cielo tormentato gonfio di nubi.

- Per i sette gironi di Kariun! Farai come ti ho detto! -

Le labbra di Shamira si mossero ancora, mute. Il nodo che le chiudeva la gola impe­diva alle parole di uscire. Parlavano le lacrime, una pioggia senza soluzione.

Tavish lasciò la scodella davanti a lei e si allontanò, incapace di guardarla ancora.

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