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Nello squero la vita era ripartita con i ritmi consueti. Smaltita l'euforia della festa e dell'attacco sventato, magli e accette avevano ripreso l'abituale canzone annotata di colpi e sonori schiocchi. A Tavish, ancora convalescente, assurto da campione ad eroe in una sola nottata, erano stati riservati compiti meno faticosi.

Niamh, alle prese con la confezione di una nuova fiamma, la bandiera triangolare da issare sull'albero del carabo dai fianchi tondeggianti che stavano riparando, si punse per l'ennesima volta con l'ago, quando il ragazzo passò nei paraggi.

Avrebbe dovuto proprio badare meglio al suo lavoro, pensò Shamira con un pizzico di spirito vendicativo.

La fanciulla era orgogliosa, ma soprattutto felice per il suo coraggioso amico. Per una notte era stato il Kadir che aveva sempre sognato di essere: non un saccheggiatore al soldo di un re, conosciuto principalmente per la solerzia dei suoi gabellieri, ma un protettore di quelle genti che si sudavano con la fatica delle proprie braccia vita e sostentamento.

Che ora tutti sapessero di che pasta fosse fatto il suo Tavish la riempiva di un'intima soddisfazione. Per lei non cambiava nulla. Era una cosa che le era nota da tempo.

Eppure quell'equilibrio finalmente raggiunto era destinato a durare ancora per poco.

Una mattina Diarmid se ne arrivò al suo cantiere insieme a un tipo imponente dall'aria marziale, abbigliato con un vistoso mantello scarlatto e con una sorta di corsaletto in cuoio intrecciato. Aveva persino due uomini della milizia cittadina come scorta d'onore.

Il vecchio calafato appariva felice e ciarliero come un merlo chiacchierino.

- Di qua, da questa parte, mio signore. Io l'avevo capito subito che aveva qualcosa di fuor dal comune, ma lo vedrà da sé... - disse guidandolo verso l'angolo dove Tavish stava incatramando le ciocche di stoppa da usare per tappare le fessure nel fasciame. - Ragazzo, il comandante qui vuole conoscerti... -

Il giovane si era girato al richiamo senza alcun timore e sospetto. Poi era impallidito come se avesse scorto qualcosa di mostruoso. Shamira lesse il panico nel suo sguardo, come se volesse trovarsi mille miglia lontano, ma non potesse muovere nemmeno il primo passo per percorrerle. Il volto dello straniero era contratto in una smorfia sinistra.

- Sei più tenace della gramigna, canaglia! Avrai modo di pentirtene! Guardie! Arrestate questo traditore! - tuonò perentorio.

Un silenzio attonito calò tra le maestranze. Persino i due militi ristettero interdetti, incapaci di credere alle loro orecchie. Diarmid, stupefatto, si interpose tra il ragazzo e il militare tentando di farlo ragionare.

Tanto bastò. Qualsiasi invisibile laccio lo avesse trattenuto, di colpo si spezzò e Tavish, lesto come un felino, si diede alla fuga. Lo sconosciuto vessatore scansò rudemente l'anziano calafato, sbraitando ordini e imprecazioni fino a indurre i due soldati a partire all'inseguimento.

Quanto a ciò che accadde dopo, lo apprese solo parecchie ore più tardi.

Shamira, infatti, scattata in piedi per seguire l'amico, si sentì afferrare alle spalle, mentre il grido istintivo le fu soffocato da una mano callosa calata a tapparle la bocca. Riconoscere nel proprio rapitore Flynn, il figlio maggiore di Diarmid, la riempì di sgomento e accese la sua collera, intensificando gli sforzi per sfuggirgli. Ma fu tutto inutile. Il robusto carpentiere la trascinò sino a un ripostiglio con un vano celato nel pavimento, sotto a una botola. Fu Niamh a tenerla aperta e a chiudergliela sopra quando fu spinta dentro.

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