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Shamira osservava da lontano, le labbra incurvate da un lieve sorriso e le ciglia umide.

- E tu che non mi volevi dare retta, stupido Kadir - sussurrò a mezza voce guardando commossa Tavish, stretto nell'abbraccio infinito degli zii.

Ci aveva impiegato il resto del viaggio sulla Leah per convincerlo a tornare da loro. Per la prima volta avevano davvero litigato.

- Non sono affari tuoi! - aveva sbottato Tavish esasperato.

- Sei mio amico! Certo che sono affari miei! - aveva strillato lei di rimando. Poi era scoppiata a piangere. In realtà quella volta aveva finto un po', ma il fine era giusto e, soprattutto, lui non se ne era accorto.

- Shamira, non volevo dire questo! -

- Sì, invece! Ma non è per me che piango. Penso a quei due poveretti che ti hanno allevato come fossi figlio loro, a cui non hai neppure il coraggio di dire che fine hai fatto! È orribile! - E giù singhiozzi sconsolati.

Poi aveva smesso di parlargli. Un silenzio testardo e ostile.

- E va bene! Faremo come vuoi tu! - capitolò Tavish alla fine del secondo giorno. - E quando li vedrai scacciarmi a bastonate, finalmente sarai contenta! - aveva aggiunto tentando di farla sentire in colpa.

- No, non lo faranno - sussurrò sfiorandogli con una carezza il volto contratto in un broncio ostinato. - Sarebbero davvero molto stupidi. Perché solo uno stupido non tenterebbe di tenere insieme la propria famiglia, quando possiede la fortuna di averne una. Ricordati che non sono stati loro a volersi liberare di te. -

Quella volta le lacrime che le erano traboccate sulle guance erano vere, anche se non avrebbe davvero voluto piangere e tentò di nasconderle, chinando il viso e cercando di allontanarsi. Ma il compagno non glielo permise.

- Chi ha voluto disfarsi di te ha commesso il più grande errore della sua vita... ma ha salvato la mia - disse intrappolandola nel tepore del suo abbraccio.

Shamira osservava da lontano, le labbra incurvate da un lieve sorriso e le ciglia umide, sentendosi felice e disperata insieme. Perché finalmente il suo amico aveva ritrovato il posto che gli apparteneva... e lei, inevitabilmente, lo avrebbe perso. Mentre un doloroso senso di vuoto le si allargava in fondo al petto, fu tentata di andarsene così, in silenzio, per non dare fastidio a nessuno.

Era giusto così. Restituirlo al mondo che aveva perduto era l'unico dono che potesse ripagare, almeno in parte, tutto ciò che Tavish aveva fatto per lei. Anche se immaginare la sua vita senza averlo accanto le lacerava l'anima come fosse un drappo trascinato sui rovi da un vento selvaggio.

Doveva farsi forza. Non poteva pretendere di aggrapparsi a lui per tutta la vita.

Magari sarebbe potuta tornare al porto dove erano sbarcati e trovare lì un lavoro, giusto il tempo necessario a guadagnare abbastanza per pagarsi il trasbordo sino a Triana. Di certo, per allora, il comandante Kieran non avrebbe più costituito un pericolo per lei.

Poi una mano afferrò la sua riscuotendola da quelle congetture.

- Che c'è? Perché non rispondevi? - disse Tavish sospingendola per indurla a seguirlo. Gli occhi gli brillavano come se le nubi che li coloravano fossero investite in pieno dal sole. - Vieni, su! I miei zii vogliono conoscerti! -

- Conoscere me? - mormorò stupita.

Zia Fiona in realtà non disse molto. Se la strinse tra le braccia come se la stesse aspettando da tutta la vita. Zio Declan, che sembrava tanto una versione un poco più anziana di Tavish, fu appena meno espansivo, ma persino più esplicito.

- Oggi ci hai restituito un figlio che ti ama come una sorella. Dunque sarai nostra figlia anche tu - disse semplicemente circondandole le spalle e posandole un bacio pungente di barba sulla fronte.

Tavish era raggiante.

Shamira, come ogni volta che la commozione era troppo forte, non riuscì a dire una sola parola.

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