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La vita in campagna poteva essere una buona vita, dopotutto. Nella fattoria degli zii di Tavish non c'era nulla che rammentasse a Shamira le prime angoscianti settimane trascorse tra i filari degli ulivi, dopo lo sbarco a Lanita.

Certo, era un'esistenza faticosa, perché la campagna non era una barca, che poteva riposare sui cavalletti del cantiere senza risentirne troppo anche per settimane intere. La campagna era una cosa viva, con il frutteto e il campo da tener sgombro dalle erbacce, gli animali da accudire, le necessità quotidiane a cui pensare...

Ma non era mai stata la fatica a incuterle timore. E lì non c'erano guardiani ad angariarla e spaventarla.

Gli zii di Tavish furono di parola. La accolsero e la trattarono come se fosse figlia loro, attenuando giorno per giorno la sua nostalgia per lo squero di Triana e regalandole un nuovo luogo da chiamare casa.

Era bella quella terra prospera e fertile, ben diversa dalle contrade meridionali che aveva conosciuto, così aspre e avide nel conceder frutti. Qui era il verde a riempire gli occhi. E ci cresceva di tutto. Bastava fare una buca, nasconderci un seme e qualcosa sarebbe venuto fuori.

- Come hai potuto andartene via da qui, Tavish? - sospirò Shamira distesa sull'erba con le braccia ripiegate sotto al capo, guardando le nubi pascolare in cielo come le pecore dentro al recinto.

- Ero un ragazzino molto stupido. Ma almeno qualcosa l'ho imparata. Vieni! - disse prendendola per mano e trascinandola in piedi. - Voglio mostrarti una cosa! -

- Dove mi porti? - chiese la fanciulla rincorrendolo a stento.

- Dici che se c'è una cosa che ti manca qui è il mare, no? - rise il ragazzo.

- Il mare è almeno a cinque giorni di cammino! E poi sta da quella parte! -

- Quanto sei pignola! Fidati, ti piacerà anche questo! -

Abbandonarono i pascoli e si inoltrarono nei boschi, percorrendo un sentiero che si dipanava tra tronchi scuri e folti cespugli. Tavish procedeva sicuro, evidentemente conoscendo bene la meta e la strada per arrivarvi, e allora Shamira si affidò alla sua guida senza timore, guardandosi intorno e respirando a pieni polmoni quell'aria densa di umori sconosciuti.

- Siamo quasi arrivati... - disse indicandole un punto innanzi a loro, dove l'ombrosa galleria arborea pareva allargarsi all'improvviso.

Non si era sbagliata. C'era un piccolo lago in fondo al tratturo, uno specchio racchiuso in una cornice di ontani e di rocce levigate coperte di muschio, a riflettere l'azzurro del cielo estivo.

- È qui che da ragazzo ho imparato a nuotare. C'è una fonte sotterranea che lo alimenta. L'acqua non è troppo alta, quindi non è pericoloso. -

- È bellissimo qui! Se non fossi un timido lanitano, mi toglierei i vestiti e ci salterei subito dentro. -

- Ma visto che lo sono, dovrai metterti la tua veste come le altre volte - sogghignò sfilando dal rustico farsetto l'indumento ripiegato.

- Timido, ma previdente! Sei un tesoro! - esultò la fanciulla scoccandogli un bacio sulla guancia irsuta e fuggendo dietro ai cespugli per mutarsi d'abito.

Tavish diventò rosso come un papavero. Liberatosi frettolosamente dei vestiti si buttò in acqua senza aspettare. La fanciulla giunse poco dopo.

- Brrrrr! È freddissima! - protestò saggiando l'acqua con la punta del piede.

- Ma no! Basta... buttarsi! - rise afferrandola per una mano e trascinandola giù.

- Cattivo! Te ne approfitti perché sono una ragazza indifesa! - protestò riemergendo.

- Indifesa la mia sterminatrice di pirati? -

- Kadir arrogante! Prendi! -

La giocosa battaglia acquatica, condita di strilli e raffiche di schizzi, si protrasse fino all'intromissione di una giovane voce maschile.

- E voi che ci fate qui? -

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